[blocco]
Un anello cancella 73 vittorie?
Di Nicolò Ciuppani
La percezione di ciò che è stata Golden State quest'anno, ma pure degli ultimi due anni, non può in nessun modo essere intaccata dal risultato degli ultimi 48 minuti (anzi, 90 secondi). Il Cherry Picking è sempre esistito e sempre esisterà nello sport per provare a indirizzare argomenti e discussioni verso il proprio punto di vista, ma c’è un campione di partite talmente ampio per dimostrare la loro grandezza, che giudicarli da pochi minuti per definirli “sopravvalutati” è un processo risibile.
Ma anche se agli addetti ai lavori la cosa deve scalfire fino ad un certo punto, all’interno dello spogliatoio degli Warriors molte cose possono e devono essere messe in discussione dopo la sconfitta più cocente della loro storia. Scoprirsi mortali deve essere una sensazione estremamente dolorosa: sconfitte come questa finiscono per tormentarti per anni, e solo un anello può far dimenticare tutto il dolore provato. I demeriti degli Warriors ci sono e sono sotto gli occhi di tutti: non diventi la prima squadra di sempre a perdere le Finali dopo esser andata sopra per 3-1 per caso, così come non è un caso aver perso una Gara-7 in casa, pur riconoscendo tutti i meriti a Cleveland e a quello lì.
La sconfitta può aiutare Golden State a correggere i propri errori e rivalutare i propri limiti: l’incapacità di eseguire i loro giochi in questo momento della stagione è già sulla bocca di praticamente chiunque, spesso tradotta nella forma semplicistica dello “sparare da 3 a caso”. Senza stare ad indorare la pillola più del dovuto, gli Warriors sono mancati nel momento del bisogno, lasciandosi andare a tiri affrettati e palle perse banali.
Avendo Steph e Klay puoi permetterti di farlo, ma quando le serate stile Gara-6 contro OKC non arrivano, occorre pensare al piano B. Gli ex campioni hanno un'enormità di talento per provare a imbastire un attacco focalizzato su altri punti, ma in questi playoff non l’hanno semplicemente fatto. I turnover, i problemi di falli, l’incapacità di arrivare al ferro e guadagnarsi dei liberi quando l’attacco ristagna, sono tutte cose su cui Golden State deve lavorare per migliorare ancora. Le rotazioni e le scelte di Kerr in questa post season hanno lasciato molto a desiderare, dopo che quelle dell’anno scorso erano sembrate decisamente puntuali. Se questa è una lega dove il miglior giocatore rischia di essere anche il più migliorato, non c’è motivo di pensare che i Golden State Warriors del prossimo anno saranno peggiori di questi, al di là del numero di vittorie.
Vi sono anche per loro delle attenuanti, su tutte una situazione di infortuni non era affatto dalla loro parte. Nelle ultime due partite Bogut non ha messo piede in campo e in tutti i playoff appariva lontano dalla sua miglior condizione; Iguodala faceva fatica a piegare le gambe senza assumere una smorfia di dolore; e Curry ha subito un infortunio grave decidendo comunque di giocarci sopra. Forse sottovalutato a causa dei risultati, ma lo Steph visto in questi playoff è stato molto diverso dallo Steph in salute: i suoi tiri partivano alla metà della velocità, il floater se ne era completamente andato, i pick & roll venivano eseguiti virando molto lontani dai blocchi invece di zigzagare attaccati ad essi. Steph&Green combinavano in RS per il miglior pick&roll della lega, contro i Cavs invece arrivavano a stento a 0.65 punti per possesso. Col senno di poi è una discreta impresa pure aver battuto i Thunder ed essere arrivati così vicini all’anello, ma in questo gioco gli infortuni capitano e nessuna assenza merita di mettere un asterisco nel titolo di qualcun altro.
La storia punterà il dito verso la squalifica di Green in Gara-5, ma per questo Green può solo dare la colpa a sé stesso. La retorica di “Draymond è questo, prendere o lasciare” non può reggere a questo livello: Green sapeva quanti flagrant/tecnici aveva commesso, sapeva cosapoteva comportare un fallo del genere e ha comunque deciso di assestare quel colpo. Prima di quel momento Green era stato il secondo miglior giocatore per GS nella serie, e la sua prestazione in Gara-7 è un manifesto di quanto Dray sia importante per questi Warriors. Ma proprio per questo l’atteggiamento di Green deve cambiare, perché Golden State aveva già vinto l'anello, e un suo capriccio la ha rimesso sul piatto. E se i falli di reazione sono difficili da evitare - perché lavorare sul carattere è arduo per chiunque - sciocchezze del genere non sono più tollerabili:
Col senno di poi, questo flagrant inutile, a palla lontana, a 1 secondo dalla fine essendo avanti 2-0 nella serie, è costato un titolo ai suoi.
Nei prossimi giorni i social network saranno pieni di scritte del tipo “73 wins don’t mean a thing without a ring”, ma per quanto mi riguarda la stagione degli Warriors non può passare sotto traccia e non può essere dimenticata per aver perso il titolo a 90 secondi dalla fine. Per quanto ne sappiamo, 73 W potrebbero non essere mai più replicate, e improvvisamente dobbiamo pensare che gli Warriors non siano eccezionali per via degli ultimi 5 possessi di una partita, per quanto importante?
Gli Warriors restano una delle migliori squadre di sempre, il loro miglior quintetto è uno dei migliori di sempre, non c’è nessun ricordo nostalgico o dietrologia spicciola che può negare questa cosa. È la loro grandezza che dà ancora più rilevanza a quello che ha fatto quello lì e cosa la sua legacy rappresenti adesso. Gli Warriors hanno perso, e nonostante questo possono comunque essere considerati la squadra più forte. Se state cercando i favoriti per il prossimo anno, non guardate più lontano della baia. E sarà divertentissimo osservare come rimbalzeranno da questa tremenda delusione.
[/blocco]
Perdere aiuta a vincere
Di Francesco Andrianopoli
6'55'' alla fine; Golden State ha iniziato pigramente l'ultimo quarto di gioco della stagione, e i Cavs ne hanno subito approfittato portandosi sul +3. Steph Curry "sceglie" come bloccante l'uomo di Tristan Thompson, si isola contro di lui in punta, e nonostante la competente difesa del canadese gli spara in faccia da otto metri abbondanti dopo uno step back: solo rete.
Sembrava poter essere la svolta decisiva della partita, una di quelle scene viste decine di volte in questi due anni, in cui il talento e l'incoscienza di Curry accendono il pubblico e i compagni, scavando il solco decisivo... e infatti Golden State, cavalcando quella tripla, aveva costruito l’ennesimo parziale di 7-0.
Questa volta, però, quel canestro a 6'55'' dalla fine è stato l'ultimo tiro segnato in stagione dall'MVP: nei possessi successivi a quel 7-0, Steph ha perso un pallone banalissimo cercando un velleitario passaggio dietro la schiena a Klay, e ha sbagliato quattro triple consecutive.
Ora fermiamoci un attimo: avete letto spesso su queste pagine, e lo leggerete ancora fino allo sfinimento, che non può essere una partita, e nemmeno una serie, a far cambiare il giudizio storico su un giocatore straordinario che è già, irrevocabilmente, nella storia del gioco: quindi lasciate perdere qualsiasi revisionismo, qualsiasi "choker/non è clutch/perdente", qualsiasi "non si gioca così", qualsiasi "senza anello non vale". La sua legacy, il giudizio sulla straordinaria stagione sua e della sua squadra, rimangono intatti e non possono essere minimamente sporcati dall'esito di Gara-7.
Però questa è una sua sconfitta, e quei 6'55'' sono e saranno sempre sulle sue spalle; perché è vero che le colpe non sono solo sue (citofonare a Varejao e Kerr, a Klay e Iggy, a Ezeli e Barnes), è vero che è arrivato stremato e acciaccato (ma questo vale anche per molti Cavs) ed è verissimo che nel resto della partita ha messo a segno altre giocate sensazionali, soprattutto in difesa.
Ma il basket è anche crudele, quasi barbaro: quando si arriva al redde rationem, al momento conclusivo, qualsiasi narrativa razionale si interrompe, e la parola passa ai Campioni, non solo metaforicamente ma anche in concreto. Negli ultimi minuti di una gara decisiva non c'è quasi mai spazio per schemi elaborati o per giocate dei gregari, e ci si riduce a una lunga sfida di nervi, palla in mano, soli contro tutti. Ieri notte si è rimasti sull’89 pari per oltre tre minuti e mezzo nell’ultimo periodo, prima della tripla spezza-partita di Irving a 53 secondi dalla fine.
Ieri Steph non è stato all'altezza di questa sfida, ne esce sconfitto e con un titolo in meno. Ma tutti i grandi del gioco, veramente tutti, hanno subito sconfitte come questa; sconfitte che non solo non li sminuiscono, ma li rendono più veri, più umani, e quindi ancor più epici.
[blocco]
La caduta degli déi
Di Dario Vismara
Perdere una serie di playoff ogni tanto assomiglia alla fine di un fidanzamento: ci sono reazioni spropositate, dita puntate gli uni contro gli altri, e un setaccio un po’ alla rinfusa per cercare IL COLPEVOLE, o il singolo momento in cui tutto è andato male. I Golden State Warriors non hanno perso per un singolo motivo, ovviamente: non è colpa solo di Steph Curry, né solo di nessuno degli altri giocatori, né solo di Steve Kerr o di chicchessia. Il basket è un gioco troppo bello e complesso perché si risolva in un'unica motivazione.
Piuttosto, l’indicazione che possiamo trarre da questi playoff è che gli Warriors sono forti, fortissimi, ma non imbattibili o immortali come li abbiamo dipinti o ce li siamo - forse frettolosamente - immaginati. Ci vogliono specifiche qualità per sfruttarne i difetti e limitarne i pregi, ed è una cosa che poche squadre nella NBA possono permettersi di fare. Forse, solamente le due che hanno incontrato nell’ultimo mese.
Sia gli Oklahoma City Thunder che i Cleveland Cavaliers hanno attaccato la difesa degli Warriors in maniera ossessiva: palla a due soli giocatori, limitatissima circolazione di palla, ricerca del mismatch con Steph Curry e uno contro uno fino allo sfinimento. Praticamente l’equivalente di un martello che continua a battere sullo stesso chiodo fino a conficcarlo di forza nel muro, creando una crepa sempre più grande con il passare del tempo. O, per dirla alla Jacob Riis: “Quando tutto sembra perduto, vado a guardare un tagliapietre che colpisce il masso cento volte senza neppure riuscire a scalfirlo. Eppure al centunesimo colpo la pietra si spacca in due, e io so che non è stato quel colpo, ma tutti quelli che sono venuti prima”.
È ironico che questa frase appartenga alla cultura dei San Antonio Spurs, la squadra che nell’immaginario collettivo più si discosta dal modo di attaccare fortissimamente fondato sugli isolamenti di Cavs e Thunder. Eppure è così che bisogna attaccare gli Warriors, perché cercare di far girare la palla con un raffinato uso di tagli, blocchi e passaggi equivale a farsi ingabbiare nei cambi sistematici degli Warriors e le loro lunghissime braccia, capaci di deviare ogni pallone e di produrre transizione continua, che equivale alla via più breve per perdere contro di loro. Cleveland e OKC ci hanno insegnato che contro questa squadra less is more: un solo blocco (per coinvolgere Steph Curry), un solo passaggio (se la difesa si compromette con gli aiuti), un solo tiro (se va dentro bene, altrimenti lotta selvaggia a rimbalzo offensivo). E via così per 48 minuti.
Per quanto riguarda la difesa, invece, Cavs e Thunder hanno risolto quello che sembrava essere l’enigma più impossibile della NBA contemporanea: fermare il pick and roll centrale tra Steph Curry e Draymond Green. Ci sono riusciti perché hanno a roster due dei primi 5 giocatori al mondo sui due lati del campo, vale a dire LeBron James e Kevin Durant - ovverosia, per battere quei “choker sopravvalutati” di Golden State ci vogliono due Hall of Famer al massimo del loro sforzo e impegno al picco delle carriere. Una cosa da niente.
Mettere quei due su Green ha permesso di cambiare su ogni blocco, intasando così il vantaggio iniziale su cui gli Warriors hanno capitalizzato negli ultimi due anni. Certo, il fatto che Steph abbia perso un po’ di tocco magico - ma neppure troppo, o ci siamo dimenticati dei 38 di gara-4 o dei 30 di gara-6? - in questi playoff ha certamente aiutato a riuscirci, ma quella è la kryptonite per fermare l’attacco più atomico del mondo. Una volta disinnescato quello e la loro transizione continua, ci si è accorti che il resto del roster di Golden State manca del necessario atletismo e delle capacità di uno contro uno per battere il proprio avversario e creare un tiro ad alta percentuale, in particolar modo quando Klay Thompson è in serata no come è stato dal secondo tempo di Gara-5 in poi. Gli Warriors sono pieni di giocatori straordinari nel giocare negli spazi delle difese, ma non altrettanto a crearli - e questo si era visto già diverse volte in regular season, dove la grandezza di Curry ha nascosto un bel po' di polvere sotto al tappeto quando l'attacco si inceppava, pagando la cauzione per tutti.
Poi tutto si è risolto comunque a una manciata di possessi, che i Thunder hanno perso e i Cavs hanno finito per vincere - perché a questo livello il margine tra vittoria e sconfitta è il più delle volte risicatissimo. Gli Warriors hanno perso in questi playoff 9 partite, le stesse che avevano raccolto in 82 gare di regular season, e non sono riusciti a chiudere la serie con tre match point a disposizione, Draymond o meno. Però erano anche pari sul 689 complessivo nella serie a un minuto dalla fine - prima che la tripla di Kyrie, il tiro sbagliato da Curry contro Love e il tiro libero di James decidessero il titolo 2015-16.
Possono davvero essere tre possessi, o il singolo risultato di un processo lungo due anni, a cambiare l’intera narrativa di questa squadra?
[/blocco]