Dario “Spartan” Morello è un pugile italiano di 30 anni che registra un record di 21 vittorie, di cui 4 ottenute per KO, e una sconfitta. Vanta due cinture internazionali in bacheca insieme al titolo italiano. Morello è molto conosciuto e seguito anche fuori dal ring per le sue frequenti comparse nei video di youtuber del mondo “food”, come Franchino Er Criminale e Giulia Crossbow. Nell’ambiente del pugilato è noto per le sue dichiarazioni senza peli sulla lingua, che gli hanno attirato le luci dei riflettori ma anche qualche antipatia. In occasione di un suo match recente ha fatto stampare delle tshirt con la scritta (ironica) “Io odio Dario Morello”: insomma, parliamo di un personaggio estroso, mai banale, che non ha paura di prendere posizioni scomode. Il 15 dicembre tornerà in azione in diretta su DAZN sul ring dell’evento The Art of Fighting 4, per affrontare Joshua Nmomah (13 vittorie, 4 per KO, e una sconfitta in carriera), pugile nigeriano cresciuto in Italia, duro e ostico. In palio ci sarà il titolo WBC Mediterraneo dei pesi medi. Abbiamo sfruttato l’occasione per una chiacchierata con Morello, in una domenica mattina di fine novembre, a poche settimane da un incontro che si prospetta come decisivo.
Foto di Scuola di Pugilato Testudo.
Come comincia la tua storia?
Sono cresciuto in una famiglia medio borghese, mio padre è un medico veterinario mentre mia madre è una professoressa, siamo sempre stati bene economicamente. Sono nato a Fuscaldo Marina, in Calabria; quando i miei si sono separati, ho vissuto anche a Napoli, la città di mia madre, fino all'adolescenza e dopo ho fatto ritorno nel mio paese natale, finché mi sono trasferito a Bergamo quasi dieci anni fa per motivi sentimentali. I bergamaschi mi hanno accolto da subito, gli sono riconoscente.
E il pugilato quando entra nella tua vita?
Ho cominciato a 4 anni perché mio zio aveva una palestra dove mio padre faceva da sparring partner ai pugili. Papà aveva avuto un trascorso da dilettante ai tempi dell'università. Sai, quando da bambino vedi tuo padre con i guantoni, diventa subito il tuo eroe. Perciò l'ho mitizzato, volevo diventare come lui. Nel frattempo ho dimostrato un certo talento e predisposizione, ho debuttato da dilettante e sono entrato in Nazionale, in cui ho fatto l'intera trafila, dai 14 ai 21 anni. Mio padre, avendo notato in me passione e potenziale, mi ha seguito anche come maestro.
Com’è stato avere un padre così coinvolto nella tua vita sportiva, oltre che in quella familiare?
Non c'è mai stata una scissione netta nel nostro rapporto. Da ragazzino non te ne accorgi, e anzi un padre ha l'opportunità di conoscerti davvero perché ti vive anche fuori casa, quindi condividi tutto. Ma come qualsiasi convivenza, una frequentazione così assidua ti porta anche a momenti di scontro, che però abbiamo superato. Oggi mio padre è la persona più importante della mia vita. Io ho accettato i suoi limiti e lui lo ha fatto con i miei, come nelle migliori coppie (ride, nda).
Cosa significa il pugilato per te?
Il mio rapporto con la boxe si è evoluto nel tempo. A me piace vincere, la sconfitta è qualcosa che mi fa stare male a livello fisico. Da adolescente ero sovrappeso e il pugilato mi ha dato un modo per uscire per elevarmi e affermarmi. Dopo è diventato il mio lavoro. A 30 anni posso dirti che è l'unica attività in cui mi sono mantenuto costante, a cui mi sono dedicato anima e corpo. È una parte fondante della mia persona. Guardo, vivo e respiro boxe. Da bambino ero buono e accondiscendente, e per questo sono stato vittima di bullismo nonostante stessi crescendo in palestra. A un certo punto ho realizzato, e allora il pugilato mi ha dato la consapevolezza necessaria a difendermi, ad emanciparmi da quella situazione, e in generale mi ha dato una spinta fondamentale a far emergere la mia personalità, ad essere sicuro di me. Mi dicevo: dato che passo le mie giornate a dare e a prendere cazzotti in palestra, dovrei temere un'interrogazione a scuola oppure dovrei vergognarmi di chiedere di uscire a una ragazza? Non esiste. La boxe mi ha dato una scala di valori e di priorità.
Se oggi ti si presentasse in palestra un bullo come allievo, magari portato dai genitori per cercare di farlo cambiare, come ti comporteresti?
Ci sono due tipologie di persone che puoi rieducare con la boxe: il bullo e il pauroso. Un bullo secondo me lo si raddrizza facendolo passare dall'altra parte. Per il pauroso è diverso, perché quando capisce come può imporsi, rischia di abusarne proprio perché fino a quel momento ha subìto. Può diventare più pericoloso del bullo, rischia di subentrare la cattiveria nello sfogare la propria frustrazione su un'altra persona più debole. In una palestra di boxe il prepotente incontra per la prima volta chi è in grado di tenergli testa e anzi, di sopraffarlo, dandogli una lezione di vita, mentre il pauroso ha modo di rafforzarsi e di capire che può e deve reagire. Nella mia esperienza il dolore è stato educativo, so che nella società attuale non si può dire e sembra un concetto da bruti, però è il metodo più efficace per imparare che gli errori si pagano. So che è un ragionamento rozzo, ma le palestre di boxe non sono frequentate da scienziati. Ti insegnano tanto ma lo fanno in modo piuttosto crudo e sbrigativo.
Torniamo a te. Visto il percorso che hai fatto in Nazionale, come mai non hai cercato di entrare in un corpo militare (che assicura uno stipendio fisso agli atleti, scelta fatta ad esempio da Clemente Russo, mentre i pugili “pro” sono dei liberi professionisti)?
Ero stato selezionato dalle Fiamme Azzurre, che appartiene al Corpo di Polizia Penitenziaria, ma ho capito di non essere fatto per la vita da militare. Quando appartieni a quei corpi devi passare dei periodi in caserma, presenziare agli eventi istituzionali, hai una serie di doveri e un codice da rispettare, e per me era una situazione limitante, lontana dalla mia mentalità. Sono passato a professionista perché dopo tanti anni mi sono stufato della routine da dilettante. Per diversi motivi stavo perdendo la voglia di allenarmi, allora mi sono detto: «Divento professionista oppure smetto». Ho debuttato e direi che sta andando bene.
Come sta il pugilato italiano?
Gode di buoni momenti che per ora non sono mai diventati buoni periodi. Ciclicamente c'è qualcuno che decide di investire ma lo fa per propri tornaconti personali, senza pensare alla crescita del movimento. Non c'è costanza o una visione di prospettiva, c'è più il caso isolato, è un settore in cui la gente non guarda oltre al proprio naso. Un altro problema grosso è che gli stessi pugili o frequentatori delle palestre non vanno agli eventi di boxe; il pugilato è uno sport molto conosciuto, se chiedi cosa sia la boxe ai passanti di qualsiasi città te lo sanno dire e ci sono tante persone che lo praticano a livello amatoriale, ma manca il pubblico che vada al palazzetto comprando il biglietto, perché la boxe in Italia non la sa vendere nessuno. Però almeno chi fa parte del movimento, a diverso titolo, dovrebbe sostenerlo. Manca un senso di comunità, un sostegno reciproco tra pugili e dagli appassionati. Invece spesso ci puntiamo il dito l'uno contro l'altro, criticando e sminuendo. Se il primo contestatore è chi dovrei rappresentare quando combatto non andremo lontano.
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Oggi un pugile che ha un buon seguito sui social media e tanti fan, riesce a prendere scorciatoie o ad avere un percorso agevolato?
Sul ring fai a cazzotti, quando sali tra quelle quattro corde non ci sono i follower, i like o le groupie. Sei contro te stesso, i tuoi limiti, le tue paure, aspetti che sono impersonificati nel tuo avversario. Però il pugilato professionistico è sempre stato uno sport con una vocazione all'intrattenimento. Nasce per vendere i biglietti, per fare arricchire chi organizza e chi combatte: è uno show, un prodotto commerciale. E chi organizza considera quanto seguito hai, quante persone puoi portare all'evento. Fa parte del gioco. Di conseguenza se sei seguito hai più possibilità e offerte, puoi chiedere più soldi, puoi avere più sponsor: anche in quello ci vuole bravura e capacità. Fa parte della professione di un pugile: così come fai sparring e curi la preparazione atletica, devi lavorare sulla tua immagine, per avere dei vantaggi. Ma dato che è difficile farcela, quando succede diventi solo il "pugile dei social", come se fossi bravo a fare solo quello.
Cosa pensi della boxe tra youtuber?
È un fenomeno a sé che non c’entra niente con il pugilato vero. Al limite arricchisce i pugili che fanno parte di quegli eventi, ma non procura nuovi fan alla boxe, che si può vedere ovunque da anni. Chi guarda i match tra youtuber non è interessato al pugilato, vuole quella forma di intrattenimento. Che è uno spettacolo raccapricciante, ma se la gente guarda i reality show spazzatura, non mi stupisce il fatto che spenda soldi per vedere due fantocci che si picchiano senza nessuna capacità di farlo. Poi attenzione, anche lì ci sono delle eccezioni: Jake Paul sono convinto che vincerebbe contro la maggior parte dei pugili di media-bassa classifica. Ha tanti soldi con cui può permettersi un team di alto livello tra coach, nutrizionista, preparatore, sparring partner e ha la libertà di potersi dedicare completamente alla boxe. Con questi presupposti è diventato un pugile decente.
Dici di essere una buona forchetta e di aver rinunciato a cali drastici di peso perché la dieta ti faceva soffrire troppo. Una scelta controcorrente.
Da professionista ho tentato di fare i pesi welter, quindi i 66 chili, quando avevo un peso forma sopra gli 80 chili. Nel mio caso però un calo così drastico comportava una perdita totale di potenza ed esplosività nei colpi: non riuscivo più a mettere KO nessuno, cosa che da dilettante mi riusciva bene, e l'ho sofferto parecchio. A quel punto ho deciso di fare i pesi medi (al limite dei 72 chili, nda), quindi di salire di due categorie, perché tanto la differenza tra superwelter e medi è poca, ma quest'ultima classe di peso è leggendaria per i pugili che l'hanno vissuta. Non sarò il medio più estetico e definito in circolazione come massa muscolare, ma faccio sparring con dei pesi massimi leggeri - menandoli pure - quindi è una categoria che sento mia. E comunque sto facendo una preparazione completamente diversa, lavorando in modo specifico con i pesi - tra l'altro sono un preparatore atletico, sono laureato in Scienze Motorie - quindi mi vedrete in una nuova versione. Il mio corpo è cambiato, e non ho fatto neanche troppa fatica. A 30 anni un pugile italiano è maturo, all'estero ci sono parametri diversi che dipendono dal contesto pugilistico che si vive, quanto ti fa bruciare le tappe o meno. L'altro giorno ho mandato i video dell'ultimo sparring a mio padre che mi ha risposto: «Adesso sai fare il pugilato davvero». Non sono mai stato così forte.
D’altronde tu sei un personaggio divisivo, che spesso scatena polemiche, attirandosi qualche critica. Lo hai cercato e voluto?
A me piace dire quello che penso, e in un contesto così dogmatico e ottuso come quello della boxe, fatto di regole e miti che si tramandano da generazioni, basta questo a farti sembrare un rivoluzionario. Per esempio non faccio mai la corda e odio correre, eppure qualcosa sul ring ho vinto... Le critiche all'inizio mi infastidivano, finché mi ci sono abituato e mi sono messo il cuore in pace: quando sei esposto a livello mediatico, i commenti negativi fioccano. Anche perché a volte ho perso tempo a capire chi mi insultava o criticava, e sono persone frustrate che pagherebbero per essere me, oppure gente che non riesce manco ad esprimersi in un italiano corretto. Per cui dovrei prendermela? Neanche per sogno.
Parliamo del match del 15 dicembre. Tu e il tuo avversario eravate amici prima di firmare il contratto. Cos’è successo?
Quando mi ha chiamato Edoardo Germani, l'organizzatore dell'evento, proponendomi J. Nmomah (che riportiamo con l’iniziale per distinguerlo dal gemello Samuel, anche lui pugile, impegnato nello stesso evento per un altro titolo, nda), ho rifiutato. Poi ho saputo che lui aveva già accettato, allora ci ho pensato e ho risposto che ci sarebbe voluto un titolo in palio, altrimenti non ne sarebbe valsa la pena. Non ti nascondo che non sono felice della situazione. Joshua è una persona con cui ho condiviso allenamenti, incontri, sogni. C'era un rapporto umano. E la boxe non è una partita di calcio, è una battaglia, ti prendi a cazzotti in testa: perché volerlo fare a un tuo amico? L'ho vissuta male. Anche perché il bello della boxe è l'esistenza di tanti titoli diversi: puoi fare carriere parallele nella stessa categoria, senza incrociarti mai. Non credo a un processo di selezione nazionale per cui i migliori vadano contro i migliori prima di affacciarsi all'estero, piuttosto i più forti dovrebbero aiutarsi tra di loro, in uno spirito da squadra Nazionale. Insomma, sarà uno scontro fratricida. Vorrà dire che lo abbraccerò forte dopo averlo battuto, dicendogli: "Vabbè, ma tanto è solo uno sport, no?".
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Mi sembra che la delusione si sia trasformata in agonismo
Sì, anche perché ho notato una certa spocchia nei miei confronti da parte del team di J. Nmomah, una falsa convinzione che io possa essere un avversario abbordabile. Pensano di potermi usare come trampolino di lancio per il loro pugile, per la mia risonanza mediatica. Sarà un estremo piacere sbattergli in faccia il grande errore di valutazione che hanno fatto.
Che tipologia di incontro vedremo?
Non so bene cosa aspettarmi. Il mio avversario il pugilato lo sa fare e fisicamente è statuario, ha tanti punti a suo favore. Sono curioso di vederlo sotto la nuova gestione, perché ha cambiato team da poco. Non mi sono preparato tanto su di lui, più su delle sue caratteristiche principali ma imposterò l'incontro su di me, sulle mie capacità. J. Nmomah sul ring finora ha fatto vedere poco del suo arsenale, sia per gli avversari scelti sia per i suoi limiti, non ho mai visto chissà cosa. Mi aspetto la sua versione migliore. Deve dimostrare di essere all'altezza di pugili forti, cosa che ho già fatto da tempo e continuerò a fare, mentre lui appena ha trovato un avversario diverso dal solito è finito KO. E deve dimostrare anche di saper reggere la pressione, qualità propria dei campioni. Vediamo come reagirà, io sotto pressione mi esalto. Questo match è un bivio per entrambi.
Nel penultimo match disputato, J. Nmomah ha subìto un knockout drammatico, ed è stata la sua prima sconfitta in carriera dopo 13 match. Pensi che un epilogo del genere lo abbia segnato?
Credo si sia riabilitato da quel KO. Ho visto il suo ultimo incontro e mi è sembrato sereno, i knockout fanno parte della carriera della maggior parte dei pugili, devi essere pronto a gestirli. Il modo in cui si affronta una sconfitta è soggettivo, è una questione estremamente personale. Conferma che facciamo uno sport per pochi e che non siamo persone come le altre. Quanti sono davvero in grado di mettersi in discussione? La maggior parte delle persone lo evita.
Anche tu hai una sola sconfitta nel record, in una sfida finita ai punti ma in cui eri stato atterrato in due occasioni.
Sì. L'ho presa malissimo, ho rasentato la depressione. Il mio vecchio management - oggi faccio da solo - mi ha abbandonato, come se non ci fosse un piano alternativo per me. Ho sofferto tanto ma è stato un battesimo del fuoco, ho fatto scelte importanti dopo quell'episodio, che mi hanno portato qui. Quando scegli la boxe ti dedichi allo sport più crudo al mondo, rischi tanto e lo fai da solo. Ecco perché somiglia così tanto alla vita.
Morello in azione. Foto di Erik Colombo.
Hai 22 match da pro alle spalle, una carriera lunga 8 anni, due titoli internazionali in bacheca e uno italiano. È la tua occasione per dare un’accelerata al tuo percorso per nuovi palcoscenici importanti?
Pretendo da me stesso più di una vittoria. Voglio una prestazione maiuscola. Non mi basta vincere e basta, voglio farlo come dico io. Perché è uno sport che vale la pena fare solo se si riescono a raggiungere i livelli più alti, altrimenti non ha senso: troppi sacrifici, dolori, rinunce. Se voglio arrivare dove mi sono prefissato, non posso farmi mettere i bastoni tra le ruote da J. Nmomah. È un pugile di valore, ma punto molto più in alto. Il mio periodo di maturità è arrivato, devo dimostrarlo a tutti.
Temi gli strascichi psicofisici che potrebbe lasciarti la boxe?
Praticare questo sport può comportare delle conseguenze scientificamente provate. Non ci penso come non ci può pensare il calciatore a cui fanno male le ginocchia o il motociclista che prende una curva a 300 chilometri orari. Ci vuole prevenzione: devi limitare il più possibile concussioni e traumi cerebrali in allenamento, prenderti i giusti periodi di riposo, non essere superficiale, usare le protezioni necessarie durante gli sparring e farli con atleti più o meno del tuo peso o comunque gestibili. Non serve fare gli eroi. Bisogna andare oltre quella retorica machista del tipo “mai un passo indietro”, “non si molla niente” perché poi ti ritrovi a balbettare a 40 anni. Devi avere rispetto di te stesso.