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Ricordando Beckham
28 ott 2019
E il suo leggendario piede destro.
(articolo)
15 min
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Ho sempre pensato a David Beckham come al prodotto troppo pubblicizzato di una cultura che non è neanche quella in cui sono cresciuto. Calciatore fino a un certo punto, fino a quando ha sposato una Spice Girl. Ricordiamo David Beckham più per il suo matrimonio che per quello che era capace di fare in campo. Al limite, lo ricordiamo per come ci stava: con le mèches bionde che si sistemava mentre giocava, coi capelli ossigenati, con la cresta, rasato come uno skinhead, rasato con una striscia obliqua a pelle, con il codino da samurai, persino con le treccine, sempre bellissimo. Ricordiamo David Beckham come un segno dei tempi, il primo calciatore a diventare icona pop proprio mentre il calcio diventava... be’, quella cosa che è pienamente adesso.

Ma David Beckham non era un semplice prodotto dei suoi tempi, semmai uno di quelli che ha contribuito a trasformarli. Quello che allora sembrava solo il figlio di una parrucchiera e di un installatore di cucine cresciuto tra i tabloid, che invece di giocare a calcio avrebbe dovuto far parte di una boy-band, è stato in realtà uno dei pochi sportivi ad aver avuto un’influenza oltre i limiti dello sport che praticava. Quella che veniva scambiata per superficialità, per frivolezza, era invece una visione ben precisa. Beckham guardava nella direzione giusta, noi no. È arrivato anche nel momento giusto, nel posto giusto - la moderna Premier League ha debuttato nel ‘92, lui ha esordito tre anni dopo - ed è stato il primo di una nuova stirpe di calciatori-brand per cui i capelli non erano più una distrazione ma part of the job (per dire, oggi la Roma ha il proprio “barber shop” all’interno di Trigoria).

David Beckham, quindi, come padre spirituale di Cristiano Ronaldo, che ne ha ereditato la maglia numero 7 del Manchester United e ne ha aggiornato il ruolo di icona sui principi del capitalismo finanziario (senza l’aura “reale” tipicamente britannica, cioè, anche perché a Ronaldo è mancata la sua Posh Spice per completare la coppia). Certo, c’era anche l’ingenuità di inizio secolo nel sorriso da figlio-fidanzato-padre ideale di David Beckham, rispetto alle nuovissime generazioni di calciatori che si comportano come una via di mezzo tra il futuro Presidente della Repubblica del proprio Paese di origine e un supereroe minore tra quelli nel cast degli Avengers - magari come degni sostituti dell’androide Vision, che su Wikipedia è definito come “costantemente in lotta per affermare e mantenere la propria precaria umanità”.

Beckham ha fatto tutto apparentemente senza sforzo, conservando la propria condizione umana anche dopo essersi trasformato in un marchio, come se davvero fosse stato un membro segreto della famiglia reale. Ma differenza di Ronaldo e di tutti quelli venuti dopo di lui ha finito col mettere in ombra il suo talento sportivo. David Beckham non era il calciatore più forte del pianeta (anche se è arrivato secondo nella classifica del Pallone d’Oro del 1999, dietro a Rivaldo), ma il più bello; Cristiano Ronaldo vuole essere entrambe le cose. La fama ha trasportato Beckham su un piano che era oltre la competizione e i sacrifici del calcio di alto livello; Ronaldo invece è un monumento ambulante al sacrificio di sé come valore che sublima e schiaccia al tempo stesso la competizione (e quindi il successo). Beckham era quello che gli uomini del secolo scorso non sapevano ancora di voler diventare; Ronaldo un modello fondamentalmente inimitabile che possiamo inseguire all’infinito. David Beckham è un imprenditore; Cristiano Ronaldo è un’idea platonica.

Quando ricordiamo Beckham il suo talento calcistico viene sempre messo in secondo piano. Ricordiamo che tirava bene le punizioni, che è davvero la forma più pigra in cui si può esprimere il talento di un calciatore. D’altra parte anche Sir Alex (Ferguson) ha detto che «da quel momento», dopo il matrimonio con Victoria, cioè, «la sua vita non è stata più la stessa», che il calcio per lui non era tutto. Ferguson - che lo ha convinto ad andare allo United in una cena il giorno del suo 14esimo compleanno, che lo ha lanciato nel calcio professionistico, che lo ha colpito con uno scarpino in faccia durante un litigio a fine primo tempo, che lo ha multato per essersi preso cura del figlio saltando l’allenamento mentre Victoria era alla settimana della moda di Londra, che forse qualcosa di personale contro di lui e contro quello che rappresentava ce l’aveva - ha anche detto di aver lavorato con solo quattro fenomeni, e Beckham non era tra quelli nominati (Cantona, Giggs, Scholes, Ronaldo).

George Best ha detto di Beckham: «Non usa il sinistro, non sa colpire di testa, non sa fare un contrasto e non segna molti gol. Ma a parte questo è un buon giocatore». Ma è possibile che Beckham abbia vinto quello che ha vinto - prima dei 28 anni aveva già sei Premier League in otto anni da titolare al Manchester United, la Champions del ‘99 in cui ha calciato i due angoli con cui lo United ha ribaltato a tempo scaduto la finale con il Bayern, un’Intercontinentale; poi anche una Liga, una Ligue 1, due MLS e varie coppie nazionali - e sia diventato il terzo giocatore inglese con più presenze in Nazionale, solo perché tirava bene i calci piazzati? Solo perché era bello?

Eppure era davvero così che io ricordavo David Beckham. Prima di perdermi in un vortice di sue raccolte di assiste gol, con tutte le maglieche ha indossato, e aver trasformato i miei “preferiti” in gif da guardare in loop come se fossi io l’ultimo uomo rimasto sul pianeta e avessi ancora un po’ di elettricità e di internet da consumare prima di accettare il mio destino. Perché a quel punto mi sono reso conto che il nostro - solo mio? - modo di ricordare Beckham non rende giustizia al suo piede destro. A uno dei piedi destri, cioè, più precisi e sensibili che abbia mai colpito una palla da calcio. Un piede stupefacente, dotato di fantasia, potente, delicato, aggraziato e violento al tempo stesso. Forse il modo migliore di ricordare David Beckham, quello che veramente rende giustizia al suo talento calcistico, è come icona fashion e miglior crossatore mai esistito nell’epoca post-YouTube.

Diego Maradona non amava particolarmente David Beckham. O, per lo meno, una volta ha detto: «Ha un buon calcio lungo, ma non è un grande giocatore. Non fa parte della categoria di giocatori migliori in assoluto. Ci sono centinaia di Beckham che giocano a calcio in giro per il mondo». Maradona ha ragione - può avere torto? - perché in fondo calciare bene la palla è un prerequisito per ogni calciatore di talento, ad ogni latitudine e ad ogni livello: la bellezza di una punizione di Beckham è la stessa di tutte le belle punizioni. Nello specifico, però, le palle che escono dal piede di Beckham hanno una qualità diversa da tutte le altre. Prendete la punizione segnata a tempo quasi scaduto contro la Grecia, all’Old Trafford, con cui Beckham ha portato l’Inghilterra al Mondiale del 2002 (ripagando in parte il pubblico inglese dal dolore dell’espulsione contro l’Argentina nel ‘98, che ha contribuito all’eliminazione). La palla gira talmente tanto che nei primi metri dà l’impressione di passare sopra la barriera e andare sul secondo palo e il portiere, Nikopolidis, fa un passetto laterale da quella parte. Poi la palla improvvisamente piega dalla parte opposta e sembra cambiare velocità.

https://twitter.com/FootyAccums/status/1313394406783889408

Roberto Carlos ha detto che ai tempi del Real lui e Beckham si mettevano entrambi vicini al pallone prima di decidere chi dei due avrebbe tirato un calcio di punizione: «Ma io volevo guardare Beckham calciarla, perché è bellissimo come colpisce la palla». Ma la bellezza rischia di distrarci da quello che veramente conta. In un video tutorial di quelli in cui una persona superdotata finge che il proprio talento sia apprendibile, Beckham spiega a un gruppo di ragazzi che gli piace crossare a giro, con l’interno del piede, perché «confonde il portiere», che pensa gli stia arrivando addosso e invece poi curva e si allontana da lui. Quindi la capacità di David Beckham non era solo quella di calciare bene la palla, ma calciarla talmente bene in modo da ingannare o quanto meno cogliere di sorpresa i difensori e il portiere avversario. Nella punizione contro la Grecia l’illusione è tutto, perché la palla va sul palo “del portiere”, perché Nikopolidis aveva messo la barriera sul suo palo sinistro anche se il punto di battuta era leggermente alla sua destra, e se ne avesse intuito la traiettoria probabilmente sarebbe anche arrivato ad intercettarla.

L’effetto sorpresa in realtà è una componente fondamentale dello stile di David Beckham. Almeno tanto quanto l’eleganza dei suoi movimenti, il braccio sinistro che si alzava quasi per sottolineare il movimento opposto della gamba destra, allungata all’indietro per prendere lo slancio come una mazza il driver di un golfista; il piede d’appoggio sinistro, che con la torsione della gamba sinistra si piegava finendo per poggiare a terra con l’esterno anziché con la pianta. Quando la palla usciva dal piede di Beckham solo lui sapeva dove sarebbe atterrata, perché solo lui aveva davvero presente la potenzialità del suo calcio.

Un esempio potrebbe essere il gol segnato al Wimbledon, da dietro la linea di centrocampo (a quanto pare ci aveva già provato in quella partita e Ferguson aveva promesso che lo avrebbe tolto se ci avesse riprovato), ma ce ne è uno migliore. Se nel video dell’assist per Ronaldo contro il Saragozza, facilmente reperibile su internet, mettete pausa nel momento in cui colpisce la palla, pur sapendo che la palla finirà al centro dell’area a Ronaldo, appunto, difficilmente potrete prefigurare la traiettoria del cross che passa esattamente sopra la testa del difensore avversario e atterra poi sul piede del compagno. Ronaldo stesso sembra un sorpreso e parte leggermente in ritardo, costringendosi poi a colpire la palla in scivolata.

Molti cross di Beckham in realtà non erano affatto dei cross, piuttosto dei lanci molto precisi, o molto tesi, recapitati con un drone invisibile sui piedi dei compagni direttamente nelle zone più sensibili del campo. La sua visione di gioco è la vera qualità che lo rendeva una minaccia da qualsiasi punto del campo fosse e che gli permetteva di servire gli attaccanti con costanza anche senza poter contare sul dribbling per crearsi lo spazio necessario (strano che George Best abbia dimenticato proprio questo nell’elenco delle mancanze di Beckham). Anche praticamente da fermo, come nel caso dell’assist per Ronaldo contro il Saragozza. Rispetto a tutti i potenziali Beckham in giro per il mondo di cui parlava Maradona, il vero Beckham ha messo troppe volte la palla esattamente sulla testa di Dwight Yorke, van Nistelrooy o Ronaldo per non capire che c’è qualcosa di insolito, di speciale, che aveva solo lui. Qualcosa che è appena visibile nella qualità dei suoi cross.

https://twitter.com/goal/status/1310555606642601984

Il cross è uno strumento in disuso, statisticamente non abbastanza efficiente. In Premier League, ad esempio, si crossa sempre meno: secondo Alfredo Giacobbe negli ultimi quattro anni i cross sono diminuiti complessivamente del 4%. In uno studio del 2013 (Jan Vecer, Frankfurt School of Finance and Management) intitolato “Crossare ha un forte effetto negativo sulla capacità di fare gol”, si sosteneva addirittura che smettendo di crossare e cercando un’altra soluzione si sarebbe potuto aumentare la possibilità di fare gol, anche perché in Premier servivano 92 cross per ricavare un gol (e variava molto da squadra a squadra, allo United bastavano 44 cross mentre al Southampton ne servivano 143).

Oggi è generalmente accettata l’idea che sia una soluzione aleatoria e che quando una squadra crossa troppo (tipo l’Italia di Ventura che nella partita di ritorno con la Svezia ha effettuato 51 cross senza sbloccare lo 0-0, perdendo lo spareggio per il Mondiale) c’è qualcosa che non va. Il cross è uno strumento difficile da analizzare, secondo Alfredo Giacobbe bisognerebbe «distinguere cross alti e bassi, cross al centro e cross dietro. Vedere le percentuali di "riuscita" rispetto alle zone di partenza e alle zone di caduta, anche se andrebbe definito questo parametro di "riuscita"». Perché non basta che il cross venga colpito da un compagno perché diventi un buon cross: se il compagno ad esempio arriva appena a toccare la palla di testa, la colpisce indietreggiando o così debolmente che di fatto la passa al portiere, forse non è giustissimo parlare di cross utile. Allo stesso modo su un bellissimo cross, fatto col tempo giusto, che arriva con l’angolo e la forza giusta, un centravanti può mancare del tutto l’impatto per motivi indipendenti dal cross, per semplice imperizia o perché ostacolato dal marcatore o dal portiere. In definitiva, il cross dipende da troppe variabili. Il potere di David Beckham era quello di annullare l’influenza di tutte le variabili tranne una: la qualità del suo cross.

Nel caso di Beckham, è il cross a trovare l’attaccante e a metterlo in condizione di calciare a rete, o addirittura ad attirarlo nello spazio dove sta cadendo la palla. Uno spazio di cui l’attaccante scopriva l’esistenza solo dopo che il passaggio era atterrato su di lui. Beckham anticipava il movimento dei compagni d’attacco che dovevano solo seguire la palla, nello spazio creato dal cross. Non solo le sue palle sono finite magicamente calamitate sulla testa del centravanti in mezzo alle teste di due difensori troppe volte per pensare che si trattasse di un incrocio felice (secondo Opta sono 148 assist tra Premier, Liga, Ligue 1, Serie A e MLA, anche se ovviamente non sono tutti cross né tutti assist dall’esterno) ma spessissimo l’informazione necessaria per fare gol - ecco come devi colpire questa palla - era contenuta nella traiettoria del cross stesso.

È vero che Beckham ha avuto a disposizione grandi finalizzatori, che avevano più spazio a disposizione di quello che avrebbero oggi ad alto livello (e che forse colpivano meglio di testa di quanto facciano oggi molti attaccanti), ma è vero anche che per colpire le palle di Beckham spesso non dovevano neanche aggiustare il passo della loro corsa, spostarsi neanche di mezzo metro, e quasi sempre colpivano palloni che avevano curvato tanto da andargli incontro come se provenissero da fondo campo. Non dovevano girarlo in porta torcendo il collo, facendo perdere velocità alla palla, bastava colpirla con la fronte piena, senza farle perdere potenza.

Rooney ha detto che amava giocare con lui perché: «Sapevo che mi bastava correre e lui me l’avrebbe messa sulla testa o nello spazio». A volte poi l’idea alla base era così difficile da immaginare che persino i suoi compagni erano sorpresi. Se chiunque può mettere la palla sul secondo palo, pochissimi hanno sfruttato il territorio all’esterno dell’ultimo difensore come Beckham. Nell’assist contro il Valladolid serve una palla in diagonale che squarcia il campo come una tela di Fontana, e finché la palla non atterra sul collo del piede sinistro di Zidane non è chiaro se la palla fosse per lui o per Ronaldo. Ma è troppo precisa per Zidane per pensare che fosse in realtà per Ronaldo.

Il mio preferito in assoluto è un assist, perso in una delle moltissime compilation, tutte lunghissime, coi suoi migliori passaggi, effettuato contro una squadra in blu che non riesco a riconoscere per via della qualità del video. Non riconosco neanche il compagno di Beckham, che da come si muove e dalla conclusione potrebbe essere van Nistelrooy. Lui sta quasi sulla riga laterale e colpisce fortissimo d’interno, dando un effetto così forte alla palla che - questo si vede solo guardando con molta attenzione l’immagine sgranata - quando tocca terra stringe ulteriormente l’angolo, curva ancora di più verso il centravanti. Ma la cosa assolutamente unica di quella palla è che sfila con tutta la calma e la grazia del mondo davanti a un difensore. Beckham non ha solo calcolato il rimbalzo, ma ha anche calcolato che il difensore non ci sarebbe arrivato. Una superiorità di questo tipo è degna delle migliori azioni uno contro tutti e dei migliori dribbling spezza-caviglia, ricorda la superiorità tecnica e atletica dei calciatori migliori. E forse l’aspetto più moderno di Beckham è che anche se non regge il confronto con i numeri e i successi dei grandi calciatori contemporanei può competere con loro su YouTube.

D’accordo, quindi come dovremmo ricordare David Beckham? Che posto occupa nel Pantheon dei calciatori più forti degli ultimi 20-30 anni?

Solo vedendolo giocare insieme ad Eric Cantona ci rendiamo conto che parliamo di un calciatore non proprio coevo di Ronaldo e Messi. Il calcio in cui è cresciuto Beckham era totalmente diverso da quello che ha lasciato relativamente poco tempo fa, mentre il calcio in cui sono cresciuti Messi e Ronaldo era il calcio “di Beckham”. Una sensazione confermata dal ricordo che Beckham ha lasciato con la Nazionale inglese e con lo United soprattutto. Cristiano Ronaldo ai tempi ha detto: «Sarei orgoglioso se un giorno godessi della stessa stima di George Best e David Beckham» Il calcio in cui sono cresciuti Messi e Ronaldo era il calcio di Beckham Per questo va piuttosto ricordato come un calciatore-cerniera, come Ronaldo il brasiliano, Roberto Carlos, Owen, Ronaldinho, Zidane, Henry, Kakà, quei calciatori con un piede in un’epoca calcistica passata e uno in quello di oggi.

Ferguson ha detto che Beckham era ossessivo nell’allenare i calci di punizione ed è famosa la storia di come la disciplina di Cantona abbia influito sulla “classe ‘92” dello United, costringendo proprio i ragazzi più giovani (Neville, Scholes, Beckham) a restare in campo a fine allenamento per farlo allenare sul colpire la palla da cross. Che fortuna, eh? Beckham stesso si racconta come più normale di quello che è: «Non mi vedo molto diverso da ogni altro padre di famiglia che lavora duro». La memoria che vorrebbe lasciare è un ricordo tutto sommato banale: «Vorrei solo che le persone mi ricordassero come un calciatore che lavorava sodo, uno che, ogni volta che ho messo piede in campo, ha dato tutto quello che aveva». Si sa che la distanza che separa gli uomini di talento dal loro dono è incolmabile, dovremmo smetterla di chiedere proprio a loro di spiegarci cosa li renda speciali. Il loro ricordo è una nostra responsabilità. David Beckham va ricordato come il calciatore - non il primo, né l’unico - che ha fatto vedere a una nuova generazione di spettatori e di calciatori in erba che nel calcio anche la classe contava. Che il calcio non era solo uno sport da uomini duri, che sapevano imporsi con la forza in un contesto di uomini forti, ma anche per quelli che sapevano farlo con eleganza. Ha dimostrato, con i mezzi a sua disposizione, che la bellezza non è solo superficialità, ma anche un valore.

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