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Mister Fantastic
22 feb 2018
Il portiere spagnolo del Manchester United sta facendo una stagione semplicemente pazzesca.
(articolo)
13 min
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Il pubblico dei due stadi di Manchester, distanti poco più di 6 chilometri l’uno dall’altro, ha l’onore e la fortuna di potersi godere dal vivo due tra i migliori portieri al mondo, Ederson Moraes e David De Gea. Se il brasiliano del Manchester City (ne abbiamo scritto approfonditamente qui) è uno dei massimi esponenti della categoria “sweeper keeper”, lo stile dello spagnolo del Manchester United è legato ad un’interpretazione più tradizionale del ruolo, che si fa apprezzare soprattutto per il talento nel difendere la porta. Un talento che, rispetto a quello del sudamericano, ha impiegato più tempo per imporsi in Premier League.

Arrivato dall’Atletico Madrid nell’estate del 2011 per 18,9 milioni di sterline, De Gea (classe ’90) all’inizio ha sofferto l’impatto con l’Inghilterra. Nella prima parte della stagione finisce 9 volte in panchina ed Eric Steele, l’allenatore dei portieri di quello United, definirà i suoi primi 6 mesi “orrendi”. Lo spagnolo vorrebbe tornare in patria, ma Ferguson lo convince a restare, lavorando sulla sua dieta e sul suo fisico.

“Un suo problema era il peso – racconta il tecnico scozzese - pesava solo 71 chili. Abbiamo lavorato con lui dentro e fuori dal campo per potenziarlo. Abbiamo cambiato il suo stile di vita. Avrebbe voluto allenarsi e andare a casa. Quando gli ho detto di tornare nel pomeriggio, mi ha risposto: Perché?”.

Grazie anche alla palestra (“la odiava”) e agli integratori proteici il portiere si è strutturato a livello fisico, fino ad arrivare agli attuali 76 chili. L’anno successivo vincerà la prima (e fin qui unica) Premier League della sua carriera, conquistando anche il titolo di miglior portiere della lega.

Tanto vale farvela vedere subito se non l’avete vista: questa è la parata strepitosa che ieri sera su Muriel, che ha tenuto lo United sul comodo 0-0 a Siviglia.

Una stagione incredibile

Quello di De Gea è stato un processo di formazione lento e costante, grazie a cui ha ribaltato la percezione dell’osservatore: ieri lo guardavamo con diffidenza anche dopo un intervento decisivo, tenendo presente un’inclinazione all’errore che avrebbe potuto tradire ogni fiducia da un momento all’altro, ma oggi proiettiamo su di lui un’idea di infallibilità e insuperabilità che è il riconoscimento simbolico massimo che possiamo assegnare a un portiere.

Soprattutto per quello che sta facendo in questa stagione, in cui ha elevato il suo rendimento a livelli irreali, al punto che oggi il Manchester United è la squadra con meno gol subiti (19) in Premier League. Se si associa questo primato all’efficienza della fase difensiva dei Red Devils si scade nella strumentalizzazione: lo United in realtà concede 11,7 tiri a partita in campionato (ben sette formazioni in PL ne subiscono meno) ed è solo la quinta del campionato come numero di xG subiti, 31,74 (come fonte per i numeri in questa occasione abbiamo usato understat.com). Una differenza tra gol realmente subiti e gol (statisticamente) attesi di +12,74. Lo United, cioè, avrebbe potuto subire quasi 15 gol in più, un dato allucinante. A parte il Burnley, una realtà sui generis che è solita difendere portando tanti uomini in area, la cui differenza tra gol subiti e gol subiti attesi si attesta a +14,40, nessun’altra inglese si avvicina a un saldo di questo tipo: la terza in questa graduatoria è lo Swansea (+4,85), seguito dal Newcastle (+4,27), Bournemouth (+2,38) e Chelsea e Brighton con un saldo leggermente positivo (+0,63 e +0,18 ).

Queste sette sono le uniche a vantare una differenza negativa, da cui è possibile dedurre che stiano facendo registrare numeri difensivi superiori alle attese, che stiano, come si dice, più o meno overperformando. Lo United però rappresenta un caso davvero limite, più che eccezionali, e i suoi numeri sono figli soprattutto delle performance di De Gea, che effettua esattamente 5 parate per ogni gol subito (sono 85 salvataggi in totale per 17 gol subiti, esclusi i rigori). Questa statistica, già di per sé inavvicinabile, assume ancora più valore se incrociata ai 7,9 xG (quasi il 25% sul totale) che la squadra di Mourinho subisce dentro l’area piccola.

Lo spagnolo sta manipolando la realtà, piegandola alla propria volontà. Ad Highbury, nel 3-1 con l’Arsenal del 2 dicembre ha effettuato 14 parate ed eguagliato il record di Mannone e Krul di interventi compiuti in un match di Premier. Sotto di due reti già dopo 11 minuti, i Gunners hanno approfittato dell’eccessivo quanto consueto appiattimento dello United sul portiere per mettere sotto assedio l’area avversaria, ma non sono bastati 34 tiri (di cui 17 scoccati entro i 16 metri) da 4,24 xG complessivi per ribaltare il risultato. Il lassismo delle prime due linee rispettivamente da 5 e 3 uomini della formazione di Mourinho ha ricordato quello dei respingenti di un flipper, il cui unico scopo era quello di presidiare l’area per contrarre l’ineluttabile tiro di un giocatore dell’Arsenal, più che cercare il recupero attivo della palla. Un invito a nozze per i giocatori di casa, i quali però hanno sbattuto su un De Gea che ha messo il punto esclamativo ad un’annata in cui sta spostato verso la fantascienza il concetto di imbattibilità del portiere.

Tra i 14 interventi compiuti, il più clamoroso è la doppia parata su Lacazette e Sanchez al minuto 56.

Un muro di gomma.

Durante l’ennesima azione insistita della squadra di Wenger, Iwobi serve Lacazette, il quale si trova tra il limite dell’area e il dischetto del rigore. Il controllo orientato del francese con cui si sposta la palla sul sinistro manda a vuoto il tentativo di anticipo di Rojo, permettendogli inoltre di andare al tiro da una decina di metri dalla porta senza avversari davanti a sé. L’ex attaccante del Lione lascia partire un sinistro basso e potente sul primo palo destinato ad entrare, ma De Gea, grazie al “levagamba” e a un tempo di reazione prossimo allo zero, va subito a terra e arpiona letteralmente la palla con la mano destra. Dettaglio non trascurabile: prima del tiro, il numero uno compie un passo impercettibile quanto determinante verso la sua destra perché si rende conto che Lacazette con quello stop a seguire e da quella posizione decentrata difficilmente disporrà di un angolo di tiro sufficiente per incrociare il sinistro, e “scommette” quindi sulla conclusione più comoda, quella cioè sul primo palo.

La respinta corta sembra un comodo tap-in per Sanchez, invece l’estremo difensore in un nanosecondo risolleva il busto e, facendo leva con il braccio destro e la gamba sinistra sul terreno, compie un balzo che gli consente di allungare la gamba destra con cui si oppone al tocco del suo futuro compagno di squadra.

Nel dopo gara Mourinho dirà di aver visto il miglior portiere al mondo.

L’uomo allungabile

Quel che è certo è che nessuno in Premier League difende la porta come De Gea. In questo campionato ha raggiunto una sicurezza e una consapevolezza nei suoi mezzi tali che non solo ha azzerato gli errori tra i pali, ma sta anche neutralizzando la maggior parte dei tiri, parabili e non. Sta finalmente dando sfoggio con continuità delle sue qualità tecniche e della sua capacità di prendere le decisioni migliori in frazioni di secondo.

De Gea spinge sulle gambe solo quando è lontano dalla palla e utilizza la mano di richiamo soltanto sui tiri alti e angolati. In più, si sta affermando come l’interprete più affidabile in circolazione nel fondamentale della presa: questa in particolare è un’attitudine in controtendenza con il calcio contemporaneo, fatto di palloni dalle traiettorie imprevedibili che costringono gli estremi difensori a rifugiarsi preventivamente nella respinta laterale. Il livello di maturità a cui sta arrivando De Gea, invece, gli consente di bloccare non solo quei tiri sulla figura, su cui è sufficiente portare la palla al petto, ma anche quelli lontani dal corpo (teoricamente più insidiosi) dove è necessario allungare le braccia in contemporanea.

Quando deve intervenire frontalmente su un tiro centrale, opta per una presa anticonvenzionale: non esegue cioè un gesto unico, ma scompone la parata in due fasi distinte. Prima attacca la palla con le mani, solo in un secondo momento la avvicina il petto. Un movimento rallentato che esegue forse per evitare di perdere la sfera mentre la porta al tronco. Quando riceve una conclusione sulla figura particolarmente potente, che non reputa “bloccabile”, preferisce ritirare gli arti superiori davanti al ventre e respingere tenendo i pugni chiusi, che usa a mo’ di scudo.

Dalla media-lunga distanza De Gea dà sempre la sensazione di avere sotto controllo la traiettoria del tiro e di poterla deviare con relativa facilità, in particolare quando si distende per intervenire su una conclusione bassa e angolata. In queste circostanze - dove molto spesso legge correttamente le intenzioni del tiratore e con il “presalto” accorcia la distanza dal palo e allo stesso tempo si prepara alla parata - emergono una plasticità, un’esplosività, una tecnica e una naturalezza tali in queste circostanze che sembra nato apposta per compiere tuffi rasoterra a ripetizione.

È semplicemente spaventosa la sua capacità di coprire le porzioni laterali della porta, comprese quelle più lontane dal centro e soprattutto quelle adiacenti alla parte inferiore della figura (teoricamente le più complicate da difendere) almeno quanto la rapidità grazie a cui è in grado di abbassarsi e tuffarsi radente al terreno. È incrediblmente reattivo sia nel levagamba, sia nei tuffi classici (con o senza spinta sulle gambe).

In questa stagione para qualunque tiro sulla figura. Compreso questo colpo acrobatico a botta sicura di Jesé.

Sui tiri da distanza ravvicinata rimane in piedi e mantiene il busto eretto fino all’ultimo istante utile, cercando di coprire il centro della porta. In questo modo toglie all’attaccante l’opzione del tiro alto o centrale, obbligandolo ad angolare il tentativo a rete. Uno stile mutuato dal futsal, a cui ha giocato fino a 14 anni, ma come pivot. Sulle parate in opposizione molto spesso assume la posizione della croce iberica proprio per ampliare il volume della figura, mentre sulle conclusioni di prima da sotto misura interviene in spaccata come fosse un portiere di hockey, o effettuando la respinta con i piedi. Parate magari esteticamente non purissime, ma di un’efficacia senza pari.

È puro istinto” ha raccontato lui al sito del club. “Qualcosa che fai automaticamente. Non è che pensi: ho intenzione di usare i piedi. È semplicemente una reazione, a volte la palla si avvicina al corpo e non c’è abbastanza tempo per andare giù. Sono sempre stato discreto con i piedi ed è un’altra abilità a cui puoi ricorrere”.

Nessuno è perfetto

De Gea però ha un approccio in un certo senso “passivo”, quando si tratta di intervenire a contrasto o in opposizione sugli attaccanti che si avvicinano alla porta prima di calciare non attacca la palla né accorcia verso l’avversario, piuttosto resta nell’area piccola alla ricerca del posizionamento ottimale limitandosi a spostarsi lateralmente. Copre lo spazio della porta aiutato dai difensori e non è da escludere il fatto che Mourinho mantenga la linea difensiva così bassa anche per creare un contesto che assecondi il suo estremo difensore, restio ad uscire.

Contropiede del Leicester, che si gioca un comodo 2 vs 1. L’opzione più comoda per Mahrez, affrontato da Smalling, è l’appoggio per l’accorrente Vardy. Una situazione piuttosto semplice da leggere, ma De Gea non accorcia sull’attaccante inglese, forse perché preoccupato da un eventuale pallonetto dell’ algerino. Mahrez alla fine farà la cosa più intuitiva, ossia premiare la corsa del suo compagno, il quale batterà con un diagonale un De Gea che tenta un’uscita in spaccata con colpevole ritardo.

Le uscite sono il suo unico e vero tallone d’Achille: negli anni precedenti l’ex Atleti si è dimostrato incerto a livello tecnico e decisionale, finendo per attaccare la palla con i tempi sbagliati e sguarnire la porta. Nell’ultimo triennio De Gea ha rivisto il suo stile allo scopo di diminuire gli errori, il problema però è che oggi esce in presa alta solo quando non ha avversari nei paraggi che gli possono contendere la palla e si sente realmente convinto di poterla bloccare.

Sicuramente è diventato più composto e ordinato negli interventi, ma la scelta di ridurre le uscite per limitare gli errori diretti non agevola la squadra, anzi la costringe sulle palle inattive ad un lavoro supplementare per coprire l’area, aumentando dunque il rischio di subire gol. Negli spazi intasati riscontra difficoltà a prendere posizione e sfruttare il vantaggio di poter usare le mani e, stazionando tra i pali, innesca questo circolo vizioso. Poco propenso ad intervenire pure sui cross bassi o a mezza altezza che tagliano l’area piccola, sui quali non si avvicina al primo palo, ma preferisce rimanere al centro della porta.

De Gea è il portiere che effettua meno uscite della Premier, appena 0,85 a partita: da un lato è vero che troviamo diverse formazioni nel campionato costrette per più tempo a giocare la fase difensiva e che quindi sollecitano di più il proprio numero uno in questo fondamentale, ma si tratta comunque di un dato basso, specie se rapportato a quello di chi accumula un numero inferiore di eventi difensivi.

Una panoramica sui portieri della PL (aggiornata all’ultima di campionato). Nella terza colonna sono evidenziati i numeri delle squadre che subiscono meno xG dentro l’area piccola, ben 8. Il che certifica una volta di più l’incidenza delle prestazioni di De Gea sulla fase difensiva dello United.

Lo United di Mourinho è una squadra reazionaria rispetto ai canoni contemporanei, orientata sul gioco speculativo, che non prevede la costruzione dell’azione dal basso e se può cerca il lancio lungo per sfruttare la fisicità dei suoi corazzieri e conquistare le seconde palle. Va da sé che allo stesso De Gea non venga chiesto di impostare l’azione, bensì di verticalizzare sui centrocampisti o sulle punte: dei 26,8 passaggi tentati ogni 90’, ben 7,8 sono lanci (quasi uno ogni 3 passaggi). Talvolta rinvia quasi in maniera rassegnata, altre volte invece ignora i difensori centrali che si aprono sui vertici dell’area per ricevere la palla, fatto sta che difficilmente opta per la giocata corta e, quando prova ad esempio ad allargare il gioco su un esterno, non sempre lo fa con sufficiente precisione.

In una squadra anacronistica come quella di Mourinho, è un po’ come se De Gea a sua volta fosse ancorato ad un concetto di portiere old style, meno formato su quegli aspetti del gioco (le uscite, la costruzione dell’azione) che hanno determinato l’evoluzione del ruolo. Il madrileno però è stato protagonista di una crescita esponenziale culminata in un 2017-’18 fin qui superlativo, che sta nascondendo le lacune di formazione e che l’ha portato a sedersi al tavolo dei migliori portieri.

Il passaggio al Real Madrid per 30 milioni più il cartellino di Keylor Navas pareva cosa fatta il 31 agosto del 2015, invece il trasferimento è incredibilmente saltato a causa di problemi burocratici. Pochi giorni più tardi lo spagnolo ha firmato un quadriennale con il club di Manchester in scadenza a giugno del 2019 ed è probabile che in estate il Madrid torni alla carica per lui, a maggior ragione dopo che la sua alternativa Kepa Arrizabalaga, a un passo dai Blancos nella sessione di gennaio, ha rinnovato con il Bilbao. In questo biennio il Manchester United, pur avendo conquistato Fa Cup, Coppa di Lega, Community Shield ed Europa League, non è mai stato in corsa per la Premier né per la Champions League ed è facile pensare che il numero uno abbia rimpianto il mancato trasferimento in una società che nello stesso periodo ha vinto una Liga, due CL, due Supercoppe europee e due Mondiali per club.

De Gea è titolare della nazionale spagnola, è stato eletto miglior portiere della Premier League per ben 4 volte dal 2013, ed è all’apice della sua maturità (compirà 28 anni il prossimo 7 novembre). Nel futuro prossimo verosimilmente privilegerà la squadra che gli garantirà maggiori possibilità di successo, e non è escluso che sarà per lui l’occasione per crescere ulteriormente.

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