Mancano trenta secondi alla fine del primo tempo, l’Atalanta sta vincendo 2-0 al Maradona di Napoli, contro la squadra prima in classifica, contro la miglior difesa del campionato. La squadra di Conte non vede l’ora di tornare negli spogliatoi per provare a resettarsi, quella di Gasperini è un minuto e mezzo che tiene palla nella metà campo avversaria. Passando da destra a sinistra, da sinistra a destra. Kolasinac e Djimsiti sono altissimi, Lookman e de Ketelaere provano a turno ad abbassare la linea a quattro napoletana che, a sua volta, cerca di mantenere la propria linea di galleggiamento sul limite dell’area di rigore.
A un certo punto Ederson trova de Ketelaere libero davanti a Oliveira. Il terzino del Napoli resta in posizione, con un occhio sul belga e uno su Zappacosta, che minaccia la profondità sull’esterno. Buongiorno, lì vicino, era impegnato insieme a Rrhamani a tenere d'occhio Pasalic, riferimento centrale, ma lo lascia per andare incontro a De Keteleare. Arriva anche McTominay, in raddoppio. Dopo aver controllato la palla, De Ketelaere sta fermo, accenna a un dribbling sul posto ma in realtà non fa neanche un passo. Buongiorno e McTominay accorciano, accorciano, ma non abbastanza, De Ketelaere prende la mira e mette la palla in testa a Pasalic, alle spalle di Rrhamani.
Pasalic colpisce in tuffo e non prende lo specchio, non era una palla facilissima, ma sarebbe stato il terzo assist in un tempo per il giocatore belga - dopo il primo di testa e il secondo con una sventagliata di sinistro. Nei successivi quarantacinque minuti andrà di nuovo vicino alla tripletta di assist, con un altro colpo di testa su angolo, che Kolasinac ha corretto in rete partendo però da una posizione di fuorigioco.
Quando una squadra abbassa il proprio baricentro lo fa, si dice, per negare gli spazi. Quando una squadra fa fatica a entrare nell’area di rigore avversaria con la palla, si dice, è perché non ci sono spazi. Si difende bene, e si fatica ad attaccare, quando non c’è spazio in profondità e non ci sono spazi tra le linee. Si dice così, ma non è vero. Gli spazi ci sono sempre. In profondità e tra le linee. Quello che manca, semmai, è la capacità di occuparli, di farci arrivare il pallone, e poi di sfruttarli tecnicamente.
Momenti come quello descritto sopra sono esemplificativi dell’abilità dell’Atalanta di mettere i propri giocatori nelle condizioni di giocare tecnicamente. Ricorderemo l’Atalanta di Gasperini per come ha riportato le marcature a uomo nel calcio di alto livello, per la sua organizzazione e per le qualità atletiche nella fase difensiva, ma dovremmo fare più attenzione a quello che fa con la palla. Non è solo una squadra verticale, né tanto meno una di transizioni, quando deve fermarsi si ferma, oscilla da un lato all’altro del campo, Lookman e de Ketelaere prima scattano in profondità, poi vengono incontro, ogni volta che la palla è dalla parte dell’uno o dell’altro. Pasalic occupa il centro come fa il centravanti, quando è in campo, Ederson è a supporto, persino Kolasinac e Djimsiti sono alti.
L’Atalanta va avanti per tentativi, Lookman e De Ketelaere provano a sorprendere la difesa correndogli alle spalle e, se non funziona, prendono il tempo al difensore per frenare e liberarsi incontro, quel paio di metri che bastano per ricevere palla sui piedi e controllare. Fino a qui è una questione di movimenti, di coordinazione e comprensione con i compagni, quando la palla è nei loro piedi entra in gioco la tecnica.
L’azione del secondo gol dell’Atalanta. Comincia sempre con una ricezione “furba” di CDK. Appena ricevuto il pallone rallenta, come per attirare Oliveira dietro a sé, poi accelera verso l’esterno, guadagnando un paio di metri su Oliveira che, ancora nella metà campo offensiva, non percepisce il pericolo. Buongiorno accorcia sulla linea laterale ma quando CDK rientra con l’esterno Oliveira è leggermente in ritardo e non arriva sul pallone. A quel punto arriva il cambio di gioco su Lookman che, con la difesa che copre la profondità, riceve sui piedi: non si può negare sia la profondità sia la ricezione tra le linee.
Per essere comprensibile e coinvolgente per tutti il calcio vive di esagerazioni. Persino allenatori o calciatori intelligenti, con una conoscenza del calcio profonda e un gusto raffinato, ricorrono a semplificazioni, come Karim Benzema quando parla di “giocatori che ti fanno dire wow” (almeno avesse parlato di giocatori che te ne fanno dire tre di wow…). Ma come raccontare un giocatore la cui qualità tecnica principale si nota nelle ricezioni, negli smarcamenti e nelle protezioni del pallone?
Charles de Ketelaere è arrivato in Italia nell’estate del 2022, l’acquisto più oneroso di quella sessione di mercato per il Milan, più di trentacinque milioni. I tifosi milanisti si aspettavano il nuovo Kakà e si sono ritrovati un giocatore stranamente lento, riflessivo al punto da congelarsi, da diventare impacciato. Nel Milan di Pioli era richiesta una capacità interpretativa e una personalità che non aveva e forse non avrà mai (oggi ha ancora 23 anni), le rare giocate di qualità erano annegate in un lago di indecisioni e imprecisioni. All’Atalanta ha trovato la tranquillità di un sistema dove ognuno deve fare il proprio. Non troppo, né troppo poco: il proprio.
Basta vedere la sequenza di articoli che abbiamo dedicato su Ultimo Uomo per riassumere la sua storia. Giugno 2022: “Da dove nasce l’hype per Charles De Ketalaere”. Gennaio 2023: “Perché bisogna essere pazienti con De Ketelaere”. Giugno 2023: “La delusione dell’anno: Charles De Ketalere” (alla fine di quella stagione vinse anche il premio come giocatore “più fumoso”). Agosto 2023: “Lettera d’amore a Charles De Ketelaere”. Febbraio 2024: “Come De Ketelaere ha ripreso vita”. E, infine, giugno 2024: “Il più migliorato: Charles De Ketelare” un premio a lui, a Gasperini e, se permettete, anche alla nostra fiducia (soprattutto quella di Emanuele Atturo che ha scritto quasi tutti questi pezzi) nelle sue qualità.
Ok, un esempio di come una protezione del pallone possa fare la differenza:
Buongiorno ha giocato una grande partita su De Ketelaere, attento, aggressivo, spesso è riuscito a togliergli palla. Ma anche qui il gioco del calcio si rivela crudele con i difensori: è pressoché impossibile negare ogni pallone, ogni ricezione, al proprio avversario. Qui sopra vediamo il Napoli pressare in alto la costruzione dell’Atalanta, che però con due passaggi verticali arriva su De Ketelaere. Notate come al momento di controllare la palla con la suola De Ketelaere sia di fatto seduto su Buongiorno, il modo in cui usa la sua marcatura per mettercisi comodo, come fosse una poltrona: allungandosi a 45° tiene Buongiorno lontano dalla palla.
Poi però si gira verso l’interno del proprio piede sinistro e lì, se non fa attenzione, Buongiorno può togliergli palla. Ma De Ketelaere è molto abile prima a proteggere la palla usando la gamba destra, poi a portarla un pezzettino avanti con il sinistro: un po’ più lontana da Buongiorno, che tiene a distanza lottando con la parte alta del corpo, quel tanto che basta per lanciare su Lookman, sempre di sinistro. A quel punto Lookman e Pasalic sono due contro due con quaranta metri di campo da attaccare.
De Ketelaere è esploso la scorsa stagione quando Lookman era via per la Coppa d’Africa, ma quest’anno è giocandoci insieme che sta trovando una nuova dimensione. Le sue statistiche, per quanto il campione sia limitato dalle poche partite finora giocate, sono quasi tutti in ascesa rispetto alla scorsa stagione: è più preciso nei passaggi e nei cross, perde meno palloni, tira di più e con più pericolosità, soprattutto: fa più assist (dati Statsbomb). La combinazione “De Ketalaere per Lookman” è quella con cui l’Atalanta entra più spesso in area di rigore avversaria dopo quella “Zappacosta per Retegui”, e queste sono le due combinazioni con più ingressi in area di rigore di tutta la Serie A (fonte Calcio Datato).
Un assist dalla fine della scorsa stagione: CDK riceve, si gira, corre verso l’esterno e quando vede Lookman tra i centrali della Fiorentina sterza sul sinistro per eseguire il filtrante. Tutto molto semplice ed eseguito alla perfezione.
De Ketelaere è sempre meno un equivoco tattico. Fermo restando che le sue qualità sono utili in tutti i ruoli d’attacco e che anche Gasperini di tanto in tanto lo ha fatto giocare come riferimento centrale o persino a sinistra, De Ketelaere non è un esterno a piede invertito classico, non è né un dribblomane né uno a cui piace condurre palla in spazi lunghi, andarsene in campo aperto. Al contrario, è un giocatore da spazi stretti, appunto: un giocatore da smarcamenti, ricezioni, rifiniture. È un trequartista di possesso che gioca l’ultimo passaggio, un numero dieci associativo anche quando è in fascia. La sua visione di gioco non dovrebbe ingannare sui limiti del suo talento: in una squadra più statica e prevedibile, con meno opzioni a disposizione, tornerebbe a inaridirsi, appassirebbe, si ripiegherebbe sul suo stesso ombelico.
Continua anche ad essere un giocatore con una percentuale di errori alta. Ed è più difficile perdonarglieli per quell’atteggiamento, quella postura sempre un po’ molle che lo fa sembrare distratto, leggero, superficiale. Chiaro che non è così, De Ketelaere alterna pause a momenti di grande intensità, sembra spegnersi per attirare l’intervento difensivo e poi anticipare all’ultimo momento il marcatore (come quando contro il Napoli rallenta per farsi venire Oliveira addosso e poi accelera lasciandoselo dietro, nell’esempio mostrato sopra nelle immagini).
Contro il Napoli, di rientri come quello che ha portato al secondo gol di Lookman, ne aveva già provati: i raddoppi o la marcatura di Buongiorno lo avevano fermato. Ma lui ha preso piano piano le misure, aspettando il momento giusto. Il suo gioco ha senso in una squadra che abbia un alto volume offensivo, che di palle sui piedi gliene porti più di qualcuna a partita, il più possibile negli ultimi venti-trenta metri, dove può provare a giocare l’ultimo passaggio.
Trovatemi un altro giocatore in grado di fare un assist di tacco nell’area piccola con due uomini addosso.
Questa è la stagione in cui finalmente possiamo goderci il suo talento senza aspettative troppo grandi e senza l’ansia di un fallimento imminente. Abbiamo imparato a conoscere De Ketelaere e la sua peculiarità è sempre più evidente. È un talento raro e prezioso: in un calcio come quello italiano che coltiva l’idea, l’illusione, che sia davvero possibile negare gli spazi agli avversari, ecco un giocatore che più il campo si restringe più è a proprio agio; in una cultura in cui l’errore è considerato peccato, ecco un giocatore che ha bisogno di sbagliare per mettere a fuoco le proprie giocate.
In un Paese dove la difesa è una specie di religione e che immagina gli attaccanti come angeli ribelli e distruttori, che ancora si culla nel ricordo dei veri numeri 9, o tuttalpiù dei numeri 10 di una volta, che non riesce a vedere altro modo per attaccare che sfruttare giocatori con una superiorità fisica o tecnica manifesta, evidente, divina, ecco un trequartista-bambino che ha bisogno dei propri compagni, di muoversi con loro, di cercarli con lo sguardo prima ancora che con il proprio piede sinistro.
Forse tutti sanno già che De Ketelaere ha rischiato di diventare un tennista professionista, che a un certo punto ha dovuto scegliere tra tennis e calcio e ha scelto il calcio anche perché nel tennis gli pesavano troppo i suoi errori individuali. Per sua fortuna, a calcio si gioca in undici. E sarebbe bene che anche chi lo guarda non se ne dimenticasse, quando giudica magari severamente i singoli giocatori.