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Dedicato a Seid Visin
06 giu 2021
Un suicidio che ci riguarda.
(articolo)
5 min
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Tra cinque giorni la Nazionale italiana di calcio esordisce agli Europei. Ci arriva con grande entusiasmo, dopo una vittoria appariscente contro la Repubblica Ceca. Ci arriva come non ci aveva mai abituati, con poche polemiche e problemi e mi piacerebbe molto parlare di queste cose. Per alleggerire l'attesa dell'esordio, potrei parlare delle convocazioni, dell’infortunio di Stefano Sensi, dell’amichevole con la Repubblica Ceca vinta 4-0. Di quanto potrebbe essere l’Europeo della consacrazione internazionale di Ciro Immobile, o di quella di Jorginho, di Barella; di quanto sono felice che, oltre al talento individuale, l’Italia sia una squadra vera, organizzata, preparata.

Ma non ce la faccio. Stavolta non c’è niente che possa alleggerirmi.

Non riesco a non pensare alla morte di Seid Visin e a quelle parole, quella lettera che neanche sembra una lettera, quanto piuttosto un pezzo di diario a sua volta, diventata pubblica e virale in queste ore.

Seid Visin era un ventenne di Nocera Inferiore e pochi giorni scorsi se ne era parlato quando ancora si pensava fosse morto per un “malore improvviso”, in casa. Dato che aveva fatto le giovanili del Milan, sui giornali era descritto come “ex compagno di camera di Gigio Donnarumma”. E la prima cosa a cui non riesco a non pensare è che, probabilmente, se non fosse stato un ex compagno di qualcuno di importante, oggi, non ne avrebbe parlato nessuno.

Poi si è saputo che si trattava di suicidio ed è iniziata a circolare quella lettera. Non la riporto perché non so chi abbia deciso di diffonderla pubblicamente, non so se Seid Visin avrebbe voluto questo, ma non riesco a togliermi dalla testa il suo contenuto. Pare che sia una lettera di qualche anno fa, per questo qualcuno pensa sia stata strumentalizzata. E magari è vero, ma quelle parole bruciano come se qualcuno le avesse marchiate a fuoco sulla carne del nostro Paese e ormai non possiamo farci niente.

Sono lì. Non possiamo farle tornare da dove sono venute. È soprattutto a quelle parole a cui non riesco a non pensare.

Seid Visin era italiano come me e la gran parte dei lettori di queste righe. È stato adottato e aveva la pelle nera. Non era un immigrato ma, ha scritto lui, era stato trattato con aggressività razzista. Ha perso un lavoro perché i clienti rifiutavano di essere serviti da lui. Ha parlato di un clima culturale alterato, peggiorato rispetto a quando era piccolo. Non c’è niente di retorico o ideologico nelle sue parole, ha parlato per esperienza, ha parlato semmai delle conseguenze reali della retorica di alcune forze politiche. E chissà, forse dipende anche dal fatto che i bambini con la pelle nera non danno fastidio a nessuno, mentre per gli uomini e le donne con la pelle nera il discorso è diverso.

Se c’è una cosa che noi italiani sappiamo fare benissimo è negare ogni problema con un’ironia da quattro soldi o con giustificazioni fallaci. Salvini non vede contraddizione nell’esprimere tristezza per la morte di un ragazzo che lo tira in ballo in prima persona, di un ragazzo che al massimo pochi anni fa è stato offeso in suo nome, e ne ha sofferto al punto da volerlo mettere nero su bianco – anche questo è un fatto, salvo voler mettere in discussione la veridicità di quelle parole che, in teoria, non erano neanche destinate a noi.

Noi italiani siamo bravissimi a non farci toccare dalle cose che ci riguardano. Oggi qualcuno si concentra sul fatto che Seid Visin potesse avere disturbi mentali per sminuire il problema del razzismo. Ma le due cose, purtroppo, non si escludono. Così come bisogna essere molto ingenui, o in cattiva fede, per cercare una ragione specifica per cui una persona può decidere di togliersi la vita. E che quella ragione possiamo determinarla noi, post-mortem.

Il minimo che si potrebbe fare, leggendo le prime e le ultime parole di un essere umano che non conosciamo, che non abbiamo conosciuto e non conosceremo, sarebbe prenderle per vere. Ma a quanto pare neanche di questo gli “italiani” – generalizzo, lo so – sono capaci.

Il tema dei disturbi mentali nelle minoranze, nei rifugiati, così come nei senza tetto e in tutti quelli che hanno meno protezioni sociali, è di stretta attualità. Volendo si può fingere che non sia così su Twitter, ma c’è una ragione se, come riportano diverse testimonianze, nei Centri di Permanenza per il Reimpatrio po' mancare ogni tipo di servizio ma quello che si trova in abbondanza sono gli psicofarmaci.

Ma in questo caso non è davvero necessario che quella sia stata “la ragione” per cui lui pensava di dover morire: quelle sono le uniche sue parole che ci sono arrivate. Non ce ne saranno altre. E sono le uniche parole di un ventenne che si è ucciso. Nessuno, neanche armato del cinismo più freddo, potrà mai separare queste due cose. Nessuno, neanche con la retorica più violenta e auto-assolutoria, potrà farmi smettere di pensare a questi due fatti contemporaneamente.

Le parole di Seid Visin, loro sì, rappresentano chissà quanti altri ragazzi e ragazze nella sua stessa situazione di cui però i giornali non parlano. O parlano poco, come nel caso di Moussa Balde, morto a ventitré anni nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino. C’è una cosa che non si dice quasi mai sul suicidio, ma che è spesso vera. La maggior parte dei suicidi sono fatti contro se stessi ma anche contro gli altri. Può essere qualcuno di vicino, che si vuole punire, o qualcuno di più astratto. Questi suicidi, queste morti, sono contro di noi. E solo un cieco potrebbe non vederlo.

Per questo il lutto di Seid Visin riguarda tutti gli italiani. L’Italia sta per iniziare l’Europeo ed è stata colpita da un lutto terribile, e quando succede una cosa del genere si gioca con il lutto al braccio.

Non è una questione che si può risolvere sul piano simbolico, o puramente rappresentativo. Ma è anche un problema simbolico, è anche un problema rappresentativo. Non si risolve indossando il lutto al braccio durante l’Europeo, me ne rendo conto. Ma sarebbe un inizio.

Servirebbe a ricordarci, partita dopo partita, la sofferenza di Seid Visin. Nel caso in cui riuscissimo a non pensarci – e non sarebbe giusto – servirebbe a ricordarci che proprio qui, vicino a noi, è avvenuta un’ingiustizia che in qualche modo avremmo potuto evitare.

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