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Quando Delneri divenne l'allenatore del Porto
17 feb 2021
Il tecnico friulano venne scelto dal club portoghese per raccogliere l'eredità di José Mourinho.
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Stasera Juventus e Porto si affrontano per l'andata degli ottavi della Champions League. Non è la prima volta che le due squadre si incontrano: erano già state accoppiate nella stessa competizione, la prima volta nella fase a gironi nel 2001, la seconda volta agli ottavi di finale, nel 2017. In questo intervallo di tempo entrambe le squadre hanno avuto tempo e modo di essere allenate dallo stesso, insospettabile allenatore: Luigi Delneri.

Se tutti, almeno in Italia, conoscono la parentesi bianconera di Delneri, forse non tutti ricordano la sua parentesi portoghese. E non c’è da sorprendersi, vista la sua durata. Eppure Delneri al Porto c’è stato davvero: nel video che segue, in cui potete vedere come si faceva una rassegna stampa online nel 2004, potete constatare con i vostri occhi che effettivamente Delneri abbia diretto alcuni allenamenti del Porto.

Le immagini di repertorio lo vedono lì, cappellino in testa, a dare indicazioni ai suoi. Anche chi non mastica il portoghese può facilmente intuire di cosa si parli: Delneri è appena stato esonerato da una squadra senza mai aver giocato nemmeno una partita. Ma questo, incredibilmente, è un mistero più piccolo di quello che ha dato vita a tutta questa storia. E cioè: come ha fatto Delneri a finire nel 2004 sulla panchina di una squadra che poche settimane prima aveva vinto la Champions League con José Mourinho?

Da dove arrivava Delneri

Per quanto può sembrare assurdo oggi che ha settant’anni e che il suo nome viene accostato solo a piccole squadre, all’alba del nuovo millennio Delneri era considerato uno dei migliori allenatori italiani in circolazione. Aveva costruito la sua fama facendo parecchia gavetta tra la fine degli anni 80’ e la fine degli anni 90’: dopo esperienze diverse e successi alterni (a Novara il suo picco massimo era stata la C1) aveva trovato la sua dimensione a Terni, riuscendo a portare la Ternana fino in Serie B al termine della stagione 1997-1998. Un traguardo importante, visto che due anni prima aveva preso la squadra in C2. Quel successo gli valse la chiamata dell’Empoli, fresco di promozione in Serie A e orfano di Luciano Spalletti, che nel frattempo aveva deciso di accasarsi alla Sampdoria.

Insomma, nell’estate del 1998 Delneri era a un bivio: continuare con la Ternana in B in un ambiente che conosceva bene, oppure lanciarsi nell’ignoto empolese con l’opportunità di allenare in Serie A. Il tecnico scelse la seconda strada ma forse, potendo tornare indietro, oggi prenderebbe una decisione diversa: durante il ritiro, nell’estate del 1998, sorsero problemi inconciliabili tra allenatore e società che portarono al suo esonero prima dell’inizio del campionato.

Proprio Delneri, parlando di quell’esperienza appena conclusa, all’epoca disse: «Evidentemente non ero e non sono la persona giusta per l'Empoli: io sono un allenatore che ha delle idee proprie, e che cerca di portarle avanti. Loro, i dirigenti, volevano una clonazione di Spalletti». Insomma, Delneri aveva deciso di andare avanti con le sue convinzioni senza piegarsi, con un modo di fare molto intransigente che è rimasto una costante per tutta la sua carriera da allenatore.

Nonostante questa tanto breve quanto brutta parentesi, Delneri non si era dato per vinto e aveva continuato a sognare la Serie A: la raggiunse sulla panchina del Chievo, piccola realtà che non era mai arrivata nella massima divisione fino a quel momento. Delneri si spinse oltre e al primo anno in Serie A, con il suo 4-4-2 delle meraviglie, portò il Chievo al quinto posto e conquistò così l’accesso alla Coppa UEFA. Un traguardo fuori da ogni previsione per una squadra abituata a palcoscenici ben più modesti. Delneri a Verona si fece conoscere e apprezzare grazie al suo gioco caratteristico, che valorizzava i singoli e faceva sognare i tifosi dei Mussi Volanti. Del Chievo di Delneri oggi abbiamo ottimi ricordi, sia riguardo la squadra nel suo complesso, sia riguardo giocatori entrati nella storia della squadra veronese come Eugenio Corini, Simone Perrotta, Christian Manfredini e Bernardo Corradi. Insomma, la figura di Luigi Delneri si sposava a meraviglia con l'ambizioso progetto di Campedelli.

E così anche il suo nome aveva cominciato a circolare sempre con più insistenza, arrivando fino in Portogallo: dopo averlo visto condurre il Chievo in Europa per poi restare nella parte sinistra della classifica per altre due stagioni, il Porto decise di puntare proprio sul tecnico di Aquileia per il post Mourinho. Un avvicendamento oggi impensabile e che fa sorridere, ma che all’epoca non era campato in aria. Peccato che poi le cose non andarono come previsto, né per il Porto, né tantomeno per Delneri.

La breve esperienza di Delneri al Porto

Il Porto nel 2004 era nel suo momento di massimo splendore: nel giro di due anni aveva vinto prima la Coppa UEFA e poi la Champions League (e quell'anno vinse contemporaneamente anche il campionato portoghese), forse l'ultima squadra fuori dall'élite dei top club ad alzarla sorprendendo tutti. Come sempre con Mourinho, e tanto più durante quell'esperienza al Porto, il suo successo era dettato in primo luogo da un rapporto di ferro con il gruppo, che stimava il suo giovane allenatore dal grande carisma. Come sostituirlo, dunque, se non con un’altra rivelazione? Il casting per il dopo Mou condusse il Porto dritto in Italia, dalle parti di Verona.

Chiamato direttamente da Jorge Mendes, come ha ricordato lui stesso, Delneri una volta arrivato al centro di allenamento dovette scontrarsi subito con i primi problemi: alcuni dei giocatori più importanti non avevano ancora raggiunto il ritiro perché impegnati in nazionale con il Portogallo. E questo non era un problema solo logistico, ma anche psicologico: la nazionale lusitana aveva appena perso gli Europei in casa in finale contro la Grecia nel 2004, una sconfitta pesante che aveva lasciato il segno sull’umore di alcuni senatori, che dunque rientrarono alla base col morale sotto le scarpe e con un nuovo allenatore che non conoscevano. Soprattutto, era un allenatore con idee molto diverse rispetto al suo predecessore: per dirla con Delneri, non era proprio il clone di Mourinho.

La volontà di Delneri, ovviamente, era quella di schierare il Porto in campo col 4-4-2, che è sempre stato il suo modulo di riferimento. Ma non tutti erano d’accordo, anzi: alcuni dei senatori, già scontenti per l’Europeo perso, non volevano cambiare assetto tattico e modo di giocare, così si opposero. E il loro peso nello spogliatoio portava la bilancia a pendere con decisione dalla loro parte: «La voce in capitolo più forte era quella dei calciatori: all’epoca non era ancora il momento per arrivare e proporre il 4-4-2», disse Delneri qualche anno più tardi.

Oltre a questo, c’erano i problemi con la società: il presidente Pinto da Costa voleva che si puntasse di più sul diciottenne Diego e sul diciannovenne Carlos Alberto, con l’obiettivo di costruire su di loro il futuro del club. Delneri, però, aveva altre idee a riguardo: per loro non c’era spazio, nel suo 4-4-2 che richiedeva altri tipi di giocatori. Addirittura, secondo alcune indiscrezioni, Delneri avrebbe chiesto la cessione di Carlos Alberto, che poco tempo prima aveva segnato in finale di Champions League. La rottura con la società avvenne non solo per motivi legati al calciomercato, ma anche per altre ragioni: Delneri aveva concesso due giorni di riposo alla squadra, lui tornò in Italia ma non fece rientro ad Oporto nella data stabilita, spiegando di aver avuto problemi con il viaggio aereo.

Non tutti concordano, però, con questa versione. Su Repubblica, ad esempio, all’epoca si parlò di “ripetute assenze” del tecnico, seguite da quei due giorni di permesso a quanto pare mai autorizzati da nessuno. Altre fonti specificano anche i motivi delle assenze: Delneri si assentava per curarsi al tendine d’Achille, come se fosse un giocatore titolare che voleva arrivare pronto all'inizio della stagione. Da lì il braccio di ferro, con la società scontenta dell’allenatore, e con l’allenatore scontento della società, che sul mercato non lo accontentava e che pretendeva di vedere in campo alcuni elementi specifici, il tutto mentre lo spogliatoio sentiva ancora la mancanza di Mourinho.

La separazione a un certo punto divenne inevitabile. Delneri venne ufficialmente esonerato il 7 luglio del 2004 e commentò in maniera riservata: «Più avanti io dirò la mia verità, quando sarà il momento giusto».

La versione di Delneri

Come ha spiegato quell'allontanamento Luigi Delneri, quindi? Una delle interviste più complete sul tema è quella concessa al sito di Gianluca Di Marzio, dove il tecnico torna su quel periodo. Delneri ricorda come l’inserimento da subito non fu semplice, e che quel 4-4-2 risultò indigesto alla squadra: «Il rapporto è stato complicato, abbiamo fatto un buon pre-campionato e lavorato bene in ritiro ma i cambiamenti che volevo portare hanno un po’ stravolto quello che voleva fare la squadra. I giocatori avevano abitudini un po’ diverse e l’assorbimento è stato complicato per loro, così come l'adattamento a loro per me».

E poi le varie tournée in Canada, in America e in Olanda, con tutte le incomprensioni che volavano insieme a squadra e allenatore aereo dopo aereo, mentre il rapporto invece faticava a decollare: «C’è stata poca adattabilità da entrambe le parti ed è stato meglio lasciarsi prima dell’inizio. Resta la soddisfazione di esser stato chiamato da una squadra che aveva vinto la Champions e che continua a fare bene». C'è da dire che quella stagione fu particolarmente difficile per il Porto. Sulla sua panchina si alternarono due allenatori, prima Victor Fernandez e poi José Couceiro, ma nessuno convinse la dirigenza, che per la stagione successiva si affidò ancora ad un altro allenatore, Jacobus Adriaanse. «Dovevano avere la pazienza di vedere dei cambi, infatti quell'anno hanno cambiato tanti allenatori. È stata però una buona esperienza per me, insegnano anche quelle [negative, nda]».

Nella stessa intervista, il tecnico torna anche sull’altra sua esperienza fallimentare nella stessa stagione. Delneri venne infatti chiamato ad allenare la Roma, ma neanche qui le cose andarono bene, e lui si dimise dopo tre sconfitte di fila ma con la squadra comunque vicino a un posto valido per qualificarsi alle coppe europee. In entrambi i casi, Delneri si trovò davanti a cantieri aperti che lui avrebbe voluto plasmare come meglio credeva. In entrambi i casi, i progetti fallirono ben presto, o addirittura prima di cominciare, come successo prima a Empoli e poi a Oporto.

Molti anni dopo, al Messaggero Veneto anche l’ex collaboratore di Delneri Alessandro Zampa ha parlato di quel periodo portoghese, adducendo problemi “di mentalità”: «Noi siamo arrivati con il bagaglio tipico degli allenatori italiani, innovatori e precisi tatticamente, ligi al lavoro, all’organizzazione e alla ricerca dei particolari come unica strada per ottenere i risultati. La realtà che abbiamo trovato in Portogallo era totalmente diversa, anche per i tempi di allenamento e la metodologia di lavoro. Insomma, due mentalità inconciliabili». Zampa ha raccontato che dopo l’esonero tecnico e staff non poterono tornare immediatamente in Italia per questioni burocratiche, e ne approfittarono quindi per fare un pellegrinaggio a Fatima: «Abbiamo sempre usato la goliardia, la nostra lingua friulana, la schiettezza e agito in base ai valori della nostra terra», ha aggiunto, come se la rottura con la dirigenza del Porto fosse avvenuta per motivi culturali.

In ogni caso, nemmeno quel pellegrinaggio è riuscito a risollevare la carriera di Delneri, che dopo quella terribile stagione non si è più rimessa in carreggiata, se si esclude la Champions League raggiunta nel 2010 con la Sampdoria. Dopo aver vagato per anni per l'Italia, tra Palermo, Chievo, Atalanta, Sampdoria, Juventus, Genoa, Verona e Udinese, l’ultima squadra in ordine di tempo a concedergli una panchina è stata il Brescia. Messo sotto contratto nell’estate del 2020, è stato esonerato da Cellino dopo solo due giornate di campionato. «Una situazione inverosimile», ha commentato il tecnico. Guardando alcune tappe della sua carriera, però, verrebbe da pensare il contrario.

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