Al termine di gara-1, vinta dai Denver Nuggets per 132-126, l’inerzia sembrava tutta dalla parte dei Los Angeles Lakers. La mossa fatta negli ultimi minuti da Darvin Ham di spostare Rui Hachimura in marcatura su Nikola Jokic per lasciare Anthony Davis in roaming, dandogli la libertà di staccarsi dal suo uomo per aiutare contro il due volte MVP, era sembrata la chiave di volta della serie, il modo in cui LeBron James e compagni avrebbero spazzato via i Nuggets dopo aver riservato lo stesso trattamento ai Memphis Grizzlies e ai Golden State Warriors. Sembrava inevitabile: l’ennesima cavalcata del Prescelto, supportato da un Davis raramente così affilato e da un cast di supporto raccattato qui e lì durante la stagione diventato improvvisamente implacabile.
Tre partite dopo è diventato chiaro a tutti che quella sensazione è stata solo un abbaglio, come aveva provato a farci capire Michael Malone, stizzito per la poca considerazione avuta dalla sua squadra. La serie l’hanno vinta i Denver Nuggets per 4-0, uno sweep che per quanto severo - i Lakers in totale hanno segnato appena 24 punti in meno degli avversari e a metà di gara-4 erano avanti di 15 lunghezze - racconta bene lo stato di forma della franchigia del Colorado e il lunghissimo percorso che li ha portati alle Finals. Perché questo approdo all’ultimo atto della stagione - il primo della loro storia, a 46 anni di distanza dalla nascita della franchigia - parte da lontano, da lontanissimo, dalla costruzione di un roster atipica nella NBA di oggi, dove è tutto cotto e mangiato, dove bisogna vincere subito e se non si riesce bisogna cambiare per dare alle proprie stelle quello che serve.
La costruzione del roster di Denver
Per nove lunghi anni, invece, Denver ha coltivato: ha trovato in Nikola Jokic quello che probabilmente sarà ricordato come il più incredibile steal nella storia del Draft (preso alla 41, sì alla 41, nel 2014); due anni dopo gli ha messo vicino Jamal Murray e poi con pazienza e qualche errore, intorno a loro ha costruito una squadra. Nel 2018, sempre dal Draft, è arrivato Michael Porter Jr, una scelta azzardata visti i suoi problemi fisici che lo avevano fatto scivolare alla 14, ma che oggi sta pagando. Dopo la bolla ha perso Jerami Grant, che era sembrato potesse essere il pezzo mancante, sostituendolo poi con Aaron Gordon (preso per una prima scelta), che è effettivamente diventato il pezzo mancante. Intorno a questi quattro nella passata estate è riuscita ad aggiungere a prezzo di saldo una serie di gregari e veterani che sembrano disegnati apposta: Kentavious Caldwell-Pope, Bruce Brown, Jeff Green, Christian Braun, ognuno con le sue qualità ma soprattutto tutti capaci di difendere forte, mettere un tiro quando serve e tagliare verso il canestro per assecondare la genialità di Jokic.
Senza gli infortuni, probabilmente, questo discorso lo avremmo fatto prima. Già dopo l’arrivo di Gordon nel 2021 Denver era sembrata pronta, ma - anche qui - non hanno avuto fretta. Hanno aspettato il rientro di Murray dalla rottura del crociato arrivata nell'aprile di due anni fa e hanno atteso che la schiena di Porter Jr non gli desse problemi poggiandosi sulle spalle di Jokic, che intanto rifiniva il suo fisico per reggere su lunghi minuti e cresceva come impatto vincendo due titoli di MVP e mostrando di essere anche un giocatore da playoff, pur nelle sconfitte.
La cavalcata di questa stagione è la sublimazione di questo modo di fare le cose. Jokic, fin qui, è stato semplicemente il miglior giocatore della post-season (Jimmy Butler permettendo), praticamente una tripla doppia che cammina (otto in questi playoff, già record ogni epoca); Murray è salito in cattedra in ogni occasione in cui Denver ha avuto bisogno di lui; Porter Jr ha finalmente trovato una sua stabilità, mettendo triple quando necessario e difendendo il più forte possibile; Gordon ha fatto più o meno tutto quello che richiedeva la situazione, anche 22 punti e la stoppata decisiva su LeBron James in gara-4 contro i Lakers; gli altri hanno cantato e portato la croce.
La serie con i Lakers
C’è un dato che più di tutti dice come Denver sia più del talento, infinito, di Jokic. Contro i Lakers, una squadra che stava concedendo le briciole al tiro ai suoi avversari, ha chiuso la serie col 40.3% da tre punti, finendo per segnare 21 triple in più (63 punti, quasi il triplo dello scarto totale tra le due squadre). Mentre i Lakers cambiavano piani su piani cercando di fermare il loro attacco, Denver ha continuato a fare quello che fa da anni senza preoccuparsi troppo. E, alla fine, si può dire che lo ha fatto alla perfezione, vincendo quattro partite in quattro maniere diverse, pur non cambiando nulla della propria identità tattica.
In gara-1 Jokic è stato semplicemente troppo per la difesa dei Lakers, in gara-2 è stato Murray a vincere la partita con un ultimo quarto offensivamente ridicolo da 23 punti con 6 su 7 al tiro, 4 su 5 da tre punti e 7 su 8 dalla lunetta. Col senno di poi, quello è stato il momento decisivo della serie: in una partita che si era giocata come volevano i Lakers, con Jokic sottotono, Murray dopo aver sbagliato di tutto si è regalato alcuni minuti di pallacanestro offensiva celestiale, riportando avanti i Nuggets possesso dopo possesso e vincendo una partita che, se persa, poteva girare completamente la serie.
Se Denver dovesse vincere l’anello, rivedremo questi canestri molte volte.
In gara-3, invece, è stata la volta dei giochi a due tra Jokic e Murray, tre azioni consecutive finite con un canestro che hanno tenuto a distanza i Lakers e permesso a Denver di violare per la prima volta in questi playoff la Crypto.com Arena. Giochi che, come poi dirà Malone, sono stati chiamati dal serbo, che di questa squadra sembra poter essere miglior giocatore, leader, stand-up comedian e allenatore (anche se quest'ultimo ruolo non gli piace, visto che lo ha definito "il peggior lavoro sulla faccia della Terra").
Ma limitare tutto a loro due, come detto, sarebbe sbagliato. Denver ha tirato meglio dei Lakers di squadra, è andata meglio a rimbalzo di squadra e - quasi sempre - è riuscita a tenere il ritmo che voleva. Quando servivano 4 punti da giochi rotti, Brown ha segnato 4 punti da giochi rotti; quando serviva una tripla, Caldwell-Pope ha messo una tripla. Se Denver ha vinto in maniera così netta, è perché è stata la serie che voleva lei, quasi sempre al ritmo che voleva lei (vedere Jokic partire in transizione come un treno dopo un rimbalzo difensivo non è una novità, ma rimane uno spettacolo notevole e tatticamente ha fatto pagare tutte le volte che Anthony Davis è rimasto indietro, a terra oppure troppo stanco per rientrare). In questo modo anche le sbavature difensive - come le difficoltà a contenere al ferro LeBron e Davis o i passaggi a vuoto di Jokic - si sono rivelati sostenibili, se non sormontabili. Se nei playoff vincono le difese, quando in attacco c’è tutta questa qualità e partecipazione diventa più facile ribaltare l’assunto.
Gara-4, se servisse, ha dimostrato come Denver sia anche una squadra paziente, capace di rimanere nelle partite, aspettare il proprio momento e poi coglierlo. Dopo essere andata sotto di 15 punti a fine primo tempo davanti a un LeBron James spaziale, poteva essere normale mollare per giocarsi le proprie carte in casa. Invece Denver ha approfittato di un calo di energia dei Lakers per rientrare, Malone ha tenuto Jokic in campo (storicamente i minuti senza il serbo sono una mazzata per il loro attacco, in questi playoff sembrano aver aggiustato anche questo) e con le sue giocate ha smaterializzato lo svantaggio segnando 10 punti in pochi minuti.
Da lì la partita è scivolata lentamente ma inesorabilmente dalla parte di Denver. LeBron ha pagato lo sforzo del primo tempo, i compagni tranne Austin Reaves (per i suoi playoff andrà fatto un discorso a parte) lo hanno abbandonato, mentre intorno a Jokic tutto rimaneva costante. Non che sia stato facile: il serbo è dovuto salire di nuovo di livello nonostante i cinque falli a carico, inventarsi delle giocate che togliessero di impaccio la squadra nel momento in cui la difesa dei Lakers si è fatta asfissiante. A conti fatti, a decidere è stata questa tripla che viene direttamente dall’iperuranio, un canestro a cui il serbo ci ha abituati (ne ha segnata una simile anche in gara-1 per lo sconforto di Anthony Davis) ma che rimane fuori da qualunque logica.
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E ora?
È ironico, ma non strano, che in queste ore si parli più della sconfitta dei Lakers che non dell’impresa storica di Denver. I gialloviola + LeBron sono un mostro a più teste dell’informazione sportiva ed è impossibile non attardarsi nel valutare la loro stagione, soprattutto se nell’aria c’è una vocina che parla di un possibile addio, se non addirittura di ritiro, per il loro numero 23. Questa mancanza di attenzione per Jokic e compagni non è una novità - il serbo è forse il più atipico top-3 che la lega abbia mai visto, uno che definisce i social media "una perdita di tempo" ed è perfettamente credibile nel dirlo - e finora è sembrata essere più una spinta positiva per la squadra che non un peso. Essere dati per sfavoriti - pur con il miglior record della conference - contro Suns e Lakers per via del nome delle stelle avversarie ha forse tolto un po’ di pressione a Jokic e Murray e al resto della squadra, lì ha aiutati a giocare meglio, mettere i tiri che andavano messi, difendere nel modo giusto quando serviva, caricati emotivamente per dimostrare che tutti si sbagliavano. Oggi sembra assurdo non aver considerato questa squadra come favorita per arrivare alle finali.
Ora, però, questa sottovalutazione potrebbe (dovrebbe: Miami è avanti 3-0 e può già chiudere questa notte) scontrarsi contro l’improbabile corsa degli Heat di Spoelstra, veri underdog di questi playoff. Il loro eventuale accoppiamento è talmente assurdo che mettersi a fare previsioni suona quasi ridicolo. Anche l’idea che a scontrarsi in finale siano la numero 1 dell'Ovest e la numero 8 dell'Est sembra solo uno scherzo del destino che non un rapporto di forza. Certo, sono dati che ci costringerebbero a vedere Denver favorita, ma per il livello che abbiamo visto lo sarebbero anche in caso di improbabile (finora il record per chi è avanti 3-0 in una serie è di 150 vittorie e 0 sconfitte) approdo alle finali dei Boston Celtics.
Come sarà affrontare le prime finali della carriera con i favori del pronostico dopo non averli mai avuti? Per quasi tutti i Nuggets è un territorio inesplorato, ma non un caso. Denver prepara questo momento da nove anni, dalla notte in cui - mentre in televisione passava una pubblicità di Taco Bell - loro stavano scegliendo di portarsi in squadra un serbo sconosciuto, dal nome simile a quello di Joker, dallo sguardo da schiaffi e dalle mani di velluto.