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La costruzione della Beogradska Arena è andata a braccetto con i tragici sviluppi dei conflitti in Jugoslavia. Necessaria per ospitare il Mondiale di pallacanestro 1994 sotto richiesta della FIBA, che esigeva una struttura da almeno 20mila posti, i lavori erano iniziati nel 1992 con il coinvolgimento di più di cento imprese. La tremenda crisi finanziaria che aveva messo in ginocchio la città dopo le sanzioni imposte dall’ONU, però, aveva messo in secondo piano tanto l’organizzazione in Jugoslavia del Mondiale quanto la costruzione del palazzetto.
Solo con l’uscita di scena di Slobodan Milošević in seguito ai bombardamenti NATO sulla città a cavallo tra i due secoli, nel contesto della guerra in Kosovo, la costruzione di una nuova infrastruttura polivalente fu rimessa in moto. Dal luglio 2004 è l'imponente, centro nevralgico del Blok 25, esattamente il quartiere che vi aspettereste di trovare a Novi Beograd, fitto di palazzoni dall’imprinting sovietico-brutalista. si tratta del cuore pulsante di tutti gli eventi di massa che si svolgono in ambito musicale - ha ospitato concerti di Andrea Bocelli, Guns N' Roses, Lenny Kravitz, tra gli altri - e sportivo, ma soprattutto, in serate come questa di venerdì 31 gennaio, la Beogradska Arena si trasforma in una delle atmosfere più incredibili d’Europa. L’unica eccezione, forse, può riguardare Atene e il Pireo nel derby tra Panathinaikos e Olympiacos.
Il Večiti derbi, il Derby Eterno tra Partizan e Stella Rossa, è l'appuntamento dell'anno per Belgrado, ogni volta che si gioca. Questa volta è capitato in Eurolega e la cornice non mente. Il dato ufficiale di 18.386 posti presenti nell'arena viene smentito dal sito ufficiale di EuroLega, che parla di 20.118 spettatori. E sono sicuro che fossero molti di più già a tre ore dalla palla a due, prevista alle 20:30. Con l’ingresso sud presidiato da centinaia di forze di polizia in antisommossa e dedicato al transito degli ultras della Stella Rossa, la marea bianconera di tifosi del Partizan aveva affollato gli ingressi est, ovest e nord già quando il sole non era ancora tramontato sul Sava.
«Non vedevo così tanta gente dal primo derby di due anni fa» mi dice un collega serbo. In effetti, nonostante le immagini in televisione restituiscano la realtà di un palazzetto sempre stracolmo di tifosi per le partite casalinghe delle due anime - una bianconera, l’altra biancorossa - di Belgrado, mi sembra veramente un’infinità di gente. Come se debbano entrare in uno stadio, più che in un palazzetto.
Tra le ventimila persone presenti per ammirare uno spettacolo senza precedenti, più sugli spalti che in campo, dove si giocano 40 minuti di lotta greco-romana intervallati da qualche sprazzo di qualità cestistica, c’è anche Novak Djokovic, uno dei tifosi più rinomati della Stella Rossa nel panorama sportivo internazionale, insieme forse a Luka Doncic - che in quel momento ancora non era a conoscenza della trade sconvolgente che l’avrebbe coinvolto.
Djokovic indossa una felpa bianca con la seguente scritta Students are champions. Marija Sekulovic di Sport Klub lo intercetta prima della partita e gli chiede una traduzione in serbo per i telespettatori che non conoscono l’inglese. «Lo sanno bene, lo sanno bene» risponde Nole. Sì, perché non essere a conoscenza di quello che accade da mesi in Serbia, per un serbo, equivarrebbe a non conoscere il tennista da 24 slam: improbabile.
Prima d’ora non si era mai assistito a un così impattante sentimento di rivendicazione e rivolta popolare in Serbia, specialmente se trainato dalle generazioni che Milosevic al potere l’hanno solo sentito raccontare. Il 22 dicembre scorso, centomila persone si sono riunite in Piazza Slavija per protestare contro la corruzione e la criminosa gestione delle risorse pubbliche da parte degli apparati di potere nel Paese, con il Presidente della Repubblica Aleksandar Vučić, capo del Partito progressista serbo (che di progressista ha poco o nulla) e in carica dal 2012, messo finalmente in discussione.
Come detto, la stragrande maggioranza delle proteste vengono condotte dagli studenti universitari e liceali del Paese, che chiedono a gran voce una Serbia in cui possa vigere uno stato di diritto, come raccontato da Katarina Baletić del Balkan Investigative Reporting Network in un articolo tradotto da Internazionale. Anni di scandali nei palazzi di potere serbi hanno agito da combustibile ad una rabbia esplosa con la morte di 15 persone a causa del crollo di una pensilina nella nuova stazione di Novi Sad, la seconda città del Paese, avvenuto a inizio novembre.
La parziale pubblicazione della documentazione relativa alla ristrutturazione della stazione ferroviaria è solo uno dei motivi per i quali i giovani - ufficialmente nominati per il Premio Nobel per la Pace, secondo quanto affermato dal drammaturgo e accademico Sinisa Kovacevic - scendono in piazza per chiedere le dimissioni di Vučić, che non intende mollare il colpo. Le proteste, però, hanno affondato un altro obiettivo sensibile negli apparati statali serbi: il 28 gennaio, a quattro giorni da un’enorme manifestazione scandita da diversi blocchi stradali, si è dimesso il Primo Ministro Miloš Vučević, appartenente allo stesso partito del Capo dello Stato.
«I giovani sono il futuro di questo Paese e di ogni Paese» aveva affermato a fine 2024 Zeljko Obradovic, leggenda della pallacanestro internazionale, allenatore del Partizan e idolo indiscusso del tifo bianconero; in ciò, era stato seguito anche da altre icone sportive serbe come Dejan Bodiroga e Ivana Španović. Allo stesso tempo, nella conferenza stampa successiva alla vittoria contro il Fenerbahce, aveva chiesto ai suoi tifosi di evitare di far rimbombare tra gli spalti della Beogradska Arena insulti nei confronti della classe politica. I Grobari, “becchini” in serbo, non devono aver recepito del tutto il messaggio del proprio condottiero.
«Napadaj, napadaj, Partizane napadaj» («attaccali e avanza, Partizan») risuonano in coro i padroni di casa all’ingresso dei bianconeri, in costante crescita grazie a cinque vittorie nelle ultime sei partite, dopo un difficile inizio di stagione. La dedica successiva non è di amore e spinta emotiva per i propri giocatori, ma d’odio per gli eterni rivali, contrapposti all’origine del conflitto politico-sportivo per la propria vicinanza al comunismo: «Nisam čiko, nisam čiko ja, Zvezdin Delija, pička ciganska» («Io non sono un Delija della Stella Rossa, uno zingaro»).
Subito dopo, però, la richiesta dei Grobari tende ad un coro unanime. «Vučiću, pederu» («Vučić, gay»), cantano alla ricerca di un’approvazione da parte dei rivali, costretti in un esiguo settore dell’arena e circondati dalle forze di sicurezza dispiegate per un evento di estrema rilevanza. Il silenzio dei Delija, immediatamente seguito dai fischi dei circa ventimila tifosi del Partizan, viene interrotto dalla risposta biancorossa: «Ostoja je peder» («Ostoja è gay»), cercando infantilmente di screditare Ostoja Mijailović, attuale presidente del Partizan. Non fosse che quest’ultimo è un membro attivo dello stesso partito di Vučić.
Il sesto Derby Eterno europeo, dunque, si è giocato anche sugli spalti. Laddove i tifosi del Partizan vedono se stessi come espressione dell'opposizione al governo serbo e gli acerrimi rivali come estensione del governo stesso, considerandoli mercenari, i tifosi della Stella Rossa rispondono tanto con un silenzioso ed omertoso assenso nel criticare il Capo dello Stato, quanto sbeffeggiando l’ipocrisia dei nemici che non vedono altrettanto negativamente il proprio presidente, legato a doppio filo con lo stesso Aleksandar Vučić.
La realtà è che entrambe sopravvivono a livello competitivo anche grazie ai finanziamenti statali. Come pubblicamente affermato da Nebojsa Čović e Ostoja Mijailović nei mesi precedenti, Stella Rossa e Partizan beneficiano di una grossa fetta del proprio budget proveniente dalle casse dello Stato. Il 30-35% di circa 22 milioni di euro per i biancorossi, 5.280.000 euro sui 24.440.000 totali per i bianconeri.
Il clima vissuto alla Beogradska Arena in un mite venerdì sera di fine gennaio è stato un vortice di insurrezione e tifo, violenza (solo verbale, fortunatamente) e rabbia repressa: la solita scatenante in contesti del genere e quella eccezionale, dei mesi che avevano anticipato questo scontro cestistico e di dialettica, di filosofie di pensiero. Alla fine, così come successo nella prima edizione del sfida nell’EuroLega di questa stagione, l’hanno spuntata gli ospiti.
Nonostante un tremendo 3/19 dall’arco, la Stella Rossa ha approcciato il possesso decisivo rimanendo aggrappata alla sfida e non sfibrandosi davanti alla fisicità del Partizan e al sostegno assordante dei tifosi di casa, raccogliendo tanti extra-possessi con 15 rimbalzi offensivi dei 41 totali. Un fallo d’istinto irrazionale di Sterling Brown ha portato Nemanja Nedovic sulla lunetta sul 71-71 pari. Glaciale, come aveva già fatto segnando la tripla della vittoria nel primissimo Derby giocato in EuroLega nell’annata 2022-23.
«Senza paura», ripeteva tra sé e sé accarezzando la palla della vittoria a gioco fermo, prima di segnare i primi due liberi e sbagliare appositamente il terzo, non consentendo al Partizan di disegnare una giocata per rimettersi in partita. Senza paura, come le centinaia di migliaia di persone che stanno lottando per una Serbia diversa negli ultimi mesi, combattendo l’immobilismo politico e dei media tradizionali del Paese ma guadagnandosi sempre più consenso anche in altre fasce della popolazione.
Le grida sulle piazze, i ponti e le strade di Belgrado e Novi Sad si sono mischiate a quelle di 20.000 anime all’unisono, a far da palcoscenico al Derby Eterno. Che cattura tutti, anche senza il bianconero o il biancorosso tatuati sulla pelle. Tutti, anche coloro che incarnano il futuro di un Paese dal passato tragico e dal presente sempre più in discussione.