È finita in corrida, con un secondo pallone che viene mandato in campo dalla panchina della Roma, Taty Castellanos che dà una tacchettata a Hummels, quello che lo prende per il collo, la mega-finta-rissa. Gente che finisce a terra, cartellini rossi che hanno smarrito ormai ogni destinatario. Dybala e Paredes che si tuffano a ogni contrasto, ridono come il joker, fanno un misterioso segno del cinque verso i laziali.
È finita con la Lazio che inondava di cross l’area avversaria, e la Roma che respingeva di testa, spazzava palloni più in alto possibile, sabotava il gioco fino a mostrarci quante forme perverse il calcio può assumere in partite così tese. Si avvicina a una sua purezza o invece se ne allontana?
È finita con la Roma radunata sotto la Curva Sud, Pellegrini a sventolare la bandiera del fondatore Italo Foschi, riconciliandosi con un pubblico che lo fischiava e lo contestava da inizio stagione (e che stavolta lo ha applaudito al momento del cambio). È finita, quindi, ribaltando tutto ciò che sapevamo sulla Roma e sulla Lazio prima di questa partita. La Roma che flirta con la zona retrocessione e la Lazio che gioca ai piani alti, ferma le grandi squadre, domina l'Europa League.
Messa così, vista la rissa pirotecnica finale, viene difficile conciliare il tutto con la serenità con cui, si continua a ripetere, Ranieri avrebbe cambiato la Roma. Eppure, come sa chi ha visto qualche derby della capitale, anche nelle risse e nelle provocazioni c’è una squadra che controlla il caos e una che lo subisce; una squadra che provoca e l’altra che si lascia provocare; una che la butta in caciara e l’altra che ci casca. E sì: la Roma è stata una squadra serena, in controllo delle tempeste emotive e dei cross avversari. La tensione del derby ha finito per calmare la squadra, come quei sicari pazzi che trovano una strana pace interiore nelle situazioni più violente e caotiche. La Lazio invece è sembrata subire la tensione del derby in modo negativo, o la maledizione della squadra favorita, se preferite. Ha mostrato la peggiore versione di sé: una squadra intensa e volitiva, ma confusa e con poca qualità.
«È passata la nottata» ha chiosato Claudio Ranieri ieri sera dopo la partita, citando Eduardo De Filippo e Napoli milionaria. Al di là dei poteri curativi da santone che vengono attribuiti al “Fettina”, cosa ha fatto, nel concreto, Ranieri per aggiustare la Roma?
La partita di ieri lo ha mostrato abbastanza chiaramente.
1. LA SERENITÀ
Di cosa parliamo, per esempio, quando parliamo di serenità? Non parliamo solo del fatto che non bisogna farsi espellere durante una rissa a fine partita, ma magari anche di come si può confezionare un gol sfruttando la fretta avversaria.
Al nono minuto del primo tempo la Roma ha iniziato l’azione in modo sonnolento. Svilar teneva il pallone sotto la suola, poi lo passava al difensore vicino; fino a quel momento non si era visto molto e la squadra sembrava solo contenere la pressione della Lazio. Ndicka poi lancia lungo per Dovbyk, che fa una sponda di petto all’indietro, e la Roma si accende. Pellegrini col piatto fa passare la palla sopra la testa di Rovella per Dybala, che allarga per Saelemaekers. Quando il belga alza la testa vede un pericoloso due contro due in area, allora la mette dentro.
Pellegrini la controlla ma gli rimane un po’ indietro; potrebbe tornare su di lui Rovella, che però si fa portare via dall’inserimento di Dybala. Il capitano della Roma confeziona un gol delizioso, con una piccola esitazione e una lieve sterzata a destra manda per terra Rovella, fa spostare Provedel di un passo, e poi calcia nell’angolo alto alla sua sinistra. Con un gol nel derby nel 2018 Lorenzo Pellegrini aveva cambiato la sua carriera a Roma, dopo un inizio difficile; chissà se sarà un altro gol nel derby a rilanciarlo.
Otto minuti dopo la Roma segna ancora, con un’azione simile. Otto minuti in cui la squadra di Ranieri era sembrata lenta e difensiva; già con un baricentro molto basso e un possesso tra portiere e difensori che sembrava poco promettente. Poi Svilar - uno dei migliori in campo - si inventa un gran lancio in verticale col suo piede debole; Dovbyk gioca un’altra notevole sponda di prima che fa saltare tutto il sistema difensivo della Lazio, con Romagnoli portato fuori e Nuno Tavares che deve stringere.
Dybala corre in avanti nel corridoio centrale e per la Lazio si mette male. Allarga per Saelemaekers che ha un controllo un po’ lungo, ma verso la porta, e allora anticipa la conclusione con la punta e segna sulla respinta di Provedel. Nell’occasione Nuno Tavares arriva con troppa poca intensità a chiudere sul belga, come se non riconoscesse la pericolosità della situazione.
I gol nascono da due azioni molto simili, in cui si nota come la qualità tecnica della Roma sia riuscita a far saltare il pressing della Lazio. La squadra di Baroni si assume sempre molti rischi, che in Serie A spesso pagano anche per la scarsa qualità degli avversari in transizione. Contro squadre tecniche, però, i rischi si possono pagare.
«Dobbiamo rimanere calmi e fare il nostro gioco», aveva detto Mkhitaryan prima di affrontare la Lazio. La Roma non ha la fluidità e la qualità dell’Inter, ma ha giocatori con l’abilità tecnica per far pagare cara alla Lazio la sua intensità. Trasformare l'urgenza in fretta, l'atletismo in approssimazione.
La Roma, insomma, ha avuto la necessaria calma e la giusta personalità per portare a galla i risvolti negativi del gioco della Lazio. Nei gol hanno brillato in particolare l’eleganza delle sponde di Dovbyk, e le sue connessioni con Dybala - che già avevano confezionato una rete da videogioco a San Siro contro il Milan.
Il centravanti ucraino è un profilo peculiare. Alto e pesante, non aiuta molto la squadra a proteggere palloni con l’uomo addosso. Lasciato solo in campo lungo con i difensori non combina granché, come si è visto nel secondo tempo, in cui la Roma era bassa e lui non aiutava la squadra in nessun modo. Dovbyk, però, ha intuizioni creative notevoli nelle sponde di prima e nelle rifiniture, con un grande uso tecnico del corpo. Un giocatore che lavora poco, quindi, ma con colpi di genio fenomenali, che sembrano sposarsi poco col suo fisico.
Nel secondo tempo la Roma si è spesa in una lunga esercitazione difensiva a difesa dell’area, dove sono emersi ancora più chiaramente i limiti della Lazio quando non ha spazi. La squadra di Baroni è quella che crossa di più in Serie A e nel secondo tempo questa tendenza si è sclerotizzata.
L’ingresso in campo di Dia al posto di Dele-Bashiru mirava proprio a sfruttare in un modo o nell’altro il grosso volume di palla mandate in area. In un contesto simile si è sentita l’assenza di Pedro, importante proprio per la qualità nel tiro e nell’ultimo passaggio, in una squadra a cui manca qualità individuale in quei fondamentali. Certo, un gol sarebbe potuto arrivare, ma la prestazione di Hummels, Mancini e Ndicka è stata incredibile per concentrazione, per come sono riusciti a essere perfetti in ogni dettaglio.
2. IL NUCLEO PAREDES-HUMMELS
Le squadre sono organismi complessi. La serenità che restituisce oggi la Roma si nutre di certezze tecniche. La squadra col pallone ora ha le sue fondamenta nell’associazione tra Paredes e Hummels a inizio azione - due giocatori che con Ivan Juric non giocavano e che oggi sono tatticamente i più importanti. La Roma costruisce con un rombo composto dai tre difensori centrali e un mediano; l’aspetto interessante però è la fluidità con cui cambia il vertice basso di questo rombo, con Paredes e Hummels che si scambiano spesso di posizione per disordinare la pressione avversaria.
Ieri, nel primo tempo, Castellanos pressava su Hummels, che però a volte saliva per lasciare a Paredes il suo posto. Dele-Bashiru era preso in mezzo a due avversari e la Roma finiva spesso in superiorità numerica. Entrambi, Hummels e Paredes, hanno tecnica e visione di gioco per trovare filtranti interessanti capaci di tagliare la pressione avversaria.
Non il fattore tattico più determinante della partita di ieri, ma importante anche indirettamente nell'identità della Roma.
3. E POI C'È PAULO DYBALA
Paulo Dybala pare aver superato i misteriosi problemi muscolari che lo hanno tormentato in questi anni. Si allena e gioca con continuità ed è probabilmente il miglior Dybala mai visto con la maglia della Roma.
In queste condizioni è uno dei pochi giocatori della Serie A in grado di cambiare da solo le partite. Nel primo tempo è stato immarcabile, dribblando tutti, proteggendo palloni, permettendo sempre alla Roma di far sfiatare la pressione della Lazio. La brillantezza che ha sui primi passi gli permette di sfruttare i vantaggi procuratigli dai suoi primi controlli perfetti, ma anche degli smarcamenti senza palla.
Dybala sapeva sempre dove farsi vedere per ricevere: più largo sulla linea laterale per offrire un’uscita a Mancini e Saelemaekers; sempre ai lati di Rovella, che è diventato pazzo a provare a stargli dietro e che non ci è mai riuscito - finendo per risultare come uno dei più negativi della Lazio. Dybala ha fatto ammonire Gila e Zaccagni e ha costruito entrambe le reti della Roma. Citando Mourinho, Ranieri ha dichiarato: «C’è una Roma con Dybala e una senza Dybala».
4. LA RIVALUTAZIONE DELLA ROSA
Mentre la Roma sprofondava verso la zona retrocessione, mettendo in fila una serie di record negativi, cambiando un allenatore dietro l’altro, il valore della rosa veniva messo in discussione. «La Roma è una squadra costruita male» si diceva nei salotti televisivi. Il problema sembrava essere la qualità della squadra, e il suo equilibrio. È vero: la Roma ha alcune lacune nella rosa, ma anche molto potenziale e alcuni giocatori di altissimo livello. Serviva quindi, semplicemente, un allenatore in grado di maneggiare questo materiale con intelligenza per fare il proprio lavoro: nascondere i difetti e mostrare i pregi. Juric era partito dalle proprie idee e aveva cercato di adattare la squadra a queste. Kone "deve crescere"; Paredes aveva un’interpretazione troppo individuale del ruolo, e stava quindi in panchina; Hummels si diceva avesse dei brutti dati nei test atletici, e dunque restava in panchina. «Sono due monumenti» ha detto Ranieri, che si è limitato a fare le cose semplici: mettere i giocatori più forti e più d’esperienza in campo, adattando la squadra alle loro qualità. Juric, quindi, era partito dalle idee, Ranieri dai giocatori, che non erano affatto scarsi come si diceva. Hummels del resto era stato il miglior difensore della scorsa Champions League: come poteva non fare nemmeno la riserva alla Roma?
Il più grande problema della squadra era quello dell’esterno destro, e lì la mano di Ranieri è stata più pesante. Con una scelta non scontata, ha schierato Alexis Saelemaekers, che è un trequartista ma è abbastanza applicato per accettare il sacrificio che comporta il ruolo. Si nota a volte la sua scarsa tecnica negli uno contro uno difensivi, ma è un fattore decisivo col pallone - per la sua qualità tecnica, la capacità di vincere i duelli, il gusto associativo con cui scambia il pallone con Dybala e Dovbyk. Con lui in campo la fascia destra della Roma è diventata una minaccia. Volendo ridurre l’andamento del derby a una zona di campo specifica, la Roma ha vinto lì, dove è andato in scena il duello decisivo tra Alexis Saelemaekers e Nuno Tavares. Il belga è uscito dal campo con un gol, un assist e il premio di migliore in campo.
In queste scelte, va detto, Ranieri ha recuperato il percorso già avviato da Daniele De Rossi a inizio stagione. La squadra del resto era stata cucita attorno alle sue idee. La Roma che ha giocato contro il Genoa a settembre non aveva ancora Hummels, ed era quindi costretta a schierare Angelino in difesa; per il resto però è la stessa squadra che ha giocato contro la Lazio, con Saelemaekers esterno a tutta fascia e Dybala e Dovbyk che devono giocare vicini per associarsi.
Riguardare gli highlights di quella partita, oggi, offre una perturbante sensazione di corso interrotto. L’esonero di De Rossi per chiamare Juric a posteriori rivela contorni quasi comici.
Contro il Parma, sul punteggio di 4 o 5 a zero, Ranieri si è ostinato a non effettuare cambi per mandare un messaggio chiaro: in una stagione precaria e incerta, cominciamo a costruire delle certezze. Quello sarebbe stato il nucleo della Roma, da ritoccare solo con qualche piccolo accorgimento - come per esempio l’inserimento di Pellegrini contro la Lazio.
«Ora siamo una squadra, ciascuno sa cosa deve fare». Le fasce, considerate il punto debole più grande della Roma, ora sono uno dei suoi maggiori punti di forza, con Angelino che è oggi uno dei migliori esterni del campionato.
Se il mercato di gennaio portasse un esterno destro più affidabile la Roma potrebbe aumentare ulteriormente le opzioni offensive. Sono gli allenatori a far sembrare lunghe le rose, almeno entro certi limiti - «Oggi sono diventati tutti Masterchef, ma se non hai la materia prima cosa inventi?». Il sottotesto, chiaro, è che la materia prima la Roma ce l’ha.
5. VERTICALITÀ
Dopo la partita, accanto a Massimo Ambrosini, Claudio Ranieri aveva l’aria mistica di chi ormai dovrebbe commentare il calcio da fuori. «Il mio è un mestiere bellissimo, se non ci fosse la partita la domenica».
Sembra l’unica persona rilassata in un mondo in cui per tutti la partita sembra una questione di vita o di morte. Il personaggio, però, rischia di far passare in secondo piano l’allenatore, che ancora oggi mostra idee fresche, coraggio e lucidità. Ranieri si è limitato a fare cose semplici, si dice, ma cosa sono le cose semplici?
Non c'è niente di così semplice nel rendere una squadra più verticale, per esempio. «Io amo quando le due squadre provano a farsi gol. (…) È questo che io voglio, che la gente venga alla partita e dica “finalmente provamo a vince”». Poi ha citato la sua esperienza a Valencia: «Il primo anno che sono andato in Spagna, dopo il primo allenamento ho fermato la squadra e ho detto: “Oh, la porta avversaria sta dall’altra parte. E quando ci arriviamo?”».
Ranieri ci ha tenuto a precisare che non stava facendo riferimento alla Roma, parlando di squadre che palleggiavano e facevano addormentare, ma in realtà era proprio a quello che si stava chiaramente riferendo.
La Roma di inizio stagione era una squadra che teneva tanto la palla senza sapere bene cosa farci; sembrava palleggiare per creare pericoli a sé stessa più che agli avversari. Ranieri, anche rispetto a De Rossi, ha dato alla Roma un’impronta verticale e la squadra ha trovato il modo di essere pericolosa. I dati lo dicono chiaramente: dal suo arrivo la Roma è passata da produrre 1.16 xG a partita a 1.28xG a partita; anche i dati difensivi sono migliorati. Ora è sesta per clear shots, quando era quindicesima prima dell’arrivo di Ranieri. Ora è ultima per tiri da fuori area, mentre con Juric era prima. Un cambiamento significativo.
Una fase offensiva così verticale, che porta tanti uomini sopra il pallone e in cui si schiera un trequartista a tutta fascia, si espone a grandi rischi. La Serie A, però, ci dice che oggi i rischi pagano spesso. Contro il Milan e contro il Tottenham, per esempio, la Roma ha giocato partite aperte e pericolose, in cui ha concesso tante transizioni temibili agli avversari. Alla fine però la qualità dei giocatori della Roma è stata sufficiente per uscire con due pareggi in trasferta su due campi difficili.
«Abbiamo esagerato col pressing alto» aveva commentato Ranieri dopo la partita col Milan e contro la Lazio allora ha abbassato il baricentro, togliendo alla squadra di Baroni lo spazio per correre, facendola deprimere. Una flessibilità tattica che alla Roma non si vedeva da un po’.
Quello di ieri è stato il quinto derby di Roma vinto da Ranieri: un dato che non può essere casuale e che racconta la sua navigata conoscenza delle energie psichiche della città. I derby possono cambiare la temperatura delle stagioni ed è per questo che la vittoria di ieri della Roma è stata così importante.
«È passata la nottata» ha detto Ranieri, che però ha anche detto che sarebbe “tremendo” non ripetere la prestazione contro il Bologna. Sarebbe tremendo, certo, ma data la situazione non così assurdo a ben vedere. La Roma non vince in trasferta da aprile; negli ultimi due anni lontano da casa ha vinto solo 7 volte. Un andamento drammatico che non può cambiare davvero in una “nottata”.
In questo articolo abbiamo parlato dei miglioramenti della Roma, ma il punto da cui si partiva era talmente basso che la strada per diventare una squadra solida pare ancora piuttosto lunga. Dietro i miglioramenti si vedono ancora notevoli fragilità, equilibri sottili e una discontinuità che la squadra paga spesso a caro prezzo.
Qualcosa, comunque, si è mosso: «Abbiamo messo la nave in navigazione. Non so dove potremo arrivare, ho sempre promesso solo lavoro e sacrificio».