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Désiré Doué si diverte e non ha paura di sbagliare
15 apr 2025
A meno di vent'anni è già una delle attrazioni principali della Champions League.
(articolo)
11 min
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IMAGO / ZUMA Press Wire
(copertina) IMAGO / ZUMA Press Wire
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Per parlare di Désiré Doué, di cosa lo renda così speciale, si potrebbe partire da due palle perse. Sì, lo so io e lo sapete pure voi: i grandi dribblatori e i grandi talenti in generale hanno bisogno di tanto volume di gioco e quindi anche di libertà di sbagliare, cosa che non sempre gli allenatori sono disposti a concedere. Doué, però, è unico anche nel modo di perdere palla.

Il primo esempio risale al supplementare di Anfield, ritorno degli ottavi di finale di Champions League. Il PSG calcia corto un angolo a favore, ma il Liverpool è già a ridosso dei battitori, e così Doué non ha nessun vantaggio significativo su Gakpo che gli si fa incontro. Doué non ha dove andare, è fermo vicino alla linea laterale e Gakpo non ha intenzione di spostarsi. Bisogna provocarlo per far succedere qualcosa. Doué, allora, abbozza un omaggio a quel vecchio video di Cristiano Ronaldo che, vicino alla bandierina, prendeva in giro Eboué dell’Arsenal: con la suola del destro si fa passare il pallone dietro la gamba, salvo bloccarlo con la suola del sinistro e, sempre con i tacchetti, stavolta del mancino, riportarselo sotto l’altra suola, quella del destro. A quel punto Gakpo si è fatto sotto, è caduto in trappola, Doué deve “solo”, si fa per dire, scegliere il momento giusto in cui fargli il tunnel e circumnavigarlo con la corsa. Incredibilmente ci riesce, anche se Gakpo lo butta a terra con una spallata e l’arbitro non ravvisa il fallo.

L’altro caso di palla persa, invece, è di settimana scorsa, durante il primo tempo contro l’Aston Villa. Ancora una volta riceve a destra, vicino alla linea laterale, e quando Lucas Digne gli arriva addosso è girato di spalle. Senza provare a voltarsi, aggancia il pallone con la suola del destro e se lo sposta sul sinistro per provare ad alzarlo eseguendo una Veronica: un’esecuzione della ruleta poco ortodossa, tipica del suo idolo Neymar, pensata per provare a fare un tunnel a Digne in una situazione con poco margine di manovra. La palla, però, non solo rimbalza sulle gambe dell’ex terzino della Roma, ma sbatte anche addosso a Doué, che concede rimessa laterale.

Due momenti di vanità, direbbero i meno indulgenti, o forse due tentativi di trovare l’acqua nel deserto, visto che di sbocchi non ce n’erano e occorreva ragionare in maniera creativa. Di sicuro, azioni utili a definire la presenza del francese in due partite in cui il PSG stava palesando un livello tecnico altissimo, e serviva un pizzico di esibizionismo per far capire di essere comunque più forti degli altri.

Del resto, è sempre stato questo il calcio di Désiré Doué, che è molto giovane ma già si è fatto conoscere: capace di abbinare uno straordinario senso pratico, che contro l’Aston Villa gli ha permesso di piazzare una saetta sotto l’incrocio quasi senza caricare il tiro, al gusto barocco per la giocata ad effetto.

Mathieu Le Scornet, ex responsabile delle giovanili del Rennes, diceva che già da ragazzino «aveva un atteggiamento spensierato ma consapevole. Se gli dici di non dribblare ma lui è sicuro che funzionerà, lo farà comunque. È conscio del rischio. Non è arroganza, è che semplicemente pensa sia la cosa giusta da fare. Ecco perché dobbiamo accettare l'errore» ed ecco perché durante una eliminatoria di Champions Doué può permettersi una Veronica a vuoto come quella contro l’Aston Villa o di trasformare Anfield nel campetto sotto casa come nella palla persa contro Gakpo.

E comunque, si è trattato di eccezioni, viste le prestazioni fin qui piene di spunti ai quali gli avversari non hanno trovato riparo. Che un ragazzo di 19 anni potesse giocare in questo modo non era per nulla preventivabile. Ma da Désiré Doué (e mi perdonerete se continuo a chiamarlo per esteso, ma persino l’anagrafe, e non solo il Dio che distribuisce il talento, è stata benevola con questo ragazzo, regalandogli un nome che suonasse così bene) avremmo dovuto aspettarcelo.

L’accademia del Rennes è una delle più importanti della grande fabbrica di talento del calcio francese, Dembélé e Camavinga oggi sono i nomi più illustri usciti da lì. Già tre anni fa, però, quando esordiva tra i professionisti ed erano ancora lontane le notti di Champions, Le Scornet non aveva dubbi su quale fosse il talento più puro prodotto dai bretoni: «Eduardo (Camavinga nda) aveva già un approccio collettivo, ma non aveva la stessa naturalezza, abbiamo dovuto lavorare sul suo controllo di palla. Ousmane (Dembélé nda) l’ho visto per la prima volta in una partita undici contro undici e anche lui giocava molti passaggi». Niente a che vedere con Doué: «Il gioco di Désiré non poggiava su controllo e passaggio, era questo che lo rendeva unico. Voleva solo giocare con il suo avversario, voleva divertirsi».

Non sembra cambiato poi molto da quello che vediamo oggi in campo. E tutto questo sotto la guida di un intransigente come Luis Enrique, la cui carriera è una continua oscillazione tra lo stalinismo più totale e la valorizzazione del talento. Non è un caso, però, che il tecnico asturiano apprezzi così tanto Doué: il gioco nello stretto, la capacità di non perdere palla laddove gli spazi si chiudono, e di creare varchi col dribbling nell’ultimo terzo di campo, servono per nutrire la sua idea di calcio. Nei movimenti Luis Enrique pretende obbedienza cieca: la palla la si può ricevere solo in determinate posizioni, a determinate condizioni e con determinate distanze. Una volta ricevuta, però, i talenti offensivi sono liberi di farci ciò che vogliono, perché tanto a filtrare ogni impurità e a dare un senso generale all’azione ci hanno già pensato Vitinha e João Neves, perciò a quel punto le licenze concesse a Doué, Kvara e Dembélé non possono più ledere il sistema.

Se Doué, prima di ricevere, riesce a soddisfare le richieste di Luis Enrique, è perché già dai tempi del Rennes era stato abituato a calpestare più zone di campo. In rossonero aveva giocato su entrambe le fasce, e poteva ricevere sia in ampiezza che nelle tasche interne. È stato schierato anche da trequartista o da mezzala. Chi lo ha utilizzato in maniera più particolare, però, è stato Julien Stéphan, suo allenatore al Rennes da novembre a giugno dello scorso anno. Stéphan aveva una fiducia tale in Doué che nelle due partite più difficili della scorsa stagione, quelle in casa del PSG in campionato e in Coppa di Francia, lo ha schierato mediano in un doble pivote (avete capito bene). Il motivo? La qualità sotto pressione di Doué. Contro una squadra che avrebbe cercato di soffocare il Rennes, c’era bisogno di qualcuno che potesse allentare la morsa del PSG.

Del resto, Stéphan non ha dubbi: per il talento di cui dispone, Doué «finirà per spostarsi nel cuore del gioco», in zone più centrali, dove potrà toccare ancora più palloni ed espandere la sua influenza.

Proprio ciò che lo differenzia, al momento, dal suo idolo, Neymar. Da quello straordinario ingresso ad Anfield internet pullula di clip in cui le giocate dell’ex Rennes si sovrappongono a quelle di Neymar. Doué, però, per ora somiglia al brasiliano nella forma più che nel contenuto. A differenza di Neymar non è un numero dieci a tutto campo, o perlomeno non ancora, visto che il gioco di Luis Enrique rifiuta quel tipo di figura e di certo a 19 anni è impossibile avere quella padronanza del gioco: dopo tutto, anche Neymar all’inizio era solo un’ala.

Resta però il fatto che Doué riesca a rendergli omaggio più che degnamente, forse il migliore dei suoi emuli in un’epoca particolarmente florida di adepti del brasiliano.

È simpatico notare come il web sia pieno di esperti sempre pronti a screditare Neymar, spesso istituendo paragoni senza senso con giocatori che, per la loro concretezza, vengono presentati come la sua antitesi: Müller, De Bruyne, Salah. Poi, però, vai a vedere, e il modello dei calciatori più talentuosi di adesso non è di certo Thomas Müller, con tutto il rispetto per il magnifico fuoriclasse che è stato il tedesco. L’idolo di Rodrygo? Neymar. L’idolo di Musiala? Neymar. Di Leão? Neymar. Di Lamine Yamal? Neymar. Di Doué neanche ve lo dico, basta guardarlo per accorgersene. A livello gestuale è senza dubbio il giocatore che gli somiglia di più. Si vede che lo ha studiato a dovere, non solo nell’inventario di trick, ma anche in alcune pieghe del gioco: nel modo elusivo in cui può partire da fermo, magari dopo aver sbilanciato l’uomo solo fintando di toccare la palla, oppure negli scarichi di prima con l’esterno. I tifosi del Milan forse ricorderanno uno stop abbastanza assurdo eseguito lo scorso anno a San Siro, durante i sedicesimi di Europa League, dove Doué ha controllato un cambio gioco con un colpo di tacco a gambe incrociate proprio come amava fare Neymar.

Per il resto, però, ogni giocatore è uguale solo a sé stesso e se anche un giorno Doué dovesse diventare un numero dieci, di certo lo farebbe a modo suo. Probabilmente con un po’ più di atletismo, da buon francese di questa generazione. Chiunque abbia lavorato con Doué non sottolinea solo le sue qualità con la palla, ma anche la sua attitudine allo sforzo: anche questo rende sostenibile, agli occhi dei suoi allenatori, il fatto di poterlo impiegare un po’ ovunque.

Se però Doué riesce ad eccellere in qualsiasi zona del campo, il merito è principalmente dei suoi piedi. La palla, con quella tecnica, può toccarla dove e come vuole, in qualsiasi situazione. Nel PSG parte da ala, sia destra che sinistra, ma per il modo in cui finiscono ad attaccare i parigini Doué riceve un po’ su tutto il fronte offensivo. Da sinistra può rientrare sul piede forte. Da destra alterna alla perfezione frenate e ripartenze e un modo di sfondare lo trova comunque. In zone interne non si limita a conservare il possesso, può anche permettersi di accelerare, perché il controllo sulla palla rimane immacolato, evitare gli avversari non è un problema. È il privilegio di chi tratta il pallone come un vasaio che lavora al tornio. Fateci caso al modo in cui tocca la palla, a ciò che c’è prima del dribbling o durante la conduzione.

In questo senso, esiste un particolare in cui Doué, probabilmente, è già il migliore in Europa: il modo in cui riesce a sfruttare tutta la superficie del suo piede destro. Doué fa passare la palla da una parte all’altra del piede senza soluzione di continuità: suola-interno, suola-collo, suola-esterno e tutte le altre combinazioni possibili. È così che prepara le sue giocate, in un modo che finisce per ingannare gli avversari, perché è difficile prevedere cosa stia escogitando uno che la palla la accompagna così: che si tratti di un dribbling particolarmente complicato, oppure di uno di quegli scarichi eseguiti con l’esterno dopo aver fatto scivolare la sfera prima sotto i tacchetti e poi sul collo.

Marzo e aprile 2025, a 20 anni da compiere, rischiano di essere i mesi dell’esplosione per Désiré Doué, che a questo punto ha fissato l’asticella delle nostre aspettative vertiginosamente in alto. Negli ultimi due giorni non solo Neymar gli ha ricambiato il follow su Instagram (qualora servisse una benedizione di qualche sorta), ma ha anche ricevuto il premio di miglior giocatore di marzo in Ligue 1. A testimonianza di quanto il suo stile di gioco sia irresistibile e poco convenzionale, in maniera scherzosa il profilo X della UNFP, l’assocalciatori francese, lo ha definito “la pepita francese brasiliana”. Una caption ispirata a una dichiarazione di Samir Nasri a Canal+: «Se mi avessero detto che si chiama Douinho ed è brasiliano ci avrei creduto con tutto il cuore».

Ad aspettare Doué e i suoi compagni stasera c’è uno degli avversari più infidi che si possano incontrare in Europa, Unai Emery. L’Aston Villa è di certo inferiore al PSG, ma conquistare in tranquillità le semifinali contro uno stratega come il tecnico basco sarebbe una vera affermazione di maturità per una squadra a cui gli psicodrammi in Europa non sono di certo mancati. A quel punto, qualora nell’altro quarto passasse l’Arsenal, gli uomini di Luis Enrique sarebbero i favoriti per raggiungere la finale di Monaco di Baviera.

In Champions League la tensione di certe partite diventa così pesante da imballare le gambe e offuscare la mente anche ad alcuni dei giocatori migliori. Fino ad ora, i talenti del PSG non ne hanno risentito, anzi: era da tempo che qualcuno non riusciva ad esprimersi con questa spensieratezza, forse davvero dall’estate di Neymar durante il Covid. Sarà anche per una questione di motivazioni: Kvara è mosso dalla fame di stabilirsi al livello dei migliori, Dembélé da quella di dimostrare la propria compiutezza. Per loro, insomma, c’è del senso di rivincita.

Non per Doué, che a meno di vent’anni di tempo per vincere la Coppa che più di tutte mette in soggezione ne avrebbe a bizzeffe. Il timore, la paura di sbagliare, però, non sembrano appartenere al lessico emotivo del numero 14 (numero scelto in onore di Matuidi, sic). Doué potrà evolversi e migliorare, diventare il tipo di giocatore che desidera, magari più centrale e influente nel gioco. L’importante, però, è che non perda questo spirito. Ciò che ha contribuito a portarlo a questo livello e che farà sì, in ogni caso, che la Champions League 2024/25 la ricorderemo sempre un po’ come l'edizione in cui ci ha lasciato a bocca aperta.

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