
Ma guardiamolo per un attimo senza fermarci alla scorza delle apparenze e delle contingenze, Ángel Fabián “El Fideo” Di María Hernández, oltre i capelli dal taglio retro con la brillantina e la riga, oltre il volto scavato dalle delusioni, dal fardello di una generazione di calciatori di talento che è stata incapace di vincere, oltre le borse sotto gli occhi e quell’aria trasognante da personaggio di milonga di provincia. Guardiamolo, e poi chiediamoci cos’è che ci ha fatto spesso immalinconire, o almeno cosa ci ha fatto pensare - forse troppo spesso - che fosse un giocatore al capolinea. Perché penso che lo abbiamo fatto tutti, almeno una volta. Anche se stiamo pur sempre parlando di uno dei piedi sinistri più letali e soavi al tempo stesso che ci siano in circolazione.
A certi calciatori basta un’annata storta, per perdere tutta la loro credibilità di giocatori di questo livello. O almeno così è andata con Di María, la cui reputazione è colata a picco nell’annus horribilis 2014-2015, quando da vicecampione del mondo si è imbarcato sulla fregata Manchester United capitanata da Louis Van Gaal senza sapere di essere destinato al naufragio.
Poi, però, quasi come per miracolo, arriva uno Stato Di Grazia. Può durare poche settimane, qualche mese, una stagione intera. E quando ti coglie lo Stato Di Grazia, ti riprendi tutto ciò che è sempre stato tuo. La storia recente (e anche meno recente) di Ángel Di María, tutto sommato, è esattamente questo, per quanto non fino in fondo: la storia di un atleta che ha ricevuto in dono il sacro fuoco quando sembrava che la sua carriera stesse in qualche modo incancrenendosi.
Ammesso e non concesso che qualcuno possa aver pensato che Di María fosse un giocatore bollito quando ha segnato questo capolavoro al Mondiale di Russia.
L'ultima resurrezione del "Fideo" - cioè "lo spaghetto", come lo chiamano in Argentina - è iniziata il 18 settembre di quest’anno, quando il PSG ha sfidato il Real Madrid nella prima gara di Champions League. In quell'occasione mancavano sia Cavani che Neymar, e Di Maria ha giocato da centravanti. E da centravanti ha trovato una doppietta, entrambe le reti con il sinistro, come se fosse anche solo possibile altrimenti: una girata al volo in inserimento, e un bel sinistro a giro dal limite (qua da 0.35). Da quel giorno è come lievitato: mentre scrivo ha già raccolto 7 gol e 8 assist in 15 presenze, cioè poco più di un terzo delle reti segnate durante tutta la stagione scorsa e la metà degli assist.
Forse può sembrare strano, allora, parlare di resurrezione per un calciatore che, in fin dei conti, in quattro anni di militanza al PSG ha registrato 76 gol e 75 assist in 194 presenze. La percezione che abbiamo avuto noi, però, abituati ad avere le orecchie piene del PSG di Mbappé, del PSG di Neymar, del PSG di Cavani, in questi due mesi dell’autunno 2019 è stata davvero che il "Fideo" fosse tornato da un esilio lungo e prolungato. Finalmente ci è sembrato sensato parlare del PSG di Di María. E del suo piede sinistro.
Di María con il suo piede sinistro fa tutto, una specie di Christy Brown - che sul suo piede sinistro, l'unica parte attiva del suo corpo, ci ha scritto un libro - se mi permettete il parallelismo sacrilego. Alcune cose, perdipiù, le fa molto meglio di chiunque altro. Guardate questo passaggio, assaporatene ogni frame come fosse fatto un acino d’uva appena vendemmiata.
Si tratta del quarto assist della partita (sì, quattro assist nella stessa partita) per Kylian Mbappé nella fruttuosissima trasferta di Brugge, in Champions League. Prima di questo passaggio Di María ha già palleggiato di testa e offerto con un esterno delicatissimo l’assist dell’1-0 a Icardi, propiziato il 2-0 di Mbappé e servito un tocco all’indietro per l’accorrente Icardi. In questa occasione, invece, il "Fideo" parte largo sulla fascia destra, come ultimamente gli sta capitando spesso di fare con Tuchel. Il colombiano Balanta, che ha un senso innato per il realismo magico, intuisce cosa stia per inventarsi il "Fideo" e lo aggredisce: ma il pallone si è ormai staccato dal suo piede, aggira Deli e Mechele prendendoli non saprei dire bene se più di sorpresa o controtempo, e tempo che te ne accorgi la sfera ha già raggiunto, con precisione millimetrica, il piede in corsa di Mbappé, che non ha neppure l’incombenza di doverla stoppare, aggiustare, addomesticare: gli basta sospingerla in gol.
Questa dote pantocratica del sinistro del "Fideo", questa sua capacità di inventare mondi e disegnare traiettorie complicatissime da prefigurare, è la grande panacea a ogni vizio e stortura del resto delle cose che fa Ángel Di María in campo: perché il "Fideo" sembra sempre un’anima in pena, alla costante ricerca di una posizione che sappia valorizzarlo, e di un allenatore che abbia l’intuizione giusta sulla quale il "Fideo" possa edificare la sua cattedrale di convinzioni.
Tuchel lo ha impiegato praticamente ovunque, nel corso delle due stagioni in cui l’ha avuto al suo servizio: da ala sinistra, da ala destra, da falso nove, da mezzala offensiva, addirittura da carrillero (cioè da esterno a tutto campo, che è poi il ruolo che Jorge Sampaoli gli aveva cucito addosso nel suo interregno, destinandolo a un esilio dalla centralità del gioco peggiore di quello alle isole Cayenna). E in assenza di una posizione precisa, Di María sembra divenire precario anche emozionalmente, somatizza l’ansia, finisce per astrarsi.
Forse è anche per questo che si dice sia un giocatore di regime, cioè che giochi bene solo con allenatori capaci di pungolarlo, esaltarlo, sublimarne le caratteristiche. Così è stato a Madrid con Mourinho e Ancelotti. Così non è stato a Parigi con Emery.
Che Tuchel invece lo esalti, è un dato di fatto. Ovviamente c’entra tantissimo anche la condizione fisica, prima che mentale, e Di María è evidentemente in forma (anche perché se così non fosse non potrebbe abbinare a questo tocco di classe l’accelerazione che invece abbina), né dare due metri di stacco al primo difensore del Nizza che lo insegue nella recente sfida di Ligue 1. Ma lo Stato di Grazia ha anche e soprattutto a che fare, in qualche modo, con la fortuna: e il fatto è che al "Fideo" riesce ogni cosa gli passi per la testa, ultimamente. Tipo questa giocata che è valsa il 2-0 al Nizza.
«Non so se volevo crossare o tirare. Ho tirato la palla verso l’alto, e grazie a Dio è andata dentro».
Era dal 2015 che Di María non partecipava così attivamente ai successi della sua squadra. Cioè da quando, reduce dalla parentesi grigissima in Premier League, aveva abbracciato e si era fatto abbracciare da Parigi con lo stesso spirito con cui negli anni ‘50 e ‘60 lo facevano scrittori e intellettuali latinoamericani, che cercavano un rifugio in cui leccarsi le ferite e ritrovare il proprio talento.
Un anno prima aveva vinto la Décima con la maglia del Real da uomo partita, e sfiorato la Coppa del Mondo - anche se era rimasto fuori dalla finale, a quanto pare proprio sotto esplicita richiesta del Real Madrid che non voleva sfumasse per un infortunio la sua cessione al Manchester United.
Non tutto è andato come sperava, ma d’altronde Parigi fa spesso questo effetto agli argentini: Pastore, Lavezzi, Lo Celso, tutti si sono esaltati e poi sono caduti in depressione all’ombra della Tour Eiffel. A Di María sembrava potesse capitare lo stesso: nel 2017, ai margini della rosa, frustrato, sconfitto in campionato, sembrava che su questa orrenda entrata su Arnaud Souquet del Nizza potessero scorrere i titoli di coda, calare il sipario.
Invece il "Fideo" ha rifiutato il trasferimento al Monaco, atteso pazientemente, e con l’arrivo di Tuchel si è ripreso il posto che merita, cioè quello di mattatore assoluto, di Deus Ex Machina, di catalizzatore di gioco capace di fornire tre assist nel Classique contro l’OM, uno più sorprendente dell’altro: un lob morbido, una specie di no-look acrobatico e soprattutto questo filtrante d’esterno, una delle sue marche distintive recenti.
Poi, però, non è detto che lo Stato di Grazia duri per sempre. Nell’ultima giornata di Ligue 1, insieme al resto della squadra, il "Fideo" è crollato nel testa-coda con il Dijon. E anche Scaloni, che lo ha tenuto fuori dai convocati per le due amichevoli di novembre dell’Albiceleste con Brasile e Uruguay, è come se avesse messo un timbro in ceralacca sul periodo recente di Di María, un timbro con su scritto "Sic transit gloria mundi".
C’è un racconto di Julio Cortázar che si chiama «Lucas, sus amigos» (si trova in «Un tal Lucas») e che racconta la strabiliante quotidianità di una serie di sudamericani trapiantati a Parigi, in bilico tra marmocchi piagnucolanti, empanadas, talento da coltivare e difendere dagli attacchi della routine.
E se c’è un calciatore che somiglia ai fratelli Cedrón, non può che essere Ángel Fabián “El Fideo” Di María Hernández, calciatore dal sinistro eccentrico, che lo vedi giocare e ogni volta non ti capaciti di come sia stato possibile che si sia eclissato per tutto questo tempo.