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Diario di un esonero
16 lug 2025
L’esperienza da viceallenatore del Sudtirol di Alessandro Gazzi è durata appena un mese.
(articolo)
21 min
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Sfoglio distrattamente le pagine di un giornale, seduto su questa poltrona, nella sala d’attesa del FCS Center, centro sportivo del FC Südtirol, in provincia di Bolzano.

Sono tranquillo, molto tranquillo. Sto attendendo il mio turno per definire gli ultimi dettagli del contratto che firmerò come vice allenatore. Un nuovo impiego professionale, una buona opportunità di crescita capitata in questo incerto inizio di novembre.

Sono trascorsi pochi minuti da quando ho messo piede nella nuova realtà e tutto per il momento sembra filare liscio, senza attriti. Una rapida sbirciata al centro sportivo, una sommaria conoscenza dei piani alti della società, l’inclinazione cromatica che vira sul bianco e sul rosso, e la percezione che la dimensione professionale in cui lavorerò potrà arricchirmi ulteriormente.

Inganno il tempo sfogliando pagine e pensieri. Pensieri soprattutto. Positivi. Mentre scorre la fisiologica fibrillazione dell’inizio di “qualcosa”, intravedo l’amministratore delegato e il direttore tecnico uscire dalla sala riunioni e confabulare, a pochi passi da me, con voce leggermente sommessa.

Sembra lo facciano quasi intenzionalmente, o almeno questo è quello che penso. A pochi passi, in separata sede. Comunicano in una lingua che non conosco. Il tedesco forse? Lo fanno senza dar peso alla mia presenza, come se fosse normalità e, per qualche istante, mi sento a disagio.

Continuo a sfogliare il giornale, mentre quei “bisbigli” indecifrabili, quella lingua ignota, modella un muro immaginario alto quanto basta per sedare facili entusiasmi.

1.
-Perché non sei andato in città?

-Il vento l’ha spazzata via.

-Come è successo?

-È andata in rovina.

-Come sarebbe in “rovina”

-Perché tutto è in rovina. Tutto è stato impoverito. Ma potrei dire che tutto è distruzione e rovina perché qui non si tratta di un qualche cataclisma generato da un’azione innocente degli uomini. Al contrario. Qui si tratta del giudizio umano…

(Dal dialogo tra il viandante e il vecchio ne “Il cavallo di Torino” di Bela Tarr)

2.
Dietro un esonero c’è sempre il sorriso di tua moglie e delle tue figlie.

3.
DOPO SOLO 33 GIORNI: IL FC SÜDTIROL ESONERA L’ALLENATORE ZAFFARONI

Era il 4 novembre 2024 quando arrivò nelle redazioni del Paese la notizia: il FC Südtirol si era separato dall’allenatore Federico Valente. Come suo successore era stato annunciato Marco Zaffaroni. Ma ora, 33 giorni dopo, la sua avventura con i biancorossi è già finita. Sabato sera – meno di 24 ore dopo la sconfitta per 1-2 contro la Juve Stabia – il FCS ha annunciato che il tecnico 55enne è stato sollevato dall’incarico. (...)

UN BILANCIO DA INCUBO Zaffaroni: quattro partite, quattro sconfitte, una differenza reti di 1:10. Inoltre, contro lo Spezia (0:3) e la Cremonese (0:4), il FCS ha fornito le due peggiori prestazioni della sua storia in Serie B. I biancorossi si trovano attualmente in una posizione di retrocessione diretta e la permanenza in categoria è gravemente a rischio. Per questo motivo, sabato il direttore sportivo Paolo Bravo ha tirato il freno d’emergenza ed esonerato il tecnico dopo appena un mese. Insieme a Zaffaroni devono lasciare anche il vice allenatore Alessandro Gazzi e il collaboratore tecnico Nicoló Cherubin.

Il periodo di Zaffaroni al FC Südtirol è durato poco più di un mese. Naturalmente, ora anche il direttore sportivo Bravo dovrà rispondere a domande scomode. La sua decisione di ingaggiare Zaffaroni come uomo salvezza era stata criticata fin dall’inizio (…)

(Da un articolo di un quotidiano locale tedesco che informa dell’esonero di Mister Zaffaroni)

4.
Der Wald kennt: la foresta lo sa. La conclusione simbolica, a sei giorni dall’ultima partita, am rand des pools: sul bordo della piscina. C’è il riflesso del ghiaccio in superficie, denso e immobile, das kalte wasser: l’acqua fredda. Il color verde muschio sfumato sul fondo della tinozza rettangolare, der himmel ist klar, die sonne blass: il cielo limpido, il sole pallido.

Dalla cima di questo declivio si intravede il piccolo centro urbano di San Paolo, terrazzamenti vinicoli, il Col dell’Uomo. Le temperature di metà dicembre sono calate nelle ultime ore ma l’aria, tutto sommato, è tiepida. Si starebbe anche bene, se non fosse per questo umore strozzato. Stiamo attendendo il team manager che ci ridarà il materiale che abbiamo lasciato al nostro posto in spogliatoio, scarpini, scarpe da ginnastica, beauty, lo stretto necessario per la quotidianità lavorativa.

Poi, recupereremo le nostre cose dagli appartamenti che ci erano stati assegnati, cibo, vestiti, appunti. Tagebücher: diari. E le sensazioni contrastanti di queste settimane. Parliamo poco io e il Mister. Dazwischen, stille: nel mezzo, il silenzio. Passi sulla pavimentazione di legno. Una sigaretta. Valutazioni sul futuro prossimo. Qualche considerazione spiccia su ciò che è stato e su ciò che sarà.

E pensieri non verbalizzati che rimangono pensieri e che si disperdono nell’aria. Si sente un elicottero in lontananza. Qualche auto. Una motosega. Ancora silenzio. Non vediamo l’ora di raccogliere tutto e tornare a casa. Non c’è più niente da raccontare. Man muss. Es. Überstehen. Bisogna. Resistere. Sopravvivere.

Osservare zone d’interesse diagonali. Ad esempio: una foto mai scattata. Ok, ma che cosa c’entra con tutto questo, si saranno semplicemente dimenticati. Tu dici? Si saranno dimenticati? È questo il punto. Un piccolo dettaglio operativo, una crepa insignificante. Il che ne consegue: una foto mai scattata. Nessuna foto ufficiale, sul sito, al nuovo staff. Di solito è la prima cosa che si fa. E se noti che non c’è nessuna foto, che non è mai stata fatta, sai già come andrà a finire. Lo sai già. È inevitabile. Sai già… Interrotto. Cosa faccio? La cancello? La cartella sul desktop, lì, in basso a destra. SUDTIROL 2024/2025?

5.
All’altezza del pomo d’Adamo. Uno sfogo allo stadio embrionale, accozzaglia di molecole incagliate che cercano una via di fuga tra le corde vocali. Non c’è nulla da sbraitare, nemmeno uno sputo di parola. Giunge un messaggio sullo smartphone. Ciao Ale, mi dispiace per come è andata. Il nostro è un mestiere di merda. Punti di vista dopotutto, sono punti di vista.

Guido verso Bolzano, è notte, la Verona Brennero è libera e buia. Ciononostante la luna mi permette di distinguere i profili delle montagne, il loro incagliarsi nel cielo carico di domande. Cosa avrei potuto fare, nel mio piccolo, di diverso? O magari cosa avrei potuto fare che non ho fatto? Cosa posso fare ora se non proiettare sensazioni su questa strada vuota e buia, fraseggiare nei pensieri, nei ricordi vivi di trentatrè giorni rappresi nel loro violento incedere.

Non è stata una strada facile, per niente. Anzi, è stata una salita che si è fatta sempre più ripida, uno Yo-Yo test nel quale ti ritrovi subito impiccato. Un tuffo senza aver inspirato a fondo, poco ossigeno e si risale. È girato, è girato, Scivola. I flashback si fondono nella consapevolezza. Le parole si alternano al tono vivo o monocorde, uno screzio tipico che lascia il tempo che trova, la signora Gabriella che prepara il pranzo per tutta la squadra, caffè cremoso, freddo, sguardi obliqui, dialoghi in tedesco, il bosco dietro. Pensieri.

Una sfilza di nomi e cognomi imparati in fretta e furia, nemmeno il tempo di memorizzarli ed ora… li potresti anche dimenticare. Poluzzi, Drago, Theiner, El Kaouakibi, Molina, Giorgini, Kofler, Pietrangeli, Ceppitelli, Masiello, Cagnano, Vimercati, Davi Federico, Davi Simone, Arrigoni, Praszelik, Zedadka, Casiraghi, Mallamo, Kurtic, Rover, Odogwu, Merkaj, Crespi. Professionisti del calcio, lavoratori pallonari, ragazzi appassionati del football, fidanzati, genitori, mariti, amanti.

E poi lo staff, Nico, Willy, Danilo, Lorenzo. Massimo. Alberto con le sue considerazioni sulla perfezione logaritmica di certe opere d’arte. E grumi di neve che si sciolgono in pochi giorni. E poi le riflessioni, i ragionamenti articolati e i ragionamenti di bassa lega, il campo sintetico, il sole quasi sempre presente, emicrania e tosse secca, i ragazzi della Primavera che ascoltano la trap francese perché mette le giuste vibes prima dell’allenamento. Freddo, ancora neve e poca convinzione. Una frase: va bene tutto, ma non tutto tutto.

I riflessi delle stagioni precedenti vissute su altre frequenze emotive, ma sono solo riflessi, fantasmi mnemonici dai quali è meglio che tutti prendano le distanze. Alza la linea, siete troppo bassi! Cambi di formazione e cambi di casacca, lavagne tattiche, Arrigoni con Praszelik, Mallamo con Molina, Merkaj e Odogwu, tutto scorre, frenetico, un micidiale turbillon nel quale cercare. Punti. Qualche commento sugli spalti, un urlo. Bisbigli. Fooor-za ragazzz-zi! Linearità oggettiva, umoralità sfasata, giudizi in disequilibrio. Equilibrio. Vie di mezzo. Vie. Di. Mezzo. Moralità. Tattica e moralità, Strategia. A-moralità. In-coerenza.

Video analisi pomeridiana. Il drone che ronza sopra la mia testa. I no, non ci siamo. Play, torna indietro, vai. Ferma. La posizione di Ceppitelli, la postura di El Kaouakibi. Un giorno sono entrato nello spogliatoio e ho chiesto ad un ragazzo, così, per conoscerlo meglio, se aveva altre passioni oltre al calcio. Ma non è andata proprio così, no. In realtà gli ho chiesto se lui avesse una passione e guardandomi stupito mi dice, ovvio, il calcio. Poi, consapevole dell’errore – aver considerato il calcio come un lavoro - ho riformulato la domanda e gli ho chiesto se avesse altre passioni oltre al calcio. Lui ci pensa e mi risponde: arredatore d’interni.

Fuori il mondo era bellissimo ma c’erano delle correnti che andavano centrifugate. E adesso, sento solo uno sfogo allo stato embrionale stridere rauco. E la voglia di arrivare al più presto a Bolzano, dormire e portare via tutto quello che ho.

6.
Non c’è stato nemmeno un instante in cui mi sono goduto questa esperienza.

7.
E poi ci sarà il valzer delle interpretazioni. Chi dirà che l’allenatore non è stato all’altezza e chi dirà che il direttore non ha azzeccato la scelta. Chi dirà che a Castellamare qualcosina si è visto e chi dirà che lo sprofondo non è stato ancora raggiunto. Chi dirà che il Sudtirol non è una squadra all’ altezza e chi dirà che il calendario in quel mese era lo Stelvio da scalare con una citybike sotto una nevicata memorabile. Ma il campionato è lungo e ancora c’è tempo. E la squadra si può ancora salvare, certo che può. Forse. O magari no. Chissà.

Poi ci saranno coloro che dicono che manca la qualità dei singoli e coloro che dicono che la qualità c’è eccome, i Casiraghi, i Zedadka, i Kurtic e via dicendo. Poi ci sarà chi voleva un allenatore dalle sfuriate giornaliere e chi un pacato manager zen dall’aria sciamanica. Interpretazioni. Giudizi, un mondo di giudizi che cambiano dall’oggi al domani, funziona così il calcio. Giudizi. Ci saranno coloro che non avevano nemmeno quotato l’esonero e chi penserà che in fondo qualche punticino lo si poteva anche portare a casa.

Ci sarà chi dirà che la guida tecnica non è entrata, come si dice, in empatia con la squadra e chi dirà che la cazzata l’ha fatta il direttore sportivo, per non dire la società. E chi dirà che la squadra fa semplicemente cacare. Poi ci sarà chi dirà che l’organico è valido e che il monte ingaggi e i budget e la storia della società non contano nulla in Serie B. Ci sarà chi non vedeva l’ora, dentro la squadra, che si sciacquasse dalle palle la guida tecnica perché fredda e distante e chi sarà dispiaciuto di non poter proseguire il lavoro appena abbozzato.

Ci saranno persone che finché ci sei ti diranno che va tutto bene e appena non ci sei, bé, prima era peggio o magari non ci hai capito un cazzo. Interpretazioni. In-ter-pre-ta-zio-ni.

E poi ci sarà chi pensa, come me, che banalmente il mese più delicato dell’anno è novembre. È a novembre che inizi a segnare la tua strada. È sempre stato così novembre. Lo è sempre stato. E questo è stato un novembre nero. Di incastri forzati.

8.
È una questione di incastri. Verbindungen, diceva il direttore. Certo che è una questione di incastri. Di chiavi e serrature, di password e codici. Di parole efficaci nel momento opportuno. Di casualità concatenata al susseguirsi imprevedibile di lievi soffi di vento, di acidi sibilli, di furenti scatti. Gli incastri perfetti di una costruzione Lego o di qualsiasi pannello in truciolare che aderisca perfettamente alla sua metà. In simbiosi architettonica. Basta ripetere la parola, una, due, tre volte. Incastro. Incastro. Incastro.

È lo sforzo che fai per pronunciarla, che ne determina la complessità e la sofferenza nel far quadrare le cose. È chiaro. La /k/ occlusiva che blocca l’aria e poi la rilascia, brusca. E poi di nuovo quella sequenza di attriti, tre consonanti /s/t/r/ frizioni emotive sulle quali ci devi per forza sbattere la testa. Vedi, è una questione materica, di qualcosa che deve aderire con forza alla perfezione. Con forza, alla perfezione. E allo stesso tempo, quella forza e quella perfezione devono essere pregne di complementarità armonica. Incastro, quale realtà percepisco?

L’incastro, quello di un pallone che giunge al tempo giusto sul piede di un difensore che realizza un gol, l’unico evento acuto che potrebbe, avrebbe potuto spostare le risposte diaframmatiche della squadra. O forse no. Quelli sono incastri. Eventi. Come l’acquisto di mercato azzeccato per tutta una serie di coincidenze che hanno incanalato la trattativa andata a buon fine, solo per semplice coincidenza.

Perché tutto si deve incastrare in maniera naturale, senza forzature come quando metti in campo una squadra e senti che tutto fila come dovrebbe, lo senti perché è la stessa squadra, lo stesso ambiente, che ti trasmette quella sicurezza. Di sicurezza invece, ce n’era ben poca. E il tempo, e la velocità di reazione e il bisogno di punti e il timing perfetto delle scelte… ossigeno serviva, altroché. Punti. Incastri. Come nella armonica predisposizione di due atomi di idrogeno che si interfacciano con un atomo di ossigeno. Geometrie tetraedriche. E invece. Solo immagini azotate. Incastri.

Come nella significativa accelerazione che un biocatalizzatore imprime alle trasformazioni chimiche e che agisce nel sito di legame del substrato. Energetico. Calciatori substrati, l’enzima agisce, forma o rompe legami biochimici. Da che cosa sono composte queste interazioni elettrostatiche? C’è un adattamento reciproco nel rapporto enzima substrato, allenatore squadra? C’è un adattamento reciproco nel rapporto enzima substrato direttore allenatore amministratore delegato presidente, magazziniere team manager squadra?

Quanto incide in questi rapporti la concatenazione dinamica delle relazioni di tutte le molecole che partecipano a tale re(l)azione implosiva-esplosiva? Gli attriti che ho percepito in quest’esperienza sono fisiologici o necessitavano di più tempo di adattamento? Oppure la chiave era semplicemente quella di un’altra serratura?

Quale freno ha prodotto la di per sé rallentata evoluzione di un percorso che ha rifilato 4 incastri consecutivi contro Sassuolo, Spezia, Cremonese e Juve Stabia?

Incastri. Un calendario di incastri perfetto per sprofondare. Servivano vittorie, contro la prima, la seconda, la terza e la sorpresa del campionato che vive ai piani alti e se non è quarta è solo quinta.

Incastri che stridono se si guarda un certo tipo di realtà. Incastri che si stanno per allentare, adattare, se ne si guarda un’altra, di realtà. Dipende dal linguaggio che utilizzi e dalla narrazione che vuoi imprimere al romanzo-incastro. Come si può interpretare un percorso interrotto bruscamente dopo quattro giornate e negativo numeri alla mano?

Come si può interpretare l’evoluzione emotiva della squadra al fronte di un novembre nero incastrato tra un cambio d’allenatore ed un altro? Verbindungen: come queste parole compresse, come questi periodi stratificati, frastornati e frastornanti. Stritolanti.

9.
Sulla parte inferiore dello schermo dell’auto, appare una chiamata in arrivo da un numero che non conosco.

È un +39 seguito da una decina di cifre nelle quali, per pochi attimi, concentro la mia attenzione. Non ho idea chi ci sia dietro quella sequenza ma so che dovrò rispondere. È inevitabile. La situazione lo esige.

Pronto. Ciao Ale, sono Paolo. Ti ho chiamato perché mi sembrava giusto chiamarti, ecco, volevo dirti che si è scelto di cambiare la guida tecnica della squadra, mi sono assunto questa responsabilità e ho deciso così. È una questione di incastri, sentivo che non funzionava. Ti ringrazio.

Va bene, ok. Riattacco.

In questi trentatré giorni di lavoro non ho mai sentito il direttore sportivo così sintetico e di poche parole. Lui che è sempre un fiume in piena e che snocciola considerazioni a trecentosessanta gradi su calciatori, allenatori e situazioni, che con il calcio ci “sanguina”, che lo vedi fin dentro le pupille che vive di questo. Solo di questo. La sua voce, sarà per l’ennesima sconfitta e per la situazione di merda, la percepisco sfinita, svuotata e senza più argomenti da sviscerare. È solo uno specchio, penso.

Sono stanco, ho dormito poco e sono in viaggio già da qualche ora escludendo il volo aereo di rientro da Napoli a Bolzano. Ho rivisto la partita di Castellamare già due volte: la prima questa mattina alle 6.00, selezionando una ventina di tagli da far vedere al Mister. La seconda in aereo, saltando alcune fasi di gioco. Ho la convinzione che, seppur a rilento, molto a rilento, il percorso intrapreso dal mister avesse una sua coerenza logica subliminale che se ne “fregava” altamente dell’altalenante e deprimente stato delle cose e che, se seguita senza perturbazioni emotive, sarebbe potuta fiorire nei prossimi match. Così non sarà.

I risultati, i fatti, non ci hanno dato scampo. Il calendario non ci ha dato scampo. Eppure, proprio contro la Juve Stabia, in spogliatoio prima della partita, avevo il vago ma percettibile sentore che qualcosa, in profondità, era stato smosso. Non sarebbe bastato ancora, quello no. Ci sarebbe voluto ancora del tempo. Ma. Sentire i toni di voce dei ragazzi diversi, più vivi, osservare l’energia che emanavano i loro occhi, i cinque battuti con vigore diverso dalle uscite precedenti, mi avevano fatto capire che, al di là del risultato finale, qualcosa, da qualche parte,forse, era stato toccato. E già questo, di per sé, era diventato un obiettivo raggiunto da parte del Mister.

Il campo poi aveva constatato che “avevano capito” e che la progressione tattica proposta rientrava nei tempi fisiologici previsti. Ma ora bisogna attenersi alla realtà degli eventi. Juve Stabia – Sudtirol 2-1. Fine. Nelle viscere neurali, sento un elettrico sconforto e credo che, dopotutto, sia anche normale. Si propaga limitatamente, ai bordi della cassa toracica. Lo sento. È immediato, percepibile e sembra disgregare una parte infinitesimale di quello che sono. In realtà non la disgrega. La sintetizza, la riduce.

Mentre il presente, silenziosamente, contrasta quella ramificazione elettrochimica innescata da un segnale esterno, da quell’informazione vibrazionale intercettata dai miei timpani ed elaborata dal sistema nervoso in toto.

Una risposta neuromodulatoria che si espande ma che trova vita per pochi attimi, il tempo di un lampo o di uno scatto fotografico che immortala il Qualia isolato di un uomo che guida la sua auto sulla Milano-Torino in un piovoso sabato pomeriggio.

Il mister è stato ufficialmente esonerato dalla guida del Sudtirol. Ed io, che ero il suo vice, con lui. Ma questa è solo un' altra chiave.

10.
Juve Stabia - Sudtirol 2-1.

Sudtirol - Cremonese 0-4.

Spezia - Sudtirol 3-0.

Sudtirol - Sassuolo 0-1.

Punti:0.

11.
Quanto ha dato di recupero? 4. Quanto manca? 2 minuti cazzo, più recupero. Valeee, vieni! Crespi-Molina Emi. Dani! Mezzala al posto di Moli! … Dani ti metti davanti con Rafa... Emi al prossimo stop, Casiraghi per Merkaj. Ok! Braaaaaviiiiii!!!!!!! Simo, Kareem! A che minuto siamo? 75esimo. Nick ce l’hai il live del goal. Stai in movimento!!! Non fermi!!!!! Stai in movimento!!! Ci siamo abbassati. Mister. Cosa vuoi fare? Non abbiamo grandi alternative. Siiiiiii Rafaaaa!!!! Braaaaaviiiiiiii! Scivola. Occhio… Lo stiamo facendo bene. Hanno capito, hanno capito, va bene così. Giorgini ha preso le misure. E se allarghiamo Silvio in fase difensiva? Si ci può stare, il problema è che poi mi esce troppo largo su Folino. Ok, ma la posizione inizialmente è centrale. Si ok, ci può stare. Vedi in questo caso potevano scalare terzo quinto. Il problema è che ti apre un buco centrale per Adorante. Meglio attendere e uscire. Mister i casi sono o allarghiamo Merkaj su Floriani oppure Silvio rimane su Buglio finché ce la fa, il problema Nick è che in questo caso Silvio rimarrebbe troppo esterno e poco vicino a Rafa. Ale, stai dentro! Cosa? Stai dentro, stai nella partita. Quant’è passato? 8 minuti. Poluzzi; El Kaouakibi, Kofler, Ceppitelli, Giorgini, Rover; Arrigoni, Molina, Mallamo; Merkaj, Odogwu.

12.
Scendo dal pullman, imbocco il lungo corridoio ed entro in spogliatoio, l’unico luogo in grado di ridarmi ossigeno mentale. Una sorta di li-be-ra-zio-ne.

13.
Non vedo l’ora. Questo sfibrante slow motion. Il televisore piatto, i bordi del tavolo consumati. Una struttura fatiscente da questa camera con vista, decine di metri di calcinacci ammucchiati, impalcature su un magazzino decadente, condomini appiccicati tra di loro, il tetto distrutto ed erbificato dal tempo di un edificio che si regge su forze arrugginite. In lontananza, dietro il paese, il mare e la costa del Golfo di Napoli. Camera con vista anima.

Accozzaglia di umori edificati senza grande criterio, senza regolarità sudtirolese, tedesca, asburgica. Equilibrio serve, equilibrio. Concentrarsi. L’attesa ti costringe a fare i conti con un tempo deflesso. I pensieri sono compressi e vincolati alla partita e alla camera con vista anima, i pensieri sono stritolati da secondi che diventano minuti ripiegati nelle pareti di questa stanza che pesa quintali.

Movimenti, schemi, informazioni. Quintali. Umori. Quintali. Stati d’animo. Quintali. Risultati. Tonnellate. Dire questo e dire quello, il tono della voce, ricordarsi la scalata nel caso del calcio d’angolo a favore. Tonnellate di leggerezza inesistente, tre sconfitte su tre e adesso. L’ultimo appello. I ragazzi hanno lavorato bene, un pelo sopra gli standard delle settimane scorse, chissà se basterà. Quintali stritolati. Il tempo non scorre, trova attriti. Il tempo è stritolato.

Mi sento come il soffitto di una chiesa bombardata. E poi. C’è il veleno.

14.
Nel sogno eravamo su un campo da calcio colmo di pozzanghere. I giocatori erano disposti sul campo e qualcuno aveva la casacca. Era un esercitazione, o forse no. Era una partita. Sono vicino al Mister a metà campo e lo vedo che guarda lontano. Un punto indefinito dove si sta svolgendo l’azione. Lo guardo. Lui come sempre è imperturbabile, o appare imperturbabile, concentrato su ciò che vede e immerso in chissà quali pensieri. Mister! Lo chiamo. Lui si volta e se ne va via.

15.
Sui calci d’angolo tendenzialmente loro la mettono e difficilmente la muovono a 2 o a 3 uomini. Noi difendiamo sempre con la stessa struttura, quindi: Rafa sul palo, Silvio sul corto, prima linea composta da Kofi, Ceppi, Masie, Matte. Seconda linea: Moli, El Ka e Malla. Davanti al castello Tommy. Il loro obiettivo è attaccare la zona del primo palo o, nel caso l’angolo sia ad uscire, cercano il colpitore libero in zona dischetto aiutato da due blocchi sul primo e il secondo della seconda linea. È chiaro? Sulle laterali invece vanno distribuiti. Attenzione nel momento in cui vanno in due a battere: chi non batte si predispone per andare a seguire l’azione. Per il resto, vanno distribuiti sempre con particolare riferimento ai primi uomini del castello o della linea se la palla è più lontana. Ok?

16.
Il veleno sottocutaneo riempie interstizi, intasa cellule sconfitte. Sconfitte? Stress? Percepisco una fumosa ed asfissiante “respingenza” sottopelle, dal catabolismo di per sé soffocante. E nelle pieghe mitocondriali di cellule esauste, fiducia, ma latente. Il risultato è quello che conta. 13 punti in 16 partite. 0 nelle prime 3 gare da quando siamo arrivati.

La “respingenza” è una sensazione strana, è il voler lavorare e non vedere l’ora che arrivi la sera per starmene a casa e staccare. E non riuscire in nessun modo a staccare. Non riuscire a staccare. Mi cucino un piatto di pasta, ascolto i Mazzy Star, guardo il telegiornale. Niente. Niente riesce a deviare l’attenzione dal bisogno di punti, di prestazioni e di ossigeno. E corro. Tra ombre più scure ed ombre più chiare. Corro. Il calpestio dei sassolini e della ghiaia è l’unico suono che ascolto. Oltre al fragore delle foglie secche cadute dagli alberi.

Su. Per la strada in salita. Verso il Col dell’Uomo. Ombre. Nel bosco. Linee vaghe, suoni, le pupille che si dilatano e zoommano sul nero interno dei quadricipiti nella loro contrazione concentrica ed eccentrica. Gastrocnemi e soleii pervasi da una variazione nel rimescolamento ematico. Occhi nascosti mi scrutano, il vociferare sommesso degli alberi che attestano la presenza di un umano nella loro dimora.

C’è un contrasto osseo nell’articolazione delle ginocchia carenti di tessuto cartilagineo e ancora non del tutto lubrificate. I tendini delle caviglie che stridono ad ogni microvariazione del terreno come bestie selvagge alla ricerca di cibo. Con l’assenza di luce intercetto altri stimoli: il respiro affannoso, il rumore del silenzio. Capto fruscii vicini, animali o forse no. Qualche pensiero incastrato nella consapevolezza. E il ritmo della corsa abbastanza lineare. Rami, tronchi, di nuovo incastri e sterpaglia. Inquietudine. Zero a quattro contro la Cremonese in casa, buio pesto.

Guardando verso l’alto il cielo sarebbe nero se non fosse per qualche bagliore lontanissimo. Di nuovo nero. Sono le 6.30 del mattino e ho deciso di andare a correre nella fitta rete di sentieri del Bosco dietro il centro sportivo. Al buio. Mancano due giorni alla partita contro la Juve Stabia. Il “veleno” sottocutaneo che percepisco è ancora presente e so che non basterà questa corsa prima della giornata di lavoro a toglierlo. Ci vorrebbero tre punti e forse sì, a quel punto, il liquido della sconfitta perderebbe il suo effetto. A meno che tu non sia totalmente imperturbabile a qualsiasi tipo di infiltrazione esterna, che sia vittoria, sconfitta, un muso lungo o una risposta fredda.

L’unica via che possa alleggerire il peso della situazione e fungere da palliativo momentaneo in attesa di un elettroshock sportivo è una corsa notturna alle porte dell’alba: una temporanea staticità dove allenarmi ad osservare il buio, ad ingannare l’attesa, a brancolare nella notte come se la notte stessa fosse uno spogliatoio di anime invisibili.

I so(n)(g)ni notturni non sono piacevoli. Tra le sovrapposizioni oniriche, qualche spiraglio soffocato c’è.

Ma ancora è troppo poco.

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