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Daniele Manusia

Diario Italia: vs Croazia

L'ultima partita del girone, per arrivare agli ottavi e capire chi siamo.

Dato che questa potrebbe essere l’ultima puntata del mio diario – spero proprio che non lo sia, ma è una possibilità – lasciatemi essere più sincero del solito. Più diaristico del solito. Forse non potrei fare altrimenti, dato che in questi giorni non riesco a non pensare a questioni, diciamo così, di contesto, che però in modo neanche troppo sottile si collegano alla Nazionale italiana e a questo Europeo. Noi tifiamo l’Italia, la rappresentativa del posto in cui (per la maggior parte) siamo nati e in cui (per la maggior parte) abitiamo. Una squadra composta da italiani. Ma più ci penso più non sono sicuro di cosa sia l’Italia e di cosa siano gli italiani. 

 

L’Italia è quel Paese in cui anni e anni di razzismo sempre più normalizzato e istituzionalizzato, hanno portato, pochi giorni fa, un italiano che più italiano non si potrebbe, un lavoratore, un contadino, ad abbandonare un suo dipendente senza diritti, straniero, mezzo morto, con un braccio strappato da un macchinario, anziché fare il possibile per salvarlo. Perché non era mica una vera persona, anche se aveva una moglie, erano solo schiavi, meno che umani. La nostra presidentessa del consiglio ha commentato dicendo che queste non sono cose da italiani, cioè da italiani veri, istituzionalizzando una nuova sotto-categoria da discriminare, da odiare, gli italiani che non si comportano da italiani. Forse è più da italiani fare accordi con torturatori e assassini, e ostacolare chi soccorre migranti in mare, chissà.

 

Purtroppo, quando tifiamo Italia, tifiamo questo Paese qua, non uno ideale. Tre anni fa, prima dell’Europeo che poi abbiamo vinto, si era tolto vita un ragazzo adottato, Seid Visin, di cui i giornali avevano parlato perché aveva giocato nelle giovanili del Milan con Donnarumma. Nella sua lettera diceva che l’Italia negli ultimi anni era peggiorata, era diventata più razzista. Tre anni dopo, come siamo messi? Quell’Europeo l’Italia avrebbe dovuto giocarlo con il lutto al braccio per Seid Visin; contro la Croazia, stasera, dovremmo giocare con il lutto al braccio per Satnam Singh. 

 

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Mi rendo conto che sono cose pesanti, che rendono difficile pensare al calcio, ma i due piani non sono davvero separabili. In un bel pezzo sul Guardian, Barney Ronay ha scritto di cosa si prova a girare per la Germania venendo da una famiglia che ne è scappata neanche un secolo fa, e partecipare a una festa sportiva che celebra l’Europa in un momento in cui l’estrema destra e i nazionalismi stanno aumentando consensi (e in un momento in cui c’è già una guerra in corso). “Possiamo anche scordarci il passato, non è detto che il passato si sia scordato di noi”. 

 

Adesso, proviamo a parlare di calcio.

 

A proposito di passato che non ti lascia in pace. La Spagna. Rispetto a tre anni fa, in cui riuscimmo a farcela di pura resistenza, soffrendo più che in ogni altra partita, stavolta l’impressione è che abbiamo messo la testa sul ceppo di nostra spontanea volontà, aspettando che scendesse la mannaia. E dato che non scendeva, ce la siamo data sul collo da soli. Non so voi, ma io ho provato un paradossale sollievo quando Calafiori ha deviato nella sua stessa porta quel cross di Niko Williams già toccato da Morata e da Donnarumma.

 

È strano, una sconfitta per 1-0, arrivata oltretutto con un autogol non forzato, eppure si parla ovunque di “figuraccia”, come ha titolato la Gazzetta dello Sport il giorno dopo in seconda pagina (in prima un giudizio generale: “Piccola Italia”). Dove prima era tutto un eh ma i portieri fanno parte della squadra (da usare eventualmente per giustificare le nove parate di Donnarumma, contro le zero di Unai Simon) oggi è tutto un bisogna imparare dagli errori; dove prima era un pullulare di il possesso spagnolo è sterile, il tiki-taka ha rotto le palle, oggi tutti a chiedersi dove sono i nostri Lamine Yamal, i nostri Pedri, o anche eh ma loro hanno tutte le Nazionali che giocano così, noi siamo indietro da un punto di vista di sistema.

 

Per una volta non è il risultato, o il singolo episodio, a determinare l’interpretazione della partita. Almeno questo. Certo, non che abbia letto analisi particolarmente lucide (salvo quella di Fabio Barcellona, e non per fare quello che tira acqua al proprio mulino). 

 

Anzitutto c’è stato il fatalismo di Spalletti: «Si è evidenziato da subito che erano molto più brillanti di noi. Se non hai la gamba dello stesso livello…». Si è concentrato solo sulla componente atletica, come se la rapidità di esecuzione dipendesse solo dalla rapidità e non, anche, dall’allenamento, dalla preparazione (la preparazione della Svizzera contro la Germania, della Danimarca contro l’Inghilterra), da quanto poco si debba pensare prima di giocare. 

 

E si è passato dal goffo tentativo di rassicurare – squadra e opinione pubblica al tempo stesso – del tecnico della Nazionale, al pastone di un suo celebre predecessore, Arrigo Sacchi, che sulla Gazzetta ha tirato in ballo i troppi stranieri in Serie A, la mentalità “individualista” degli italiani che gli impedisce di “ragionare da collettivo” e l’intensità degli spagnoli “fuori dalla nostra portata”. Il titolo del suo intervento è: “Italia, ora impara”, ma cosa deve imparare esattamente è difficile capirlo.

 

L’idea di fondo, comune a tutte le analisi, è che ci fosse troppo divario tra i giocatori italiani e quelli spagnoli. Che in fin dei conti non ci fosse niente da fare, che la Spagna è comunque troppo forte per noi: “I progetti di Spalletti si scontrano con la dura realtà dei fatti”, ha scritto a caldo Alessandro Bocci sul Corriere della Sera. Luigi Garlando, il giorno dopo su Gazzetta, ha lodato i loro “bambini da dribbling, che noi non abbiamo” e sottolineato come Jorginho non potesse contrastare “la regia fisica” di Rodri, o come Morata avesse “ben altro peso e concretezza” rispetto agli “appoggi leziosi di Scamacca”. 

 

La Repubblica ha definito Scamacca un “attaccante pigro”, stesso aggettivo usato dalla Gazzetta dello Sport nelle pagelle, mentre Sacchi non gli ha perdonato un “tacco assurdo”. Il resto di internet se l’è presa con Di Lorenzo, brutalizzato da Niko Williams in una delle serate migliori della sua vita. Spalletti, per difenderlo, lo ha paragonato a un “figlio”, confondendo il piano sentimentale e quello tecnico, dicendo che è difficile sostituire un giocatore con le sue caratteristiche – ma, per come è stata riportata la dichiarazione, la caratteristica principale di Di Lorenzo sembrava quella di essere come un figlio, appunto.

 

Qualcuno si è fatto una risata su un controllo a dieci metri di Cristante o sulla sua ammonizione dopo venti secondi, la più veloce della storia degli Europei per un giocatore entrato dalla panchina. Anche Frattesi, Jorginho, Pellegrini, Dimarco, Cambiaso, sono stati al centro delle critiche. E insomma, alla fine il problema sono i giocatori. Il problema non è calcistico ma culturale, forse addirittura genetico.

 

Anche Sacchi mette nero su bianco questa contraddizione significativa. Scrive che la Spagna era una “squadra organizzata” mentre l’Italia “vagava per il campo”, ma al tempo stesso “Spalletti non ha colpe”. Ai giocatori, quindi, anche la responsabilità di organizzarsi e non vagare per il campo (ma dato che sono cresciuti in una cultura sbagliata e giocano in un campionato sbagliato, non ce la possono fare).

 

Insomma non sembra possibile battere la Spagna senza diventare come la Spagna o, in alternativa, avere la fortuna che nascano in Italia i prossimi Musiala, Wirtz, Bellingham. Ci portiamo dietro sempre quella scissione tra tecnica e tattica che ci impedisce di andare avanti, di rinnovarci e cambiare. Di creare un programma che sviluppi i giocatori e al tempo stesso li informi sui princìpi moderni. Attaccare un foglio A4 con sopra scritti dei comandamenti, a quanto pare, non basta.

 

Guardando questo video ho pensato che, per prima cosa, se fossero stati italiani, gli avrebbero chiesto di tagliarsi i capelli e di smetterla con questi balletti.

 

Certo che il problema è culturale. Abbiamo passato gli ultimi anni a discutere di calcio come fosse religione ma nel frattempo i giocatori devono andare in campo, le partite vanno giocate. Forse si potrebbe anche provare a non fare un processo sommario ogni volta che si perde, ma cercare di capire perché, e come, si è perso.

 

Io continuo a camminare su quella linea che ho tracciato nelle due puntate precedenti di questo diario, chiedendomi: Spalletti ha le idee chiare? Non per dare la colpa a lui, semmai per sottolineare l’importanza delle idee. La partita di calcio (anche) come scontro tra strategie.

 

Cosa voleva fare l’Italia contro la Spagna, ci si chiedeva alla vigilia. Voleva combattere il fuoco con il fuoco, contenderle il possesso, cioè, oppure voleva a usare l’estintore, difendere nella propria metà campo e poi attaccare in verticale? Anche in questo caso non era una scelta esclusiva, si poteva anche provare a fare un po’ di entrambe le cose. Spalletti aveva detto che l’Italia avrebbe fatto «quello che ci chiedete sempre», cioè sarebbe stata più verticale

 

A me sembra che l’Italia abbia provato ad essere solo verticale, e che questo spieghi anche i molti errori tecnici. La Spagna, ad esempio, consolidava ogni posesso nato da palle vaganti o riconquistate con passaggi all’indietro, per evitare la nostra riaggressione. L’Italia appena poteva andava in avanti. 

 

 

Qui sopra un esempio dai primi minuti di partita. Calafiori riceve palla da Donnarumma e ha molte opzioni. Le più conservative sono: tornare da Donnarumma (per fa andare la palla, poi, da Bastoni), appoggiarsi a Barella o andare da Dimarco, giusto per smuovere le posizioni spagnoli. Calafiori va da Barella.

 

Barella, anziché controllare o giocarla all’indietro di prima, si gira su stesso. A quel punto stringono su di lui Lamine Yamal e Pedri, mentre Barella portando palla va incontro a Rodri. Come si vede dalla seconda immagine la Spagna è molto stretta e Dimarco è lasciato solo a sinistra, facilmente raggiungibile da Barella, se lo scopo fosse tenere il pallone, far correre gli spagnoli e magari risalire il campo. Invece Barella va dritto su Pellegrini, anticipato da Laporte: e la Spagna può iniziare a giocare direttamente nella nostra metà campo.

 

 

Un altro esempio: Lamine Yamal prova a servire Pedri tra le linee. Pedri, con Barella addosso, sbaglia il controllo (una rarità), esce Calafiori dalla linea difensiva ed entra in possesso del pallone. Calafiori porta palla e avrebbe, anche qui, delle soluzioni conservative, facili: Bastoni all’indietro e Chiesa leggermente a destra (Cucurella non è lontano ma Chiesa avrebbe il tempo di controllare e giocarla all’indietro o su un compagno libero e vicino). 

 

Calafiori va dritto su Scamacca, ma non si capiscono bene e il passaggio è al lato del centravanti. Nel momento stesso in cui un difensore spagnolo recupera palla inizia una breve fase di conservazione: la palla arriva a Rodri, un po’ sporca, e Rodri di prima fa correre all’indietro Carvajal. Guardate anche come Cucurella, in alto a sinistra, stia indicando il passaggio all’indietro al compagno.

 

L’Italia, invece, saltava la fase di conservazione. Anche quando recuperava palla nella propria trequarti difensiva, provava a risalire subito il campo. 

 

Un altro esempio:

 

 

Lamine Yamal va lungolinea, crossa male, Calafiori prima e Pellegrini poi mandano la palla di testa verso Dimarco, che senza metterla a terra la passa a Barella. Non è una giocata pulitissima ma Barella ha abbastanza spazio da potersi girare e giocare con un certo agio. 

 

Anche qui avrebbe soluzioni facili: Bastoni all’indietro (anche se Niko Williams lo pressasse l’Italia in quella zona avrebbe la superiorità con Donnarumma e Di Lorenzo che potrebbero aiutare la circolazione) e Chiesa un po’ più esterno. Barella va dritto su Scamacca, che almeno stavolta prende fallo. Frattesi nel frattempo era sprintato come se, invece dell’interno della nostra metà campo, fossimo stati al limite della loro area di rigore. Davvero pensavamo di andare in porta in questo modo?

 

Sì. 

 

La prova viene dalle azioni in cui l’Italia è riuscita a verticalizzare. Sia quella del tacco di Scamacca – messo dietro la linea della difesa spagnola da un colpo di testa geniale di Pellegrini, a sua volta servito tra le linee da un lancio di sinistro di Di Lorenzo di sinistro – sia quella arrivata a inizio secondo tempo in cui, sempre Scamacca, prova a servire Chiesa nello spazio.

 

 

Qui l’azione comincia prima di tutto con un bel movimento di Pedri alle spalle di Barella, messo a inizio secondo tempo al posto di Jorginho. L’Italia stava difendendo con un blocco basso in una specie di 4-5-1 (Cambiaso è più basso di Chiesa ma fa lo stesso, stava seguendo Cucurella). Pellegrini esce in pressione su Le Normand e quando la palla va a Carvajal, in fascia, tra lui e Barella c’è una voragine. 

 

In quella voragine si muove Pedri, che Barella non guarda neanche e Calafiori non esce dalla linea difensiva, preferendo restare in superiorità su Morata. Per fortuna poco dopo, col tacco, Calafiori riesce a impedire che Pedri entri direttamente in area. La palla arriva a Lamine Yamal, che penetra correndo lungo il limite dell’area. Si allunga la palla e finisce addosso a Cristante, che di prima va in verticale su Scamacca. 

 

Scamacca miracolosamente vince il duello, uno contro due, con Le Normand e Laporte, riuscendo addirittura a girarsi e a prendere velocità nella metà campo spagnola. Sta andando verso l’esterno, però, e non si può certo pretendere che vada dritto per dritto in porta da solo in una situazione del genere. Chiesa si inserisce bene ma il passaggio di Scamacca è leggermente lungo, o forse è il campo ad essere troppo corto e Unai Simon esce al limite dell’area con la tranquillità di quei padri che nelle commedie americane escono in giardino a raccogliere il giornale con le pantofole ai piedi.

 

L’Italia aveva preparato questo tipo di transizioni, con gli inserimenti di Frattesi e (nel secondo tempo) Chiesa. O si è trattato di una soluzione che l’Italia ha trovato a partita in corso come l’uscita di emergenza in un edificio in fiamme? Hanno scelto i giocatori di giocare così, o Spalletti? E se non hai “gamba”, siamo sicuri sia la strategia giusta?

 

Nel secondo tempo Spalletti ha inserito Cambiaso per aiutare “nel palleggio” (lo ha detto Cambiaso stesso, aggiungendo «forse non ci sono riuscito») e Cristante, togliendo Jorginho e Frattesi. E non si capisce perché togliere Jorginho se si vuole provare a migliorare il palleggio, né perché i giocatori scelti per una strategia del genere siano stati Cambiaso e Cristante anziché, ad esempio, Fagioli e Raspadori (che forse poteva entrare prima di quando è effettivamente entrato, cioè all’82esimo). 

 

 

Adesso dobbiamo affrontare la Croazia e la formazione che circola in queste ore è tremenda. Cambiaso e Cristante dall’inizio al posto di Frattesi e Pellegrini, Darmian a sinistra per Dimarco (infortunato) e Retegui per Scamacca (capro espiatorio nazionale, a questo punto). Ma al di là degli uomini, quello che conterà sarà la strategia e a questo punto dubito che l’Italia ne avrà una chiara. I giornali parlano già dei nostri possibili avversari agli ottavi (la Svizzera, che ieri sera ha dimostrato come con l’organizzazione si può affrontare un avversario superiore) ma noi dobbiamo ancora capire chi siamo veramente.

 

Il reality check con la Spagna ci ha lasciato più confusi di prima. La Nazionale di Spalletti sembra essersi incartata in una serie di compromessi, senza provare ad essere fino in fondo né una squadra di possesso, e aggressiva senza palla, né una squadra di transizioni. 

 

Staremo a vedere, la Croazia è una squadra modesta offensivamente ma con un’identità molto definita. Loro sono innamorati della palla. Noi non abbiamo ancora capito quanto le vogliamo bene. Che partita faremo? Da 30% di possesso e azioni pazze in verticale alla Mad Max o magari proveremo a farli correre e abbassare nella loro area di rigore? Francamente, non ne ho idea. Spalletti mi ha perso, ma magari è un problema mio. 

 

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Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).