Miei momenti preferiti di Italia-Belgio:
- Donnarumma che para con la sua mano destra gigante - che sembra una di quelle mani finte di spugna che si mettono i tifosi goliardici negli stadi americani - il primo tiro della partita a Kevin De Bruyne (21.34), partito in transizione dalla sua metà campo e arrivato palla al piede (con uno strappo ai legamenti della caviglia, racconterà dopo) fino al limite dell’area. Calciare dal limite dell’area per Kevin De Bruyne, di destro come di sinistro, è facile quanto infilare una moneta in un distributore automatico, aprire lo sportello, prendere la bibita selezionata, svitare il tappo, o tirare la linguetta metallica, e poi scolarsela in un sorso solo. E non sono neanche sicuro che Donnarumma abbia solo respinto quel tiro, come razionalmente mi dico che deve aver fatto, o se piuttosto, così come lo vedo nei miei ricordi, abbia bloccato la palla nella mano e poi, rialzandosi – un Donnarumma molto più grande della porta, che sputa fuoco come Godzilla tra i palazzi di Tokyo – l’abbia fatta scoppiare schiacciandola nel palmo, come una noce. In ogni caso, la faccia di Kevin De Bruyne comunicava lo stesso tipo di stupore e difficoltà a capire cosa stesse succedendo.
- Marco Verratti che prima lancia Immobile in area di rigore da poco dopo la metà campo e poi, pochi secondi dopo (30.20) è al limite dell’area per riconquistare il pallone nel frattempo finito tra i piedi del Belgio - pallone che invece finisce tra quelli di Barella che segna l’1-0. Se Verratti gioca, pur non in condizioni ottimali, è proprio per quello che aggiunge in riaggressione, per questo tipo di letture. A proposito, la cosa che preferisco nel gol di Barella non è tanto la conclusione secca e precisa, quanto la protezione del pallone all’inizio, quel piccolo rallentamento subito dopo aver controllato il passaggio di Verratti, quando mette la gamba destra e tutto il corpo contro Thorgan Hazard, prima di spostare la palla in avanti con il sinistro e ricavarsi lo spazio per il tiro.
- Ovviamente quando Leonardo Spinazzola mura con l’anca (60.34) un tiro di Lukaku da dentro l’area piccola (sempre per colpa di De Bruyne che ha tagliato in area e infilato, con la facilità con cui si infila una moneta in un distributore automatico, eccetera eccetera, una palla tra difesa e portiere). Momento che contrasta fortemente con quello del suo infortunio. Michael Cox su The Athleticha scritto che «la bellezza dell’attacco italiano sta nella sua coesione, nelle interconnessioni, nella comprensione reciproca. Senza un pezzo chiave, anche il resto soffrirà». Ma, appunto, Spinazzola non era solo un’arma offensiva, è stato sorprendentemente puntale ed efficace anche in fase difensiva, coprendo in transizione e rimanendo ultimo uomo sui piazzati.
E sapete qual è stata la miglior giocata della partita di Spinazzola secondo me? Questo intervento qui (sempre su quel demonio da teatro Kabuki di De Bruyne):
- Quando Jorginho a inizio secondo tempo (48.00) riceve una palla lenta di Insigne, a cui era arrivata dal calcio d’angolo, e con tutta l’Italia nell’area di rigore e Thorgan Hazard che lo carica a testa bassa per rubargliela, ha il sangue freddo di spostargli la palla da sotto il naso con la suola, con un gesto da torero. Jorginho è, per ora, tra i due o tre migliori giocatori dell’Europeo, contro il Belgio ha sbagliato un solo passaggio (su 72).
- Nicolò Barella che all’ora di gioco – poco dopo l’occasione di Lukaku finita sull’anca di Leonardo Spinazzola – Nicolò Barella, dicevo, che in rapida sequenza ha risposto al centrocampista belga con una palla curva dalla fascia destra per Immobile (61.25) giusto alle spalle della difesa, che Immobile non ha controllato; con (62.52) un filtrante per Chiesa dal limite dell’area che crossa teso per Spinazzola, che però a sua volta non ci è arrivato in tempo; e, infine (63.17), con un tunnel di esterno proprio a De Bruyne. Due minuti in cui Barella sembrava voler far vedere al resto d’Europa quanto cazzo è forte.
Non si vede benissimo, ma la palla può passare sotto la gamba tesa di De Bruyne.
- Lorenzo Insigne che con il suo secondo tiro a giro della partita, il penultimo perché poi ne proverà un altro a venti minuti dalla fine, batte uno dei più forti portieri al mondo, Thibaut Courtois, che se aveva visto anche solo una partita di Lorenzo Insigne prima di quella sera, tipo una qualsiasi delle sue partite precedenti di questo Europeo, sapeva benissimo che Lorenzo Insigne avrebbe tirato a giro, e aveva tutto il tempo per prepararsi e parare, ma non ci è arrivato lo stesso. Perché alcuni tiri a giro di Lorenzo Insigne finiscono in tribuna come frisbee, altri cadono ai piedi dei portieri come frutta marcia da un ramo invisibile sopra la porta, ma quando Lorenzo Insigne azzecca il tiro a giro è semplicemente imparabile. (Per cui: provaci ancora Lorenzo, non ti fermare).
- Roberto Mancini che a dieci minuti dalla fine della partita gridava alla squadra di salire e pressare il Belgio nella propria metà campo.
Ecco, però, approfondiamo questo punto. Perché insomma, voglio dire, rivoluzionario, no? L’Italia che invece di chiudersi a riccio si alza, che sceglie di rischiare essendo aggressiva invece di rischiare essendo prudente (tanto si rischia lo stesso). È questa la ragione per cui tutti, o quasi, sostengono questa squadra nonostante le polemiche extra-calcistiche e i dibattiti di circostanza sull’importanza delle grandi individualità (anche perché sia chiaro: Donnarumma, Barella, Jorginho, Verratti, Chiellini, Bonucci, e mi fermo per non fare nomi troppo soggettivi – tipo Immobile o Locatelli – sono tutti calciatori pazzeschi, campioni da ogni punto di vista, anche se nessuno di loro è Messi, o Ronaldo, o Ibrahimovic). Alla fine, abbiamo scoperto, una nazionale giovane, bella, coesa e coraggiosa, piace più di una nazionale piena di campioni ma con poche idee su come si gioca insieme. A questo punto però devo confessare che quando è finita la partita con il Belgio ho sentito una strana sensazione, come se tutta quella sofferenza finale non fosse davvero necessaria.
Rivedendo la partita, poi, a mente fredda, mi sono accorto che in realtà non avevamo neanche sofferto come mi era sembrato. L’ultimo tiro il Belgio lo fa all’83esimo – quello di Doku che aveva surfato da sinistra al centro dribblando tutto il dribblabile e calciando poi alto di collo – e quando ci siamo abbassati abbiamo controllato bene spazi e avversari. Anche giudicando complessivamente la partita non si può che essere positivi: l’Italia ha segnato due gol a una squadra che ne aveva subito solo uno nelle quattro partite precedenti, e che aveva difeso con agio contro il Portogallo. Ha concesso poco e le sue occasioni migliori se le è costruite grazie al proprio sistema: il recupero alto di Verratti nel primo gol, la palla che dal limite dell’area belga torna fino a Donnarumma per poi arrivare a Insigne nel secondo: tornare indietro per creare spazio davanti.
Quelle del Belgio, invece, sono occasioni nate su nostri piccoli errori (oppure sulla tecnica e la velocità di Doku nel dribbling, che a volte sembrava volare a pochi centimetri dalla superficie del campo): quella mezza sbavatura di Verratti che intercettando una palla nella metà campo belga lancia De Bruyne; un paio di palle perse da Immobile su cui sono ripartiti bene; Di Lorenzo che in transizione sbaglia un passaggio verso il centro per Barella e lascia Doku da solo alle sue spalle; ancora Verratti troppo lento a seguire Mertens tra le linee che poi allarga su Chadli che crossa per Lukaku che, per qualche ragione misteriosa, non arriva di testa sulla palla come se – la palla, e la sua testa – fossero poli opposti.
In fondo quello che più contava, contro il Belgio, era vincere, d’accordo. Perché prima di pensare a come abbiamo vinto è bene ricordarci che Coverciano, fino a venerdì, era infestato da un fantasma che sussurrava all’orecchio di Mancini, del suo staff e dei suoi giocatori: Tutto bello, ma non avete ancora vinto contro una grande squadra. Nonostante queste considerazioni, non riesco a non pensare che sarebbe stato meglio, già che c’eravamo, già che stavamo rinunciando a tutta quella tradizione italiana del “prima viene la difesa”, rinunciare anche a quella furbizia da quattro soldi che l’accompagnava, alle simulazioni (Immobile è stato sfortunato a finire protagonista di quel momento grottesco e indifendibile, per di più durante la sua peggiore partita in stagione, ma non è il solo italiano in questo Europeo ad accentuare ogni possibile contatto), alle perdite di tempo?
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Oh Yes
Mancini stesso, inserendo Toloi e passando alla difesa a 5, non ha contraddetto sul piano psicologico, e ostacolato su quello tattico, la possibilità che l’Italia restasse davvero alta sul campo e chiudesse palleggiando in faccia al Belgio come sarebbe stato giusto? È vero che abbiamo corso pochi rischi reali, ma abbiamo alzato al massimo la tensione psicologica. E alla fine di una partita in cui l’Italia ha controllato il ritmo e la palla, che senso aveva allungare quei minuti di recupero fino a farli diventare un eroico sforzo di resistenza? Sul lungo periodo non mette forse in discussione la maturità di quel gioco stesso, il carattere di quella stessa squadra?
Sapevamo che l’Italia era una squadra tecnicamente imprecisa, così come sapevamo che Immobile non è a proprio agio spalle alla porta in spazi stretti e preferisce giocare su un campo lungo fronte alla porta. Soffrire per ragioni di questo tipo ci sta, fa parte del gioco e non sarebbe neanche giusto esaltare questa squadra fino a toglierle ogni limite. Cosa è successo, però, in quei minuti finali?
Magari mi sbaglio. In effetti vittorie come questa consolidano l’unione del gruppo e creano i presupposti per, poi, giocare più tranquilli. Ma cosa succederà quando – perché prima o poi capiterà – incontreremo una squadra che ci metterà sotto sul piano tecnico (la Spagna potrebbe farlo) o fisico (l’Inghilterra, ad esempio, potrebbe)? Torneremmo ad abbassarci in area di rigore, spazzando a metà campo oppure attaccando su settanta metri di campo? Aspetteremmo centoventi minuti rotolando a ogni contatto, facendo entrare i medici in campo per controllare la pressione sanguigna nei momenti di maggiore tensione? Quello che sto cercando di dire è che, penso, questa Italia non ha bisogno di mezzucci. Il Belgio le era stato inferiore per ottanta minuti, era rientrato in partita per un rigore leggero (perché, attenzione, anche gli altri non giocano proprio pulitissimo) e non avrebbe meritato tutta quell’ansia finale.
Arriviamo così alla semifinale con la Spagna, con l’entusiasmo di chi ha battuto tutto sommato facilmente una pretendente al titolo, e la paura che il sogno possa interrompersi bruscamente. Io però continuo a pensare a quello che dicevamo qualche settimana fa: un Europeo si costruisce partita dopo partita, crescendo e trovando soluzione e risposte ai diversi contesti. La Spagna dai ritmi bassi, dal possesso prolungato, offensiva e variegata – ma anche con terribili momenti di smarrimento all’interno della partita e qualche difficoltà a finalizzare tutto ciò che costruisce – ci offre un contesto di gara del tutto nuovo. L’Italia di Mancini non ha mai giocato con una squadra così, finora. Ma nessuna squadra in questo Europeo sa giocare tante partite diverse, e tante partite all’interno della partita, come l’Italia di Mancini. Sarà dura, ma potrebbe essere il salto di mentalità definitivo, prima di giocarsi tutto quello che resta in una finale che, un mese fa, ci sembrava anche solo impossibile immaginare.