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Diario Italia: vs Turchia
11 giu 2021
La Nazionale di Mancini è chiamata a unire il Paese.
(articolo)
9 min
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A Roma sono giorni che la giornata comincia col solito cielo azzurro. Esci la mattina in maniche corte, e se incontri qualcuno devi stare attento a non fermarti troppo a lungo a chiacchierare sul marciapiede in pieno sole, col rischio che l’asfalto di bassa qualità si squagli «come sabbie mobili» oppure «come magma», come scrivono i siti di news locali, con quella visionaria capacità di esagerare anche le cose più assurde tipica dei romani. Dopo pranzo però, verso le tre del pomeriggio, al massimo le quattro, gli angoli del cielo a disposizione del tuo sguardo iniziano a scurirsi, e in lontananza si sente tuonare. In breve tempo arrivano nuvole nere compatte come lastre di lavagna, che spingono altre nuvole grigie e piene di sbuffi barocchi.

Prima di una tempesta a Roma il cielo è così espressivo che sembra avere un carattere, una personalità vera e propria. È un cielo così carico, così enfatico che se potesse parlare dell’Europeo che sta per iniziare probabilmente direbbe che «Mancini ha costruito una squadra e qualcosa di più, ha costruito un’invenzione, una speranza, quella sensazione di vaga immortalità che fa capire di essere unici». In realtà queste sono le parole di un grande giornalista italiano, su uno dei principali quotidiani nazionali, ma insomma questo è il clima che precede la partita tra Italia e Turchia che, appunto, si giocherà stasera a Roma.

Chissà se come tutte le sere di questa settimana a Roma pioverà. E quando piove a Roma in primavera parliamo di «bombe d’acqua», di strade allagate nel giro di un’ora, con l’acqua che arriva al ginocchio di persone rimaste intrappolate in sella al loro motorino, che solleva le auto parcheggiate e le fa galleggiare come barchette. Non vediamo l’Italia in una competizione importante da cinque anni, qualcuno li ha contati e pare siano poco più di 1800 giorni. In più veniamo da un anno molto difficile, per alcuni il più difficile che abbiano vissuto in vita loro, e sappiamo di avere ancora davanti un periodo sicuramente non facile. La nazionale unirà un paese diviso, sempre in conflitto con se stesso prima di tutto ciò che viene dall’esterno? Insomma volendo fare retorica ci sarebbe abbastanza acqua con cui caricare la partita di stasera da rischiare di affogare.

Forse per questo Roberto Mancini ha scritto, in una lettera, che servirà un esercizio di equilibrismo. Dovrà, la Nazionale che effettivamente scenderà in campo, rappresentare «uno dei Paesi più forti e belli al mondo», ma anche mantenere «la spensieratezza di quando si è ragazzini e si comincia a giocare a calcio». Da quando Mancini ha preso in mano l’Italia, poco dopo i playoff mondiali persi con la Svezia, tre anni fa, ha trasformato «la delusione in entusiasmo e voglia di far bene», per usare le parole di Giorgio Chiellini. Da allora l’Italia ha vinto il 70% delle partite giocate, viene da una striscia di 27 risultati positivi, ha subito un solo gol nelle ultime dieci partite, non ne ha subito neanche uno, vincendo, nelle ultime otto (cosa mai successa prima nella storia della Nazionale). E sono risultati che ha ottenuto dando un’identità tattica nuova alla squadra, facendo giocare alla squadra un calcio propositivo, di possesso. Per questo qualcuno ha parlato di «rivoluzione».

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Un post condiviso da Roberto Mancini (@mrmancini10)

Quando ho intervistato Mancini nella sua casa al centro di Roma, un paio di anni fa, mi aveva detto che la mentalità machiavellica secondo cui il fine giustifica il mezzo e il risultato finale è più importante del modo con cui ci si arriva era ancora la mentalità italiana. «Ci abbiamo vinto per decenni, con questa mentalità», ha detto. «Però oggi il calcio è cambiato. Se non riesci a impostare una squadra che giochi anche bene, non puoi vincere con continuità». L’equilibrismo di Mancini, o se preferite il suo pragmatismo, sta anche in questo. La sua Italia è presa anche tra le diverse tensioni che animano il discorso tattico (si fa per dire) portato avanti da media e semplici commentatori in questi anni. Certo è un’Italia carina, che gioca di squadra, ma nel calcio servono i campioni, è pronto a dire qualcuno. Bello il modulo fluido con un terzino che si alza e l’altro che stringe dentro al campo, bella l’occupazione dei canali verticali, bella l’ampiezza e il giro palla, ma a cosa ci hanno portato? E quel qualcuno è pronto a dirlo già stasera, se l’Italia non dovesse vincere con la Turchia, che ci lascerà volentieri il controllo del pallone, ci inviterà a sederci nella loro metà campo per poi attaccarci velocemente, direttamente.

D’altra parte l’Italia non potrebbe essere molto diversa. Che non ci siano individualità in grado di vincere da sole un Europeo è un problema con cui gli stessi cultori del risultato a tutti i costi dovrebbero confrontarsi. Dopo aver ricordato che il calcio «è uno sport di sinergie e di collaborazione», Arrigo Sacchi ha detto alla Gazzetta dello Sport che comunque sono altre le nazionali favorite di questo Europeo. «Non chiediamole», a quella italiana, «più di quello che può». Che fare quindi, in cosa sperare esattamente? Quanto è giusto essere realisti prima dell’inizio di un torneo del genere? Mi volete dire che i tifosi finlandesi, o quelli turchi se è per questo, in queste ore non stanno sperando che grazie a qualche strana combinazione di eventi la loro nazionale riesca a vincere l’Europeo?

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Un post condiviso da Jorginho Frello (@jorginhofrello)

Non c’entra niente, ma il fatto che Jorginho si sia sentito accolto bene e al tempo stesso sia consapevole che abbiamo bisogno di lui mi sembra una cosa non così scontata da parte di un calciatore.

Arriviamo alla partita di esordio di questo torneo con la sensazione che sia la prima vera partita dell’Italia di Mancini. E con la consapevolezza che questa è soprattutto la sua Nazionale – e lo sarà per i prossimi cinque anni, da contratto, quindi per il prossimo Mondiale, il prossimo Europeo e anche un altro Mondiale. Nel programma RAI Sogno Azzurro, Mancini ha detto che la sua esperienza di calciatore e allenatore in qualche modo contano. Come se il suo carisma, aggiungo io, e quello dei suoi collaboratori, da Vialli a De Rossi, si proiettasse in campo, come se potesse essere indossato dai giocatori che poi effettivamente dovranno giocare. E questa è anche la nostra speranza, che una squadra compatta e preparata, uno spogliatoio sano, come si dice, possa trovare quel qualcosa in più che serve per vincere un Europeo strada facendo, scoprendosi più forte di quello che si pensava alla vigilia.

Al tempo stesso, non dimentichiamocelo, quest’Italia non è esattamente composta da giocatori mediocri. Il centrocampo è uno dei migliori di tutto il torneo: Jorginho ha appena vinto la Champions League e nel Chelsea è importante almeno quanto il suo compagno di reparto Kanté; Verratti, scrivevamo pochi mesi fa, è al livello dei più grandi e l’unico dubbio sul suo possibile impatto riguarda i problemi fisici; Barella poi ha giocato una stagione incredibile con l’Inter, è cresciuto molto e sembra poter crescere ulteriormente. Poche Nazionali davanti hanno un attaccante come Immobile, che meno di un anno fa ha vinto la Scarpa d’Oro, e difensori esperti come Bonucci e Chiellini, con alternative solide come Acerbi e Toloi o un giovane come Bastoni, e dietro uno dei migliori portieri al mondo come Donnarumma. Anche giocatori come Insigne, o Berardi, Chiesa, Belotti, Locatelli sono più che in grado di giocare bene una o più partite di alto livello. E non vedo ragione per cui, in partenza, dovremmo pensare che non lo faranno.

Certo, anche la Turchia ha giocatori interessanti (Yilmaz viene da una stagione pazzesca, Yazici ha fatto tre gol al Milan in Europa League, e ci sono anche Calhanoglu e Tufan). Anche la Turchia, ovviamente, è una squadra organizzata, e non sarà affatto facile rompere il ghiaccio proprio contro di loro. Ma se c’è un modo giusto con cui entrare una competizione di questo tipo è con la certezza del proprio valore. Senza sminuire quanto di buono fatto finora, cioè, e ricordandosi che i primi novanta minuti di un torneo in cui quasi sicuramente ne giocheremo almeno trecentosessanta, non significano niente, che l’identità costruita in questi mesi non svanirà alla prima difficoltà.

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Un post condiviso da ALESSANDRO FLORENZI (@florenzi)

Dico questo anche perché non ho dubbi che l’Italia farà la sua partita ma, sul piano della gestione dell’emotività all’interno delle varie fasi di cui è composta una partita, la mia più grande paura è che l’Italia possa andare in svantaggio, mettendo la Turchia ancora più a suo agio nel giocare una partita di transizioni veloci. Confrontandosi subito con quello che secondo me è il suo limite più grande, ovvero la creatività non altissima dal punto di vista individuale negli ultimi venti metri, a cui ovvia muovendo il pallone e creando spazi. L’Italia non è una vera e propria schiacciasassi, se dominerà le sue avversarie sarà soprattutto riuscendo nella riagressione difensiva, con il pallone tra i piedi è una squadra paziente, ordinata, che deve disordinare le sue avversarie per trovare il modo di farle male.

Nella trequarti avversaria, considerando che probabilmente non giocherà Verratti, ho l’impressione che molte, forse troppe responsabilità ricadranno su Barella, che dovrà riempire l’area quasi agendo da seconda punta. Altrimenti in area rischia di giocarci solo Immobile. Non credo che sia lui a cambiare livello delle proprie prestazioni passando dal celeste della Lazio all’azzurro dell’Italia, mi sembra una conclusione pigra utile solo a non analizzare il cambio di contesto, ma anche se si tratta di un giocatore sempre in grado di trovare angoli e traiettorie, dove correre o dove far passare il pallone, che pochi altri centravanti troverebbero, non è del tutto autosufficiente e in assenza di spazio non può fare miracoli. A questo va aggiunto che sia Berardi che Insigne possono essere efficaci in alcune situazioni e prevedibili in altre, brillanti ed elettrici in determinati quanto meccanici e sciatti in altri. E discorsi simili valgono per Chiesa e Belotti, i primi pezzi di ricambio.

Direi, quindi, che per la prima volta (almeno che io ricordi) arriviamo alla prima partita di un Europeo, ma sarebbe anche potuto essere un Mondiale, con la consapevolezza delle nostre possibilità ma anche dei nostri limiti, senza sopravvalutarci ma senza annunciare una catastrofe imminente. Senza polemiche e senza un allenatore che sembra messo sull’altare giusto per essere sacrificato al dio del calcio italiano. Per la prima volta le aspettative corrispondono a una sincera curiosità di vedere come andranno le cose. Questa Italia simpatica e gentile, umile ma non mediocre, reggerà l’urto delle squadre di primo livello? Reggerà l’emozione dell’esordio? Scardinerà la difesa turca (che ha subito solo 3 gol nelle 10 partite di qualificazione, battendo la Francia in Francia)? Ha talento sufficiente da reagire alle avversità?

E se lo scopo di ogni diario è quello di interrompere il filo del discorso per riprenderlo poi, quando qualcosa è cambiato, stavolta nessuno dei milioni di Commissari Tecnici italiani di quartiere può essere sicuro in anticipo di quello che succederà una volta che l’Italia sarà entrata in campo e l’arbitro avrà fischiato l’inizio della prima partita.

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