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Daniele Manusia

Diario Italia: vs Svizzera

Contro la Svizzera con le idee poco chiare.

Caro diario, partiamo da un dato che sta girando in questi giorni. Dopo le tre partite del girone, solo la Scozia ha dribblato meno dell’Italia. Cosa è successo esattamente? Siamo rigidi, tesi, nervosi, giochiamo in modo prudente? Oppure siamo davvero solo scarsi, il frutto di decenni di programmazione sbagliata, di bambini che non giocano più per strada eccetera eccetera? O magari sono i rimproveri che si fanno a quei bambini che giocano (ma anche ai calciatori di venti o più anni in Serie A) ma che osano troppo, e quindi per forza di cose ogni tanto sbagliano? Sarà mica il risultato di questa nostra ideologia secondo cui bisogna sbagliare il meno possibile, che ci immobilizza, ci castra, che non ci rende liberi? 

 

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Contro la Croazia ce ne sono riusciti solo 5, di dribbling, di cui uno lo ha fatto Mattia Zaccagni che è entrato in campo a dieci dalla fine e poi ha fatto quel gol incredibile con cui abbiamo pareggiato. C’è voluta un’azione pazzesca, da sogno, per raggiungere il risultato minimo della serata. Spalletti ha detto che l’Italia ha giocato a lungo sotto al proprio livello, come alla fine ha giocato “sopra, al massimo livello”. E il dubbio di quanto valga, o possa valere, questa squadra, continuiamo ad averlo, tutti.

 

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Provate a chiudere gli occhi e immaginare Calafiori che parla dal limite dell’area di rigore, a centrocampo scambia con Frattesi (che se l’allunga col primo controllo, ma poi all’ultimo riesce ad anticipare l’avversario che sta per intervenire) e sale fino al limite dell’area, se l’allunga anche lui fino quasi a sbattere sul muro difensivo e con la coda dell’occhio vede Zaccagni largo a destra, dietro il taglio di Scamacca che porta via l’uomo, e Zaccagni tirando di prima la mette sotto l’incrocio opposto con la naturalezza con cui Steph Curry tira dall’angolo del campo. Aprite gli occhi e chiedetevi: era un sogno o era la realtà?

 

Adesso tutti vogliono Calafiori, l’Arsenal, il Tottenham, e non capiamo se si sono rincoglioniti loro o se, come sempre, siamo troppo severi noi nel giudicare tutti i calciatori che non sono Paolo Maldini, Francesco Totti, Roberto Baggio (ma eravamo severi anche con loro, quando giocavano). Ma insomma il punto non è questo. Quasi nessuno è uscito dalla partita con la Croazia pensando: ah ok, quindi sarebbe questo il livello potenziale di questa squadra

 

Era stato troppo brutto quello che c’era stato prima (senza quel gol, tra l’altro, non saremmo stati ripescati tra le migliori terze) e Spalletti stava rispondendo piccato a una domanda di Paolo Condò che aveva iniziato dicendo che la speranza era che questa partita segnasse la vera data di nascita di questa squadra. Che la lezione fosse stata assorbita, che si giocasse, da lì in avanti, con uno spirito diverso, meno disperato ma altrettanto coraggioso. Perché, appunto, sembra che qualcosa ci blocchi, ci irrigidisca le caviglie, ci appesantisca le gambe.

 

Condò voleva parlare del futuro, di un nuovo possibile carattere di squadra, e invece persino Spalletti non è riuscito a non pensare ai passaggi sbagliati, e forse più nello specifico a tutte quelle occasioni in cui – con la telecamera puntata solo di lui – si è sbracciato per chiedere ai giocatori di fare qualcosa che non facevano. «Pelle, Pelle, Pelle!». Oppure: «Di Lo, Di Lo, Di Loooooooooo».

 

Quello più innervosito da questa nazionale, insomma, sembra proprio Spalletti. 

 

E non ho neanche tirato fuori la storia dei “quattordici anni di pippe” e della talpa, che ce n’è una in ogni squadra in cui è stato. 

 

Sta diventando sempre di più l’Europeo di Spalletti. Cose come i “comandamenti”, le maglie con su scritto “siamo tutti numeri 10” (certo, poi però non dribbla nessuno), le regole sulla Playstation (mentre nel ritiro della Spagna Lamine Yamal era in grado di gestirsi da solo tra i compiti e le partite alla Playstation con Nico Williams, e ha meno di 17 anni), la “Spalletti cam”, le sue interviste paranoiche seguite dalle telefonate a notte fonda. Ma anche quella sua personalissima fatica per tenere tutto sotto controllo, l’impegno che sembra aver preso con se stesso di dire sempre quello che pensa, e di sforzarsi per pensare sempre qualcosa di interessante ed esplicativo. La sua faccia sempre più sofferta, gli occhi che, quando Spalletti si accende nel mezzo di un discorso, spuntano da sotto le rughe della fronte come piedi che escono da una coperta pesante.

 

Tutto questo, ma anche le sue scelte di campo. A me personalmente, sono queste che interessano più del resto.

 

Non è detto che la mano di un allenatore si debba vedere così tanto. Spesso quello che a noi sembra una scelta o una conseguenza delle scelte di un allenatore è semplicemente l’interpretazione del giocatore, o frutto del contesto peculiare della partita, del momento. Specie con le nazionali – gli allenatori, infatti, li chiamiamo selezionatori, perché rispetto ai club l’assemblaggio della rosa è la parte davvero fondamentale. Poi entra in gioco l’alchimia, la capacità di saper mischiare caratteristiche e stili, personalità e atteggiamenti tattici. Tutti gli allenatori, in fondo, sono degli stregoni, ma l’allenatore della nazionale deve essere più stregone degli altri.

 

In questo caso la mano di Spalletti non è mai troppo distante dalla pasta che modella. Mette e toglie ingredienti nella sua pozione, forse non sa neanche bene lui cosa sta cucinando. Sta cambiando moltissimo, di partita in partita e nelle partite, in così tanti modi che, almeno per me, è diventato impossibile capire le sue intenzioni. Non mi riferisco ai moduli, anche se ho perso il conto di quante volte lo abbiamo cambiato contro la Croazia. Semplicemente, ci sono troppe contraddizioni, troppi giocatori che non parlano la stessa lingua calcistica. Troppi giocatori che fanno cose diverse in campo.

 

Dell’azione del gol della Croazia sbalordisce l’organizzata passività con cui l’Italia va in pressione, lasciando sempre la giocata all’avversario (un cambio di campo, un dribbling, un rientro con cross), ma soprattutto la difesa dell’area, il modo in cui da un vantaggio numerico grande si arrivi a un 2 contro 2 con Budimir e Modric: Jorginho guarda l’azione inchiodato al limite dell’area, Di Lorenzo si preoccupa del giocatore sull’esterno e Frattesi di uno ancora più lontano, uscendo in pressione su un passaggio che ha visto solo lui nella sua testa. Dopo, ma solo dopo, viene in caso l’errore individuale di Bastoni che forse avrebbe potuto intercettare il cross.

 

Dopo la partita con la Spagna, Spalletti è sembrato difendere Scamacca dicendo che era rimasto troppo solo, al tempo stesso, pur mettendo in campo un suo ex compagno di squadra, Raspadori, contro la Croazia lo ha direttamente messo in panchina (dove, in effetti, non manca la compagnia). Ha tolto Chiesa (migliore in campo con l’Albania, due partite prima cioè) e Frattesi (uno dei più in forma prima dell’inizio del torneo) dando fiducia a Retegui per tutta la partita e aggiungendo Darmian in un pacchetto di 3 difensori. Poi a fine primo tempo ha rimesso Frattesi per Pellegrini, che forse gli sembrava troppo statico, e dopo il gol di Modric, in tutta urgenza, ha chiamato Chiesa. Alla fine però l’ha risolta Zaccagni, che nelle formazioni che girano in queste ore per gli ottavi di finale con la Svizzera non dovrebbe esserci.

 

Di nuovo dentro Chiesa e Scamacca, fuori, oltre a Retegui e Raspadori, altri due giocatori che secondo l’opinione pubblica stanno giocando male, ovvero Jorginho e Pellegrini, sostituiti da Fagioli e, a sorpresa, El Shaarawy. Fuori anche Dimarco (indisponibile) e Calafiori (il nostro miglior giocatore, squalificato), dentro Mancini e Cristante, con di nuovo Darmian a sinistra di una difesa a quattro, come contro l’Albania nel secondo tempo. Di Cambiaso, in teoria terzino sinistro, messo in campo come esterno alto a destra con la Spagna, a fine primo tempo, per avere palleggio, non si sa più niente.

 

Spalletti ha detto che i moduli non contano e che magari un giocatore è in panchina per l’impatto che può avere, da subentrato, nei momenti decisivi della partita, ma insomma qui ma sembra più che altro che si stia provando i vestiti davanti allo specchio senza riuscire a decidersi. Moduli e undici titolare non saranno tutto, ok, ma un significato ce lo avranno, no? Ecco, qui non si capisce quale sia.

 

Questa la formazione secondo Sky.

 

Dell’Italia sappiamo poche cose. Sappiamo che non pressa veramente i suoi avversari – per il dispiacere di Arrigo Sacchi, secondo cui “si deve aggredire l’avversario, chiunque esso sia”: anche qui mi pare si ragioni un po’ in astratto – che non vuole togliergli palla o restringere gli spazi, piuttosto aspetta che siano loro a sbagliare. Sappiamo che non palleggia molto, che va spesso in verticale ma difficilmente riesce a creare belle combinazioni. Ah, sappiamo anche che gioca meglio quando perde. Le cose più interessanti le abbiamo viste tra lo 0-1 albanese e il nostro 2-1 e poi dopo che la Croazia ci ha messo alle strette. 

 

Non abbiamo un’identità precisa anche perché le scelte di formazione non sono compiute in questo senso, altrimenti Fagioli e Cristante non sarebbero in campo insieme, visto che giocano quasi due sport diversi. Se volessimo provare a palleggiare potremmo provare a mettere in campo, tutti insieme, Bastoni, Jorginho, Barella, Fagioli, Raspadori e Scamacca. Se volessimo giocare in modo più reattivo potremmo isolare Chiesa a destra e Zaccagni a sinistra, con al centro un incursore come Frattesi, magari anche insieme a Pellegrini, un altro che gioca meglio in verticale. Ma Spalletti non vuole fare scelte di questo tipo. 

 


Alla RSI – Radiotelevisione svizzera di lingua italiana – Spalletti ha detto di pensare di più al gioco dell’Italia «perché è con quello lì che io posso accedere al turno successivo, non con quello che farà la Svizzera». Chissà, a me sembra che molte decisioni vengano prese in funzione dei nostri avversari: Cristante su Rodri e, oggi, forse su Xhaka; la difesa a 5 con la Croazia per contenere i loro terzini offensivi (parole di Spalletti prima della partita). Magari anche la scelta di El Shaarawy, dovesse giocare, potrebbe essere per fargli attaccare lo spazio dietro a Schär (non un fulmine, in campo aperto) e quindi ancora una decisione presa pensando prima al gioco della Svizzera che a quello dell’Italia.

 

Poi certo, Spalletti come tutti gli italiani è attentissimo a ogni passaggio, a ogni movimento, dei “nostri” giocatori, ma le condizioni di partenza, finora, non sono state mai vantaggiose per l’Italia. E questo, creare un vantaggio strategico, seppur piccolo, rientra tra i suoi compiti.

 

La speranza è che la nostra confusione renda difficile alla Svizzera prenderci le misure. Yakin ha bloccato la Germania curando le ricezioni tra le linee di Wirtz e Musiala, su cui uscivano forti i giocatori svizzeri più vicino, con la difesa alta per recuperare palla e partire in transizione con la velocità di Ndoye e gli inserimenti di Freuler e Rieder. Però Yakin sapeva esattamente cosa aspettarsi dalla Germania, che gioca sempre nello stesso modo, seppur molto bene. 

 

Ma come giochiamo noi? Boh. Come giocheremo? Proveremo a fare la partita o lasceremo palla alla Svizzera provando anche noi qualche transizione (cosa che non ci viene bene)? Avremo il nostro solito atteggiamento passivo, attendista, come se volessimo vincerle tutte ai rigori grazie a Donnarumma, o proveremo a strappargli qualche pallone, a rendergli la vita difficile. Lo scopriremo più tardi, alle sei del pomeriggio.

 

Caro diario, spero di tornare a scriverti anche prima dei quarti di finale, e spero di essere un po’ più sereno. Mi dispiace se ti sono sembrato inquieto ma, senza identità, non c’è risultato che possa davvero riconciliarci con noi stessi.

 

 

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Daniele Manusia, direttore e cofondatore dell'Ultimo Uomo. È nato a Roma (1981) dove vive e lavora. Ha scritto: "Cantona. Come è diventato leggenda" (Add, 2013) e "Daniele De Rossi o dell'amore reciproco" (66th & 2nd, 2020) e "Zlatan Ibrahimovic, una cosa irripetibile" (66th & 2nd, 2021).