Siamo ormai abituati a considerare il calcio come sovrano tra gli sport, il più importante e il più seguito al mondo. C’è però un ambito nel quale il suo fascino non è mai stato molto forte, e che con il passare del tempo si è persino deperito, se possibile.
In attesa della nascita dei Mondiali (1930), il torneo a cinque cerchi è stato una sorta di Coppa del Mondo ante litteram. All’inizio i giocatori non sono professionisti (il che allontana Inghilterra e Irlanda dall’Olimpiade), finché non compaiono undici sagome celesti a Parigi e Amsterdam tra il ’24 e il ’28. L’Uruguay domina e vince due medaglie d’oro consecutive, prima di aggiudicarsi anche il Mondiale d’apertura in casa.
Per sessant’anni, il torneo olimpico di calcio trova una sua nobiltà, nonostante la coabitazione con il Mondiale. Poi nel 1984 viene permesso alle squadre che non provengono da Europa o Sud America di schierare le loro formazioni più forti, annullando il paradigma del dilettantismo, essenza delle Olimpiadi. Dal ’92 solo le squadre U-23 possono disputare il torneo, con l’aggiunta di un massimo di tre fuori-quota da inserire tra i 18 convocati.
Il torneo calcistico di Rio 2016 segnerà forse il momento più basso dell’amore tra il calcio e i cinque cerchi. Basti citare il caso-Argentina a cavalcare le cronache e le dimissioni del ct Gerardo Martino, dovute anche alla paradossale impossibilità di raccogliere 18 giocatori per le Olimpiadi
Questo perché le Olimpiadi non rientrano nel calendario della FIFA e quindi i club non sono costretti a rilasciare i loro giocatori. Eppure le Olimpiadi hanno regalato tante storie incredibili e il torneo di calcio a cinque cerchi è ancora un palcoscenico interessante per giocatori che ambiscono a mettersi in vetrina.
Ecco una classifica dei giocatori che hanno sfruttato l’Olimpiade per dare una svolta alle loro carriere.
Kensuke Nagai, Giappone a Londra 2012
Siamo al minuto 86 e ha ancora forza per correre addosso al difensore.
L’Olimpiade può anche rappresentare una semplice illusione. O almeno lo è stata per Kensuke Nagai, attaccante del Giappone alle ultime Olimpiadi londinesi.
Il Giappone arriva quarto in quel torneo olimpico, ma Nagai lascia un segno con le sue prestazioni. Cresciuto in Brasile, esordisce in Nazionale senza aver firmato ancora un contratto da professionista.
Plasmato da Piksi Stojkovic a Nagoya, Nagai stupisce a Londra. Nella partita d’apertura contro la Spagna gioca da punta centrale e pressa da solo l’intera difesa dell’U-21 che ha appena schiacciato gli avversari un anno prima all’Europeo di categoria. Nagai causa l’espulsione di Martinez e ogni sua accelerazione è una lama nella difesa avversaria.
Non solo: Nagai segna il gol che qualifica il Giappone ai quarti nella partita successiva e apre il punteggio anche ai quarti contro l’Egitto. Il problema è che nell’azione dell’1-0 Hegazy – transitato alla Fiorentina – gli cade addosso e lo infortuna. Poco importa: una doppia cifra di gol in J. League lo fa notare dallo Standard Liegi, che l’acquista nel gennaio successivo.
In Belgio non vedrà mai il campo: tre presenze in sei mesi e bocciatura senz’appello da parte del tecnico Rednic. Rientra in Giappone proprio a Nagoya, ma ci vogliono altri sei mesi senza gol per tornare quello di prima. Inutile dire che un’altra chance europea per Nagai non si è più presentata.
Ki Sung-Yueng, Corea del Sud a Londra 2012
Quattro anni fa lo chiamavano Vivaldi.
Quel Giappone perde la finale per il bronzo in uno scontro quasi fratricida con la Corea del Sud, che fa una figura ancora migliore in quell’Olimpiade. Per arrivare al terzo posto, i sud-coreani eliminano ai quarti i padroni di casa della Gran Bretagna: una selezione che poteva contare su Bale, Giggs, Sturridge, tanto per intenderci.
Il faro di quella Corea del Sud è anche quella di quella maggiore ai giorni nostri: Ki Sung-yueng. Classe ’89, Ki esplode nel FC Seoul, prima che il Celtic lo porti in Europa. L’allenatore Neil Lennon lo svezza, lo fa abituare al calcio europeo. E lo loda quando serve, descrivendolo come «un giocatore che potrebbe andare ovunque».
Alle Olimpiadi di Londra, la Corea del Sud non è quotatissima, nonostante la squadra non sia niente male. Eppure l’operato di una leggenda come Hong Myung-bo in panchina e le prestazioni di Ki in campo fanno il resto. Non è un caso che sarà lo Swansea City a prelevarlo due settimane dopo la chiusura delle Olimpiadi: l’acquisto più costoso nella storia degli Swans (sei milioni di sterline), prima che Winfred Bony ritocchi il record.
Dopo un prestito al Sunderland ora Ki è una colonna della formazione gallese.
Cristiano Lucarelli, Italia ad Atlanta 1996
La carriera di Cristiano Lucarelli è divisa in due parti: prima e dopo l’estate del 2003. In quell’anno, l’attaccante rifiuta di rimanere al Torino in B e preferisce tornare nella squadra della sua città-natale, Livorno, appena risalita in cadetteria. 111 gol in 192 presenze con i “labronici", capo-cannoniere della Serie A 2004-05.
Prima di quell’estate, Cristiano Lucarelli è stato un discreto bomber, capace di vivere un’esperienza difficile al Valencia e di farsi spaccare le porte della Serie A con il Lecce di Cavasin. La prima parte della sua carriera ha però avuto inizio nell’estate del ’96.
Lucarelli è reduce da un’annata da 15 gol in B con il Cosenza, dove ha sostituito nel cuore dei tifosi calabresi un certo Marco Negri, che invece ha fatto il percorso inverso, finendo a Perugia. Cesare Maldini, ct dell’U-21 e della Nazionale olimpica, decide di chiamarlo per la spedizione ad Atlanta.
Tra i fuori-quota Pagliuca, Branca e Crippa, accanto ai giovani Nesta, Cannavaro e Buffon, c’è anche lui. Quell’Italia esce al girone, giustiziata da Messico e Ghana. Tuttavia Lucarelli ha giocato una gara e mezzo: sommata ai gol in B, è bastata per guadagnarsi un trasferimento.
Il Parma lo acquista poco dopo le Olimpiadi, ma Lucarelli vestirà la maglia gialloblu solo 12 anni più tardi, di ritorno dall’avventura ucraina con lo Shakhtar Donetsk. Il Parma nell’estate del ’96 lo gira subito a Padova per poi venderlo all’Atalanta. Forse non era destino che quel Lucarelli esplodesse: ci voleva una versione più romantica.
Lee Young-pyo, Corea del Sud a Sydney 2000
La storia di questa leggenda del calcio sud-coreano passa dalle Olimpiadi, ma non solo. Ormai ritiratosi tre anni fa, Lee Young-pyo fa parte della spedizione a Sydney. Quella Corea del Sud ha diversi elementi della squadra che due anni più tardi arriverà quarta al Mondiale 2002.
La sfortuna di quella Corea è capitare in un girone competitivo: tre squadre ottengono sei punti, ma passano la Spagna e il Cile per la differenza reti. Alla Corea non bastano due vittorie per staccare un biglietto per i quarti. È un’estate decisiva per Lee, che fa il salto al professionismo: dopo due anni alla Konkuk University, il terzino firma per l’Anyang LG Cheetahs, che oggi conosciamo come FC Seoul.
Grazie a quell’Olimpiade, la carriera di Lee è poi decollata. Il Mondiale del 2002 offre un ulteriore salto, quello verso il calcio europeo: dopo l’avventura da ct della Corea del Sud, Hiddink allena il PSV Eindhoven e acquista il terzino (oltre a Park Ji-sung). Il PSV arriva fino alla semifinale di Champions League prima che Lee accetti l’offerta del Tottenham.
Quello che molti appassionati avranno dimenticato è che Luciano Spalletti aveva scelto Lee Young-pyo come terzino mancino della sua Roma. Nonostante Martin Jol l’avesse definito «il miglior terzino in Olanda», il Tottenham era pronto a lasciarlo partire nell’agosto 2006. L’accordo viene trovato sulla base di due milioni di euro, ma qualcosa fa saltare tutto all’ultimo momento.
Devoto cristiano protestante, a oggi la ragione della rottura all’ultimo minuto dell’affare Lee-Roma è stata trovata nella religione: «Dio non mi vuole a Roma». Il terzino convoca addirittura una conferenza stampa in patria per smentire il tutto, ma tra le storie del calciomercato – così roventi durante l’estate – questa è una motivazione che raramente avevo sentito per rifiutare un trasferimento.
La carriera di Lee Young-pyo è stata comunque prestigiosa (ha giocato a Dortmund e ha 127 presenze con la Corea del Sud), ma rimarranno sempre due punti di svolta: le Olimpiadi di Sydney 2000 e quel rifiuto alla Roma così misterioso.
Flávio Conceição, Brasile ad Atlanta 1996
È proprio vero che il mediano è un ruolo ingrato a livello di fama. Pensiamo a Flávio Conceição: quanti di voi, sentendo solo il nome riescono a ricordare la sua carriera?
Giocatore concreto, Flávio Conceição non ha mai lasciato il segno nell’immaginario dei tifosi. Eppure ha giocato una carriera più che discreta: Palmeiras, Deportivo La Coruña (vincendo la Liga), tre anni al Real dei “Galacticos" (una Champions), Borussia Dortmund, Galatasaray e Panathinaikos. Una carriera conclusa presto, ritirandosi a 31 anni.
A questo CV prestigioso, dobbiamo aggiungere otto tornei disputati con la Nazionale brasiliana nell’arco di appena cinque anni. Flávio Conceição ha giocato due Gold Cup (la coppa nord-centro americana, dove il Brasile è stato spesso invitato), il Torneo di Tolone, due Confederations Cup e altrettante Copa América (entrambe vinte).
Gli è mancata solo la convocazione al Mondiale del ’98. In compenso, fu il primo torneo con il Brasile a farlo scoprire al mondo: l’Olimpiade di Atlanta ’96. Il Brasile si aggiudica il bronzo e lui è il perno del centrocampo, capace di segnare tre gol. La sua doppietta in semifinale non basterà a eliminare la Nigeria, poi vincitrice dell’oro. Pochi giorni più tardi, il Deportivo compra Flávio Conceição per cinque milioni di euro.
Sadio Mané, Senegal a Londra 2012
Il suo recente trasferimento al Liverpool è la conseguenza di due stagioni splendide al Southampton. Tuttavia, nel 2012 Sadio Mané era ben lontano dalla Premier, dal calcio che conta, da Liverpool. E l’Olimpiade di Londra è stata l’occasione per arrivare sin lì.
Fino a 19 anni non aveva nemmeno esordito tra i professionisti. Prima del torneo olimpico, c’è giusto la prima annata al Metz, in Ligue 2 segnata però addirittura dalla retrocessione in terza divisione. Lo stesso vale per la Nazionale: Mané era inserito nell’Académie Génération Foot, l’accademia del calcio senegalese, ma non aveva mai giocato per le rappresentative giovanili. L’U-23 spedita a Londra è la sua prima occasione. E il Senegal sorprende tutti.
Gli onori della cronaca vanno soprattutto a Moussa Konaté – cinque gol e un’esperienza anonima al Genoa – ma tutta la squadra è una rivelazione.
Il Senegal dovrebbe salutare dopo i gironi, inserito nel gruppo A con Gran Bretagna e l’Uruguay di Suarez e Cavani. Invece la squadra allenata da Joseph Koto (in cui ci sono anche Kouyaté, Kara Mbodj, Diamé) pareggia con i padroni di casa e poi batte 2-0 la Celeste. Ai quarti c’è il Messico, poi medaglia d’oro al termine del torneo: El Tri avrà bisogno dei supplementari per sconfiggere 4-2 il Senegal.
Tuttavia, sul mercato c’è chi ha compreso le sue potenzialità: dopo tre partite nella terza divisione francese, Mané saluta il Metz e si trasferisce in Austria, al Red Bull Salisburgo. I suoi due anni successivi gli permetteranno di fare un ulteriore salto di qualità, stavolta in Premier League. Klopp lo ha voluto a Liverpool perché lo seguiva da tempo: «È dalle Olimpiadi di Londra che lo osservavo con attenzione…».
Patrik Andersson, Svezia a Barcellona 1992
Al 95’ di Amburgo-Bayern del 19 maggio 2001, lo Schalke 04 – vittorioso contro l’Unteraching – è campione. Rimane solo un piazzato a dividere Gelsenkirchen dal titolo. E rimarrà così per sempre.
Quando vengono introdotti gli U-23 risulta difficile capire chi sarà un buon acquisto a partire da una competizione di appena venti giorni. Ci sono però giovani che riescono a mostrare da subito delle potenzialità, pure in un torneo così breve. Tra questi c’è Patrik Andersson, il fratello del Daniel che abbiamo visto in A con Bari, Venezia, Chievo e Ancona.
Cresciuto nelle giovanili del Malmö, il centrale viene lanciato da Roy Hogdson, agli ultimi scampoli della sua avventura svedese prima di lasciare al connazionale Houghton. Le sue buone prestazioni con il Malmö l’hanno portato in Nazionale maggiore, giocando anche alcune partite di Euro ’92, dove la Svezia arriva in semifinale.
L’Olimpiade di Barcellona alimenta la reputazione di Andersson: capitano del contingente giunto in Spagna, Bjärred si mette in luce con la Svezia, eliminata solo ai quarti di finale. Quel torneo a cinque cerchi è la porta verso un calcio più nobile: il Blackburn lo preleva nel dicembre ’92, aprendo la nuova era degli stranieri nella neonata Premier League. Tutto questo prima che Andersson vada in Germania.
Lì la sua carriera decolla definitivamente: due volte Guldbollen (il Pallone d’Oro svedese, nel 1995 e nel 2001), Andersson ha giocato con il Borussia Mönchengladbach e il Barcellona prima di tornare al Malmö, dove ha chiuso la carriera. Ma soprattutto è stato per due anni al Bayern, vincendo tutto e decidendo la Bundesliga più folle della storia.
Mauro Rosales, Argentina ad Atene 2004
L’Italia U-21 campione d’Europa giusto un paio di mesi prima, con l’aggiunta di Pirlo e Ferrari. Eppure non basta.
Nelle ultime edizioni del torneo olimpico se l'Argentina è presente è automaticamente la favorita. Poche nazioni riescono a concentrare tanto talento a livello under 23. Spesso il dibattito ruota su quale sia stata la corazzata più forte, se quella che vinse l'oro in Grecia nel 2004 o quella che si è ripetuta quattro anni dopo a Pechino. Tra i medagliati del 2004 c’era Mauro Rosales.
Quell’Argentina ha tritato gli avversari: 17 gol fatti, zero subiti, percorso all’oro netto. Un Dream Team del calcio (e per le regole olimpiche in vigore nel calcio, non sto scherzando). In semifinale l’’Italia viene schiacciata 3-0.
Con il numero 12 sulle spalle, Rosales gioca tutte le gare nel modulo di Bielsa. Ogni tanto esce, ma è un pezzo fondamentale del sistema. Cresciuto nel Newell’s Old Boys, viene acquistato dall’Ajax per cinque milioni di dollari subito dopo le Olimpiadi. È l’Ajax di Ronald Koeman quello di Maxwell, van der Vaart, de Jong, Sneijder, Stekelenburg, Emanuelson. La squadra che da quell’estate deve fare a meno di Zlatan Ibrahimovic, appena passato alla Juve.
L’avventura di Rosales non lascerà questo grande ricordo nella mente dei tifosi di Amsterdam. Ritornato in Argentina, stavolta al River, Rosales ha poi iniziato nel 2010 un giro completo della MLS: Seattle, Chivas USA, Vancouver e ora Dallas, dove a 35 anni prova a regalare qualche ultimo sprazzo. Un peccato che la sua carriera si sia magicamente fermata a quell’estate: con la Nazionale maggiore ha collezionato 10 presenze e un gol. Tutte nel 2004.
Park Chu-young, Corea del Sud a Pechino 2008
Gol a parte, aveva fatto vedere anche altro.
Quando l’Arsenal punta su un giocatore esotico, meglio che non sia asiatico.Se gli esempi di Junichi Inamoto e Ryo Miyaichi possono essere sepolti nel tempo o poco conosciuti, quello di Park Chu-young è forse il più paradigmatico per spiegare questa tendenza.
Passato per il Zico Football Center a Rio de Janeiro, Park è considerato un predestinato. Dopo essere passato nelle fila del FC Seoul, esordisce direttamente in nazionale e poi arriva la consacrazione tramite l’Olimpiade di Pechino. Le sue prestazioni in Cina portano la Corea del Sud a un passo dalla qualificazione ai quarti, ma Park si guadagna comunque un contratto con il Monaco in Ligue 1.
Il suo triennio a Montecarlo è discreto, ma è soprattutto la retrocessione del Monaco in Ligue 2 a spingerlo lontano dalla Francia. Sul finire del calciomercato estivo del 2011, l’Arsenal lo compra. A quanto pare, il Lille era sicuro di prenderlo, finché il giocatore non ha saputo dell’interesse dei Gunners: in quel momento, l’attaccante avrebbe mollato le visite mediche – in pieno svolgimento! – e firmato per l’Arsenal.
Wenger assicura che il suo arrivo «aggiungerà qualità al reparto», ma in realtà Park gioca appena sette gare con l’Arsenal in un anno e mezzo (con un solo gol all’attivo). Neanche i prestiti a Celta e Watford hanno rivitalizzato la sua carriera. Qualcuno ha definito l’acquisto di Park da parte di Wenger la peggior mossa della storia dopo «Colin Farrell che decide di alzare la cornetta di un telefono pubblico a New York in “In Linea con l’Assassino”».
Per chi si fosse dimenticato.
Senza quell’Olimpade di Pechino, probabilmente Park sarebbe rimasto a Seoul, dov’è tornato dopo la fine del contratto con l’Arsenal. Ha ritrovato un po’ della forma pre-Inghilterra, ma siamo lontani dal giocatore ammirato prima di quel torneo olimpico.
Carlos Kameni, Camerun a Syndey 2000
16 anni.
Se nessuno ha dimenticato la Nigeria del ’96 ad Atlanta, molti hanno invece rimosso l’impresa del Camerun a Sydney 2000, quando i “Leoni Indomabili” battono la Spagna nella finale per la medaglia d’oro. Una finale da record per le presenze: 104.098 spettatori assistono ai rigori che incoronano gli africani campioni.
Era un’altra era per il Camerun: la Nazionale maggiore aveva disputato il Mondiale di Francia ’98 e si sarebbe ripresentata a Giappone-Corea 2002. Oltre a Samuel Eto’o, c’erano altri giocatori sulla cresta dell’onda in quel periodo storico (Wome, Geremi, Lauren, ma soprattutto Patrick M’Boma). Alcuni decidono di partecipare al torneo in Australia, nonostante si disputi dal 13 al 30 settembre 2000, quindi a stagione ampiamente iniziata per tutti (solo la Serie A farà eccezione, iniziando il 1° ottobre).
A difendere la porta di quel Camerun non c’è un giocatore esperto, bensì quello che poi verrà riconosciuto come il più giovane vincitore di una medaglia d’oro nel torneo olimpico. Cresce nella Kadji Sports Academy, un vivaio di Douala, lo stesso nel quale è stato cresciuto Samuel Eto’o.
Il ragazzo è un classe ’84 che ha appena 16 anni. e in campo è un mostro. A Idriss Carlos Kameni quell’Olimpiade cambierà la vita.
Il Camerun passa il girone con una vittoria e due pareggi, ma nel percorso verso l’oro le avversarie sono difficili. Ai quarti c’è il Brasile di Ronaldinho e Alex: ci vogliono i supplementari per resistere in nove, mentre la fortuna e un gol di M’Bami al 113’ mandano il Camerun avanti. In semifinale, altro ostacolo che sembra insormontabile: il Cile, che ha fatto bene nei gironi e che si è portato a Sydney Ivan Zamorano. Il 2-1 stavolta è nei regolamentari, ma in rimonta: solo un rigore trasformato da Lauren al minuto 89 apre le porte della finale al Camerun.
Di fronte ai 100mila spettatori dell’Olympic Stadium di Sydney (qualcuno dirà 115mila!), gli africani sfidano un’eccellente Spagna: Marchena, Albelda, Angulo, José Mari, Tamudo, Capdevila, ma soprattutto Puyol e Xavi. Il primo tempo è un incubo per il Camerun, che va sotto 2-0. Fortunatamente, Kameni evita il peggio e tiene in vita i suoi compagni parando un rigore sull’1-0.
La ripresa cambia il canovaccio della gara: la Spagna rimane in dieci per l’espulsione di Gabri, mentre M’Boma guida i compagni alla rimonta provocando un’autorete e servendo Eto’o per il 2-2. Anche José Mari viene espulso per doppio giallo dopo una simulazione al 90’. Eppure il Camerun non riesce a concretizzare il doppio vantaggio numerico e si vede anche annullare un gol regolare sul finire dei supplementari. Ai rigori, il Camerun segna tutto quello che deve segnare e la Spagna ne sbaglia uno: è medaglia d’oro.
Il grande torneo disputato a Sydney permette a Kameni di sbarcare in Europa: il Le Havre lo preleva e lo tiene per quattro anni (viene persino accostato alla Juve), prima che il portiere si trasferisca in Spagna. A Barcellona Kameni ha vinto una Copa del Rey, è arrivato in finale di Coppa UEFA e ha giocato più di 200 partite. Dal 2012 è passato al Malaga, dove ha mantenuto il posto da titolare.
Con il Camerun ci sono state altre soddisfazioni, come la Coppa d’Africa alzata nel 2002, ma l’impressione è che Kameni abbia ottenuto meno di quanto abbia promesso. A 32 anni, non è il primo portiere che ti viene in mente certo tra quelli che si sono distinti nell’ultimo decennio. Anche per lui il torneo olimpico di calcio è stata una bellissima illusione d’estate. Bella da raccontare, ma pur sempre un’illusione.