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Michele Tossani

C’è sempre meno differenza tra l’uomo e la zona

L'evoluzione del calcio contemporaneo sta facendo emergere sistemi sempre più ibridi.

Nel calcio esistono in sostanza tre approcci alla marcatura difensiva: a uomo, a zona, oppure mista. La differenza tra queste tre interpretazioni risiede nel riferimento che chi difende adotta in fase di non possesso: la posizione di un avversario specifico da marcare nel caso delle marcature a uomo; la posizione della palla nel caso delle marcature a zona; e per la mista o l’uomo o la palla, a seconda delle situazioni (di solito si adotta una stretta marcatura a uomo in difesa, soprattutto in area, e a zona dal centrocampo in su).

 

Storicamente questa tripartizione è diventata più netta e visibile in Italia con l’avvento di Arrigo Sacchi. Anche se non è stato il primo allenatore a introdurre il concetto di zona nel calcio italiano di primo livello, nessun allenatore ha avuto nel nostro Paese un impatto paragonabile al suo. Il suo avvento alla guida del Milan, nel 1987, oltre ad aver dato vita a quella che da molti è considerata la squadra più forte dello scorso secolo, ha anche rivoluzionato il calcio italiano in tanti aspetti, sia sul campo che nel lessico. Termini come pressing, intensità, difesa a zona sono diventati di uso comune grazie ad Arrigo da Fusignano, tanto è vero che non è azzardato dire che il calcio italiano si divide fra un prima e un dopo Sacchi.

 

Alla fine degli anni Ottanta le vittorie di quel Milan crearono una vera e propria spaccatura fra addetti ai lavori, giornalisti e tifosi. Da una parte i fautori del nuovo, vale a dire del gioco alla Sacchi e della zona, come per esempio Zdenek Zeman (una volta il tecnico boemo disse: «Da piccolo a Praga mi dissero “prendi quella posizione” e mai “prendi quell’uomo”: da quel giorno non ho più cambiato idea, sarebbe stata la zona il mio modulo di gioco ideale»). Dall’altra i conservatori, legati al tradizionale calcio all’italiana, fatto di difesa bassa con il libero, marcature a uomo e contropiede. I primi ebbero appunto in Sacchi il loro vate; i secondi, di cui fanno parte tra gli altri Carlo Mazzone e Vujadin Boskov, elessero come loro paladino Giovanni Trapattoni, uno dei tecnici più vincenti nella storia del calcio italiano e sostenitore di un approccio tattico “vecchia scuola”. Si fa per dire ovviamente, dato che nessuna idea nel calcio (e non solo) è davvero vecchia o nuova, ma solo reinterpretata all’interno di un contesto diverso.

 

La differenza tra uomo e zona

Oggi non è cambiato molto, ma la divisione è più sfumata, se vogliamo. Da una parte la zona pura (ovvero la difesa di reparto) è spesso rotta da marcature individuali per andare a prendere gli uomini tra le linee; dall’altra la cosiddetta marcatura a uomo si fa la maggior parte delle volte “nella zona”, con un sistema maggiormente orientato al controllo dell’avversario che entra nella zona di competenza del difendente (difesa individuale).

 

Nel primo gruppo (zona pura) rientra ad esempio il modello di gioco praticato dalle squadre di Maurizio Sarri. Per il tecnico toscano il riferimento primario è infatti la palla e la sua posizione. I difensori si orientano quindi in funzione di essa, marcando le traiettorie di passaggio.

 

Del secondo gruppo fanno invece parte quei sistemi difensivi che in Italia fanno capo alla scuola di Gian Piero Gasperini, per i quali il riferimento primario è invece l’avversario. In realtà non mancano gli esempi sia in Italia che fuori, e sia prima che dopo il tecnico piemontese, e tra i più celebri a livello internazionale c’è il caso di Marcelo Bielsa.

 

Quest’ultimo tipo di sistema ha trovato sempre più fortuna con la diffusione del gioco di posizione spagnolo. Molte squadre hanno infatti provato a contrastarlo con sistemi difensivi fortemente orientati sull’uomo e il più delle volte con difese a cinque, in modo da avere un uomo in ognuno di quei cinque corridoi verticali del campo che l’attacco posizionale va a riempire. In pratica, per affrontare sistemi posizionali molti allenatori hanno deciso di difendersi creando situazioni di uno contro uno a tutto campo.

 

D’altra parte il calcio, si sa, vive di cicli, anche per quanto riguarda l’interpretazione delle marcature, e ci sono periodi in cui sono le marcature a uomo sono considerate superate, seguite da periodi in cui sono invece quelle a zona a subire la stessa sorte. In ogni caso la verità sul campo è molto più sfumata e complessa di quanto questa contrapposizione voglia far credere, e oggi – forse persino di più che in epoche passate – c’è sempre più spazio per un approccio misto.

 

Verso un approccio più sfumato

Come fatto notare da Tiziano Polenghi (attuale tecnico della Under 17 dell’Inter) nella tesi scritta per il conseguimento del patentino UEFA Pro, il calcio è infatti sempre più diretto verso un superamento di queste categorie rigide, e quindi verso una sempre maggiore capacità di adattamento al contesto da parte dei difendenti. 

 

Come accade già nel basket, anche nel calcio saranno sempre più valorizzati i giocatori in grado di passare indipendentemente da un approccio a zona ad uno a uomo, non solo da una partita all’altra ma anche all’interno dei novanta minuti di gioco.

 

Prendiamo ad esempio un sistema difensivo orientato sull’uomo. Per battere questo tipo di difesa è fondamentale il movimento – il movimento del pallone, cioè, ma anche il movimento degli uomini (rotazioni, scambi di posizione, sovrapposizioni). In questo modo, la squadra in possesso cerca di manipolare il sistema difensivo avversario, creando degli spazi per muovere palla in avanti e guadagnare così campo. 

 

Un altro strumento contro questo dispositivo difensivo è il dribbling, attraverso cui si può superare la marcatura diretta e creare superiorità numerica. Contro un rigido sistema di marcature a uomo, un dribbling si traduce spesso in molto campo libero davanti a sé o addirittura in uno spazio sufficiente per poter andare alla conclusione.

 

Le differenze a Euro 2024

Anche nel corso di questi ultimi Europei abbiamo visto come questi due approcci diversi al pressing si stiano sempre di più compenetrando. Prendiamo per esempio due squadre che teoricamente dovrebbero stare ai poli opposti dello spettro, cioè l’Austria di Ralf Rangnick e la Slovacchia di Francesco Calzona.

 

L’Austria, dal padre nobile del modello Red Bull, attua infatti una pressione molto alta ed aggressiva, che cerca di stringere sul lato palla, ma tenendo come punto di riferimento l’uomo. Lo si è visto per esempio nella sfida inaugurale contro la Francia.

 

 

Di contro la Slovacchia di Francesco Calzona, allievo di Sarri e fautore di una zona più rigida, aggredisce in avanti tenendo come punto di riferimento primario a palla. L’immagine che segue, tratta dalla sfida contro il Belgio, è significativa: gli uomini di Calzona si muovono come un blocco unico, con l’obiettivo di coprire la palla e chiudere le linee di passaggio. Il riferimento non è più quindi l’uomo (nemmeno uno come Kevin De Bruyne), cercando di ostacolarne la ricezione, ma la linea di passaggio che si cerca di oscurare.

 

 

Adattarsi e finire per assomigliarsi

Come sempre nel calcio, i sistemi iniziano a compenetrarsi nel momento in cui cercano di adattarsi uno all’altro. Ma cosa significa adattarsi? Be’, per esempio una squadra che adotta un sistema di marcature a uomo a tutto campo può effettuare una serie di scalate e scivolamenti che lascino libero l’avversario più lontano dalla palla. Oppure passare dalla difesa individuale a quella di reparto, e cercare quindi di tamponare controllando lo spazio e non più l’uomo.

 

Vediamo un esempio. Nella circostanza del gol segnato da Cambiaso durante la sfida fra Juventus e Atalanta dello scorso marzo, l’esterno bianconero riceve un assist dal compagno di squadra McKennie. Con il marcatore diretto che abbandona Cambiaso per aiutare Ederson, saltato dall’americano, la strada verso Carnesecchi è spianata per il numero 27 della Juventus. 

 

 

Sul lato più lontano del campo c’è infatti una inutile situazione di due contro uno con il giocatore dell’Atalanta che, invece di restare sul suo uomo, avrebbe dovuto accorciare verso la zona della palla, agendo quindi come un difensore di una difesa di reparto.

 

Lo stesso discorso si può fare anche con la difesa di reparto. Anche applicando una marcatura a zona pura, infatti, è possibile inserire marcature individuali all’interno della stessa linea difensiva. Ricordate i gol che segnava spesso il Napoli di Sarri, con Insigne che serviva Callejon a destra, alle spalle del terzino sinistro avversario? Proprio l’attacco sul lato opposto rappresenta uno dei punti deboli della difesa di reparto (non a caso Spalletti lo chiama “lato cieco”, perché il difensore non può controllare il pallone e il diretto marcatore contemporaneamente).

 

In quelle circostanze una ipotetica difesa a quattro di reparto avrebbe potuto adattarsi mantenendo tre giocatori a zona e uno in marcatura più o meno ravvicinata su Callejon. Ovviamente facile a dirsi e difficile a farsi, ma è qui che entra in gioco l’intelligenza individuale del singolo giocatore.

 

Vediamo altri due esempi, tratti dalla Sampdoria di Marco Giampaolo, altro allenatore noto per attuare una rigida difesa a zona. Nella prima occasione il reparto difensivo blucerchiato può essere facilmente attaccato da Cuadrado sul lato debole. 

 

 

In questa circostanza Regini avrebbe potuto spezzare la linea per assumere una posizione più aperta, in modo da poter contrastare meglio l’esterno colombiano allora in forza alla Juventus.

 

Prendiamo altri due esempi più recenti, provenienti dalla partita di ritorno di Europa League fra Atalanta e Liverpool. Nel primo caso una palla lunga dei “Reds” cerca di colpire alle spalle la difesa uomo contro uomo dei bergamaschi. Una difesa senza copertura, quindi, nella quale la palla in verticale nello spazio tra difesa e portiere viene solitamente coperta dall’uscita del portiere. 

 

 

In questa situazione, con un uno contro uno esterno sul lato destro dell’area di rigore atalantina, Martin de Roon decide di proseguire la sua corsa verso la propria porta allentando la precedente marcatura sul diretto avversario per andare a dare copertura difensiva al compagno di squadra. 

 

Stessa situazione che si verifica nelle due immagini qui sotto. Stavolta ad essere protagonista è Djimsiti. Il difensore albanese, in precedenza uscito forte sul suo avversario di zona, decide di allentare la marcatura per avvicinarsi e aiutare Zappacosta, affrontato da Gakpo palla al piede.

 

 

Cosa ci dicono questi casi? Che contro squadre contro cui la pressione forte può risultare decisiva è indispensabile attuare questo tipo di accorgimenti: non è un caso che la strategia dell’Atalanta sia stata così efficace contro il Liverpool.

 

Contro squadre che creano pericolo col movimento e l’attacco costante allo spazio in avanti è invece più conveniente difendersi con un assetto a zona, magari con qualche aggiustamento pensato caso per caso (come fatto per esempio dal Manchester City contro il Real Madrid nell’ultima Champions League).

 

 

Un esempio di difesa mista può essere quello di una difesa a quattro che si trova a dover affrontare tre attaccanti avversari, due dei quali giocano in ampiezza e che sono particolarmente abili nell’attacco allo spazio. Ha senso, contro questa disposizione offensiva, mantenere una linea a quattro di reparto, stretta centralmente? Non è forse più utile difendere di reparto con i due difensori centrali e individuale con i terzini? 

 

Inevitabilmente tanto la difesa individuale quanto quella di reparto hanno i loro punti deboli, e gli avversari li conoscono e cercano di sfruttarli. Proprio per questa ragione, avere giocatori intelligenti tatticamente, in grado di passare da un sistema all’altro nel corso della stessa partita può rendere più complicato l’attacco della linea difensiva all’avversario. Se il calcio, come sembra, andrà verso una compenetrazione sempre più profonda tra calcio posizionale e calcio relazionale, anche le marcature dovranno adattarsi di conseguenza.

 

 

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Michele Tossani, classe 1978. Giornalista, match analyst e insegnante di storia e filosofia. Uno dei tre del podcast Il Terzo Uomo. Lo trovate in giro e su lagabbiadiorrico.com