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Dimarco è il terzino con più stile in Italia
13 gen 2021
E le ultime prestazioni ne sono una dimostrazione.
(articolo)
10 min
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Fino alla fine del 2020 Federico Dimarco aveva segnato un solo gol in Serie A. All’inizio della stagione 2018-19, contro l’Inter, con la maglia del Parma. Un gol pazzesco: stop di petto su una palla vagante che usciva dall’area di rigore interista, conduzione verso l’interno del campo con cui evita l’intervento di Brozovic e poi, quando l’inerzia dell’azione sembrava essersi esaurita e de Vrij era uscito dalla linea difensiva per affrontarlo, con la palla quasi ferma, Dimarco decide di calciare. A una decina di metri dall’area di rigore, Dimarco colpisce la palla di esterno, «quasi di taglio, come se volesse lanciare una pietra piatta in un lago per fargli fare più rimbalzi possibili sul pelo dell’acqua», abbiamo scritto allora. Ne viene fuori un tiro lento e preciso, sul palo più lontano da Handanovic impietrito.

Ironia della sorte, il suo primo gol in Serie A lo ha segnato all’Inter, che lo aveva cresciuto e che era ancora proprietaria del suo cartellino. In quel momento Dimarco sembrava già un ex giovane di belle speranze, aveva passato tre stagioni in prestito giocando sempre pochino tra Ascoli e Empoli. L’Inter aveva speso circa 7 milioni per riacquistarlo dal Sion (che lo aveva pagato poco meno di 4) e lo aveva subito girato al Parma. Quel gol sembrava al tempo stesso una vendetta e una promessa, Dimarco aveva ventun anni e l’Inter avrebbe potuto riprenderselo a fine stagione.

E così è andata, nonostante un infortunio muscolare che lo ha tenuto fuori quasi per tutta la parte centrale della stagione con il Parma. A inizio stagione 2019-20 l’Inter se lo riprende, ma ha cambiato allenatore e Antonio Conte lo vede così poco che prima di cederlo in prestito a gennaio, stavolta all’Hellas, gli fa giocare solo 24 minuti in campionato (di cui otto minuti da esterno a destra contro il Torino, facendolo esordire dopo tredici giornate di campionato). A Verona trova Lazovic nel posto in cui dovrebbe giocare lui e deve aspettare fino a luglio 2020 (dopo lo stop per il primo lockdown) per giocare la prima partita da titolare contro il suo Parma, venendo comunque sostituito da Lazovic a fine primo tempo.

Delle tredici presenze nella scorsa stagione molti sono stati spezzoni, le uniche due partite intere giocate le ha fatte da centrale sinistro della difesa a tre. Mostrando, tra l’altro, grandi difficoltà nelle letture difensive in occasione del secondo gol subito contro il Genoa (normale, considerando che ha iniziato giocando attaccante, poi ala sinistra, infine esterno a tutta fascia e terzino in una difesa a quattro; per abbassarlo ulteriormente bisognerebbe provarlo in porta).

Insomma, fino allo scorso anno Dimarco ha avuto un po’ di difficoltà a trovare la propria dimensione. Ma non significa che Dimarco non abbia fatto vedere comunque belle cose: in ogni momento della sua carriera (qui un articolo della stagione con l’Empoli) ha dato l’impressione di poter diventare – essere? – uno dei terzini sinistri più interessanti del calcio italiano. E di sicuro, quello che da subito era evidente - su cui non ci saremmo sbagliati neanche se oggi Dimarco giocasse in Eccellenza - è che negli ultimi anni abbiamo visto pochi terzini stilosi come lui.

Lo stile, da Gianni Agnelli ai coatti di periferia, è questione di dettagli.

Di fatto Dimarco è diventato titolare della fascia sinistra dallo scorso novembre, dopo che Lazovic si è ammalato di Covid-19 e al rientro Juric ha iniziato a spostare lui, anziché Dimarco, quando voleva averli entrambi in campo. Con qualche eccezione (l’ultima volta contro lo Spezia, lo scorso 3 gennaio), in cui, se serve, può giocare ancora come interno sinistro della difesa a tre. Cavandosela, tutto sommato, grazie al sistema che prevede marcature a uomo quasi a tutto campo del Verona, che gli semplifica la vita, ma anche grazie alla sua diligenza tattica.

Ovviamente dà il suo meglio in fase offensiva, soprattutto con la palla tra i piedi. Non ha grandissime doti fisiche, è alto meno di un metro e ottanta e non è velocissimo, ma si muove bene per ricevere sulla corsa e combinare con Zaccagni tra l’esterno e il mezzo spazio di sinistra. Negli ultimi venti-trenta metri la sua raffinatezza nei passaggi e il controllo negli spazi stretti si sposa bene con i rallentamenti, le pause che detta Zaccagni e con quella capacità che gli permette di vedere i compagni che corrono anche alle sue spalle. Come quando Zaccagni ha mandato in porta Dimarco con un colpo di tacco geniale.

Sarebbe stato divertente se avesse segnato i suoi primi due gol proprio contro l’Inter, durante due prestiti diversi, ma con un angolo strettissimo Dimarco ha provato a calciare di interno e Handanovic è stato bravo a chiudere lo spazio verso l’angolo basso del secondo palo. Dimarco fin da piccolo è abituato a segnare molti gol, anche su calcio piazzato (nell’Europeo Under 19 del 2016, in cui l’Italia è arrivata in finale perdendo poi con la Francia, ha segnato quattro gol: tre rigori e una punizione), eppure fino a pochi giorni fa, il gol contro l’Inter, quello pazzesco, è rimasto il suo unico gol in Serie A.

Deve essere stata l’unica persona al mondo a cui è stato esaudito il desiderio espresso a capodanno, con il piatto di lenticchie in mano, perché in quattro giorni ha segnato altri due gol, contro Torino e Crotone. Altri due gol assurdi.

Contro il Torino si è inserito alle spalle della difesa, girando sull’esterno, e quando Zaccagni lo ha cercato con un lancio non ci ha pensato due volte a calciare di prima, senza neanche far toccare terra alla palla. Se si guarda l’ultimo replay, quello in superslow-motion (come i video rilassanti di cose che esplodono) oltre alla splendida coordinazione con il corpo obliquo rispetto alla traiettoria del lancio, già pronto per calciare dritto per dritto verso la porta, si vede bene come Dimarco colpisca la palla affettandola con il collo esterno, dandole una parabola che si alza sopra le mani di Sirigu e poi si abbassa in porta, e che gira leggermente verso l’esterno. Un gol che possono pensare di fare in pochi, tra i terzini sinistri della Serie A, e che Dimarco ha commentato nel dopopartita con un semplice: «Mi piace calciare al volo».

I giornali veronesi scrivono che «incarna alla perfezione l’anima guerriera pensata da Ivan Juric», un allenatore in fissa con la musica metal e che, adesso che senza pubblico si sente bene quando parla ai suoi giocatori, come incoraggiamento gli dice cose tipo: «È una battaglia». Perché, come ha scritto Valerio Coletta, proprio in onore di Juric, «il metal non ti consola e non ti culla, il metal ti prende a schiaffi». Ma più che col metal il calcio di Dimarco ha a che fare con il rap e la trap, e non solo perché è di Calvairate, periferia di Milano, come Rkomi, ma perché è un calcio di strada, perché solo un coatto userebbe in quel modo ostentato l’esterno del piede. Dimarco calcia di esterno per segnare le partite, come i coatti di Baltimora segnano le strade facendo le pinne sulle moto da cross e sui quad.

Veniamo quindi alla firma di Dimarco, al segno con cui Dimarco si fa riconoscere nelle partite, al suo “skrt-skrt-skrt” che Simon Reynolds definisce l’audio-logo della musica dei Migos. La palla filtrante o addirittura il tiro di esterno, con il corpo piegato sull’erba come una moto da corsa in curva, sono il tratto stilistico che evidentemente Dimarco coltiva da sempre, fin dai tempi dei campetti in cui è più importante avere stile che fare gol (ammesso che ci abbia davvero giocato, ma queste cose passano attraverso il cemento in cui cammini per tornare a casa dopo l’allenamento), e che è rimasto parte del suo gioco anche oggi che è un giocatore funzionale, associativo, di sistema.

Adesso, piccola iconografia dell’esterno sinistro di Dimarco deve cominciare da quel gol segnato con la maglia – di allenamento – dell’Inter, che lui stesso ha condiviso su Facebook subito dopo quello quasi identico contro il Torino:

Ma anche concentrandoci sulle partite più recenti è facile trovare la firma di esterno di Dimarco. Lo scorso luglio, sempre contro l’Inter, ha provato a calciare al volo ma schiacciando la palla rasoterra, in modo da farle prendere l’effetto a contatto con l’erba e farla girare sul primo palo. Fuori di pochissimo e mani nei capelli (le sue e quelle di Stepinski):

Ad agosto, contro il Genoa, pur partendo dalla difesa si sovrappone internamente a Lazovic e riceve palla appena dentro l’area, prova a fare un filtrante per Di Carmine ma gli viene respinto: la palla gli resta davanti e lui, da fermo, prova a dare un giro impossibile alla palla:

A settembre contro la Roma (nella partita che poi il Verona ha vinto a tavolino), dall’angolo dell’area di rigore, senza nessun preavviso come nel celebre meme – “Tutti quanti: [niente] / Dimarco: [gif con il tiro]” – ha calciato senza preavviso sul secondo palo, con un esterno morbido e lento che scavalca il portiere, si appoggia alla traversa e poi al palo, prima di allontanarsi dalla rete.

Il culmine lo ha toccato domenica scorsa, contro il Crotone, quando ha calciato di esterno sinistro una palla che chiunque altro avrebbe colpito di destro, per mandarla a giro sul secondo palo. Dopo un’azione elaborata sulla sinistra in cui con Zaccagni e Ilic si sono scambiati la posizione un paio di volte, e Dimarco prima si è sovrapposto internamente, poi è tornato indietro e poi di nuovo si è inserito, stavolta in diagonale verso l’area. Un’azione che premia il suo talento individuale quanto il gioco di squadra.

Con una specie di trivela rasoterra, omaggio a un altro ex-interista come Quaresma, Dimarco ha fatto passare la palla sotto le gambe di Golemic, un metro e novanta di difensore centrale che in questo caso fa la figura di Golia che cade colpito dalla pietra del piccolo Davide (storia più triste di come viene comunemente raccontata se, come scrive Malcom Gladwell, Golia in realtà era affetto da gigantismo e quindi mezzo cieco).

Che nessuno dica che i gol contro il Torino e il Genoa sono stati fortunati, quindi. Semmai, finalmente, la sorte gli sta restituendo qualcosa. Quando sbaglia lo fa in modo spettacolare, a volte colpisce la palla quasi di interno e va nella direzione opposta a quella che vuole lui, ma c’è una ragione per cui quasi nessun calciatore professionista, neanche l’élite dell’élite, usa l’esterno quanto lo usa lui: perché è difficilissimo.

L’esterno è la parte meno sensibile del piede, piegare la punta verso l’interno toglie forza alla caviglia. Coordinarsi per calciare con il piede “sbagliato” ti costringe a ragionare in modo controintuitivo, ad arrivare sul pallone con un passo innaturale, leggermente in anticipo e a stare in equilibrio precario sulla gamba d’appoggio, piegandoti per abbassare il baricentro e non alzare troppo la palla.

Usare l’esterno è un’arte e la naturalezza di Dimarco è stupefacente, quando prende bene la palla ne escono fuori tiri molto soddisfacenti, per lui che calcia e per noi che guardiamo. La sua soddisfazione, anzi, diventa la nostra. Certo non è per questo che Juric oggi lo fa giocare, ma per tutto il resto. Per come si muove senza palla, per come è creativo in costruzione e negli ultimi trenta metri, per come è attento tatticamente e per come crossa, anche se crossa con l’interno. Adesso che scrivo Dimarco è il terzo giocatore della Serie A, dopo Calhanoglu e Ilicic, ad aver creato più Expected Assist crossando (0.22) ed è il secondo a tentare più cross a partita dopo Biraghi, con una precisione piuttosto alta (29.4%).

A ventitré anni, compiuti da poco, Dimarco è uno dei migliori terzini sinistri in questa stagione di Serie A. Se non fosse andata come è andata un anno fa, farebbe comodo all’Inter, che fino al 2023 è proprietaria del cartellino (l’Hellas ha diritto di riscatto alla fine di questa stagione, per una cifra ridicola intorno ai quattro milioni secondo alcune fonti, ma l’Inter può sempre contro-riscattarlo), e chissà che non faccia in tempo a entrare nel giro della Nazionale maggiore prima degli Europei: anche se sull’esterno sinistro la concorrenza è alta (Emerson Palmieri, Spinazzola, Biraghi, D’Ambrosio).

Intanto speriamo che Dimarco continui a lasciare la sua firma nelle partite che gioca. Perché vincere non è tutto, vero, e per un coatto lo stile è la sola cosa che conta.

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