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Dinamo Saponara
20 gen 2016
Riccardo Saponara incarna un modello di trequartista contemporaneo, cosa c'è nel suo futuro?
(articolo)
16 min
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A inizio 2015, al termine del girone d’andata, l’Empoli aveva totalizzato 19 punti ed era appena sopra la zona retrocessione. La squadra allenata da Maurizio Sarri era considerata una delle migliori sorprese del nostro campionato, ma non riusciva a concretizzare la mole di gioco proposta, soprattutto a causa della scarsa qualità offensiva. A metà gennaio, l’Empoli non era riuscito a segnare in 5 dei suoi 6 incontri casalinghi, tre dei quali terminati 0-0. L’attacco stagnava a 17 gol in 19 partite e aveva bisogno di un intervento ma, un po’ a sorpresa, l’unico acquisto del mercato di riparazione è Riccardo Saponara.

L’operazione passa sottotraccia, o al massimo sembra un favore al ragazzo, finito ai margini del Milan da ormai un anno e mezzo. Ma non sembrava la soluzione ai problemi offensivi di una squadra che aveva bisogno di salvarsi. Chi avrebbe immaginato che avrebbe chiuso quella stagione con 7 gol e che un anno più tardi molti lo avrebbero considerato uno dei migliori giocatori del nostro campionato, stella dell’Empoli migliore della sua storia, calciatore culto della Serie A, possibile convocato della Nazionale di Antonio Conte?

La parabola di Saponara non è di semplice lettura. Quando a 22 anni è stato comprato dal Milan aveva sulle spalle una sola stagione di ottimo livello in Serie B e non si capiva ancora la profondità del suo talento. Il ritorno ad Empoli, a 24 anni, dopo appena 8 presenze in maglia rossonera, sembrava in un certo senso la conferma, con tutte le attenuanti del contesto difficile, che non fosse proprio un giocatore di primissima fascia. Al punto che il Milan aveva fissato il diritto di riscatto dell’Empoli ad appena 4 milioni di euro.

Bisogna però ammettere che Saponara non ha avuto molte occasioni per mettersi in mostra con la maglia rossonera. Quando è arrivato in rossonero si portava dietro la complicata etichetta di "Nuovo Kaká": «Quando mi è stato detto del Milan ho cominciato a piangere: per me il Milan è il calcio e Kaká è sempre stato il mio idolo».

Paradossalmente, proprio in quell’estate circolano voci di un ritorno di Kaká a Milanello, nonostante le smentite di Galliani, che guarda al futuro: «Il ritorno di Kaká? Non esiste al mondo, Berlusconi non ne ha mai parlato. Ricardo ha uno stipendio che è impossibile per tutte le squadre italiane. Ma quando vedo il nostro Riccardo di oggi, nelle accelerazioni mi ricorda il nostro Ricky di una volta». In una cortocircuito tra nomi propri e accostamenti tecnici che dà le vertigini.

Nelle amichevoli estive viene schierato titolare come vertice alto del rombo di Massimiliano Allegri e viene considerato da tutti il probabile titolare di un Milan in modalità rifondazione, insieme a El Shaarawy, Cristante e De Sciglio. Purtroppo però la pubalgia lo rende indisponibile per l’inizio di stagione.

A dispetto di tutte le smentite, naturalmente Kaká arriva, celebrato in un ritorno sulle note di “Amici Mai”, nella più classica delle commedie all’italiana. Quando Saponara rientrerà dall’infortunio, a fine ottobre, troverà un Milan in confusione e, come visto anche quest’anno con la Juve, nei momenti di difficoltà Allegri è restio ad affidarsi ai giovani.

Il fatto che il “nuovo Kaká” venga chiuso dal “vecchio Kaká”, pure in una fase chiaramente discendente della sua carriera, è ironico, ma la dice anche lunga sulla confusione di scelte che in questi anni attraversa Milanello. L’esordio di Saponara arriverà a metà dicembre, addirittura in un derby. Verrà schierato da Allegri trequartista, proprio vicino a Kaká, che verrà avanzato seconda punta. Dopo 7 minuti, trasforma la prima palla che tocca in un tunnel su Campagnaro e manda Balotelli al tiro.

Sembra dover fare le fiamme, ma alla fine si limita a giocare una buona partita, scolastica, un po’ inconcludente. Il Milan di quel periodo del resto è un fraintendimento continuo, una squadra zeppa di giocatori demotivati e incomprensibili. A gennaio arrivano Taarabt e Honda a chiudergli ulteriormente lo spazio. «Mi aveva voluto Allegri, senza di lui è stato tutto più difficile».

In estate è già vicino a un ritorno a Empoli, ma Inzaghi gli chiede di rimanere rinnovandogli la promessa di una maglia da titolare. Stavolta però il ruolo non sarebbe quello di trequartista, ma di mezzala del 4-3-3. Viene provato lì per tutto il pre-campionato, lui dice di trovarsi bene «tocco più palloni, sto migliorando, farò una grande stagione». In tutto il girone d’andata, alla fine, giocherà 90 minuti, tutti concentrati in un Milan-Palermo di inizio novembre in cui, per ironia, gioca molto bene, e che quindi ancora molti milanisti citano come momento di massimo rimpianto.

Giocatore costruito

Negli ultimi anni il nostro movimento calcistico fatica a produrre grandi talenti offensivi e proprio per questo i club di prima fascia provano immediatamente a mettere le mani sui pochi in circolazione, spesso però senza costruirgli un contesto attorno. Il Milan ha preso Saponara con la stessa leggerezza con cui si prende un cane di grossa taglia per metterlo a vivere in un piccolo appartamento.

Eppure Saponara ha dichiarato che l’anno e mezzo al Milan lo ha fatto migliorare. E da quanto si dice di lui, sembra un giocatore che ama lavorare molto su sé stesso. In un’intervista a Gazzetta si autodefinisce “maniacale”: «Resto al campo dalle 9.30 alle 12, poi dall’una e mezza alle cinque, anche se non c’è allenamento: lavoro in palestra e sul campo. Non merito l’immagine classica del calciatore superficiale, sono maniacale». Un lavoro che non è solo tecnico e atletico, ma anche cerebrale, di studio: «La sera lavoro mentalmente: guardo video e faccio visualizzazione. Cerco di farmi trasportare mentalmente verso i miei obiettivi, visualizzo gli avversari e quello che vorrei fare in campo». Sin dalla sua prima esperienza a Empoli viene seguito da Roberto Civarese, un mental coach che lo descrive così: «Riccardo non è mai pienamente soddisfatto delle sue prestazioni perché pretende da sé stesso sempre il massimo. Desidera andare oltre perché è consapevole di avere ancora molto da dare al calcio e ai suoi tifosi».

Il Saponara attuale sembra un giocatore decisamente migliore rispetto a quello che era arrivato a Milano due anni fa. Non tanto nelle sue doti tecniche quanto nella lettura del gioco e delle situazioni, oltre che nella consapevolezza delle proprie qualità. Qualche mese fa ha dichiarato che ha il rimpianto di non essere al Milan ora, con il bagaglio di tecnica ed esperienza accumulato. Per questo Saponara dà l’impressione di essere un giocatore “costruito”, nell’accezione più positiva del concetto: un giocatore che ha creato un contesto attorno al proprio talento.

A meno che non si abbiano delle doti realmente fuori dal comune, giocare a calcio ad altissimi livelli richiede una grande autocoscienza dei propri limiti e dei propri pregi, e soprattutto la fortuna di trovare lungo il percorso delle persone e dei contesti in grado di capire qual è l’abito giusto con cui vestire il talento, e metterlo a suo agio.

Saponara probabilmente non ha un talento naturale così fuori dal comune, ma ha l’intelligenza e la dedizione per cesellare il proprio gioco, oltre ad aver avuto la fortuna di ritrovarsi in contesti che hanno perfettamente capito come nascondere i suoi difetti e far brillare i suoi pregi.

Che Saponara sia consapevole di ciò lo si può dedurre dallo scorso mercato di gennaio, quando era a un passo dal Sassuolo, dove Di Francesco lo avrebbe forse schierato come attaccante esterno del suo 4-3-3, un ruolo che il romagnolo ha già ricoperto sia all’Empoli che nella Nazionale Under-21. Ha però temporeggiato, aspettando che l’Empoli pareggiasse l’offerta del Sassuolo e alla fine è tornato in Toscana. Ha dichiarato che si è trattato di una decisione "di cuore", ma non è da escludere, considerando il suo approccio alla comprensione del calcio, che sulla scelta abbia pesato anche una dimensione tattica. Maurizio Sarri lo conosceva e gli aveva promesso il posto di trequartista del suo 4-3-1-2, e cioè la posizione in cui Saponara è diventato Saponara!.

Se nel Milan, nel ruolo di mezzala, gli veniva richiesto di contribuire soprattutto alla costruzione bassa delle transizioni, nell’Empoli viene avanzato di 20 metri e, soprattutto, viene liberato da compiti di costruzione dal basso. All’interno del sistema di Sarri l’importanza del trequartista è cruciale. Fino a gennaio il tecnico ha utilizzato Verdi in quella posizione, un giocatore nato come attaccante esterno e ricollocato al centro per sfruttarne il dinamismo e la capacità di calciare con entrambi i piedi. Ma con Saponara l’Empoli ha aggiunto un’efficacia offensiva fino a quel momento insperata.

Il trequartista deve soprattutto avvantaggiarsi dei movimenti ad allargarsi delle punte, andando ad attaccare lo spazio che si apre centralmente. Per questo finisce per avere anche le maggiori responsabilità di finalizzazione: Saponara ha chiuso la scorsa stagione da secondo miglior marcatore empolese (7 gol), giocando peraltro la metà dei minuti di Maccarone (10 gol). Tornando a casa il giocatore forlivese non ha avuto neanche bisogno di ripassare lo spartito, gli è bastato ricordare a braccio una serie di movimenti finiti nello strato duro della memoria involontaria.

Verticalizzazione del difensore verso l’attaccante che si è allargato per tirare fuori un difensore avversario, sponda per l’inserimento di Saponara, che ha un doppio controllo incredibile, peculiare delle sue caratteristiche, prima di segnare di sinistro.

Quello mostrato è un gol che risale alla stagione della promozione dell’Empoli, ma i principi del dialogo tra trequartista e attaccanti sono rimasti immutati nel corso delle stagioni, anche in quella attuale con Giampaolo. Lo si può vedere in questo gol contro il Napoli, dove la punta ha attirato i difensori in pressione e Saponara si è inserito con tempismo nel buco creato; o in questo contro il Carpi, dove gli interpreti sono gli stessi di quasi quattro anni prima: Maccarone si allarga e Saponara corre nello spazio centrale per ricevere la verticalizzazione.

Anche nei movimenti senza palla Saponara ricopre un ruolo importante. È il primo giocatore a portare pressione sulla costruzione bassa avversaria, spesso con un dinamismo e un’aggressività rare nel ruolo.

Anche se non ha grandi numeri nelle palle recuperate, confermando quindi che la fase difensiva per lui è un’applicazione e non una predisposizione.

E quando la squadra difende nella propria metà campo è bravo a tenere centrocampo e attacco collegati con le giuste distanze.

Magari esagerando si può dire che Riccardo Saponara è stato il vero artefice del salto di qualità dell’Empoli della scorsa stagione, diventando poi la garanzia per la continuità in quella attuale. A prescindere dall’allenatore in panchina, l’Empoli in Serie A ha una media punti di 1,42 con Saponara e di 1,05 senza.

Il nuovo Kaká?

Saponara, escludendo la parentesi rossonera, gioca in questo sistema da quando aveva diciotto anni. Una quantità di tempo tale che rende confusa la questione se l’Empoli si sia organizzata in questo modo per trarre beneficio dal suo maggiore talento, o se il talento di Saponara si sia sviluppato, affinato e modellato attorno a questo sistema di gioco. Saponara ha immagazzinato tutti i movimenti empolesi sottopelle, fino a farli diventare il suo corredo genetico. Un po’ quello che succede ai giocatori del Barcellona provenienti della Masìa, che entrano in prima squadra muovendosi con l’efficacia involontaria dell’automatismo. Sarebbe quasi un sogno, in un universo parallelo, che l’Empoli creasse un ciclo di successo in Serie A tutto costruito sulle fondamenta del 4-3-1-2: dal settore giovanile alla prima squadra.

In quel caso sarebbe difficile però modellare un nuovo Saponara, perché, banalmente, la pasta di cui è fatto, non è così comune. A un primo sguardo Saponara non ruba l’occhio, non sembra fare niente in modo eccezionale: è veloce, ma non abbastanza da farne un punto di forza determinante; è tecnico, ma non tocca la palla con la morbidezza di un 10 classico; calcia bene, ma le sue conclusioni a volte sembrano quasi sporche. È l’insieme organico delle sue caratteristiche, il modo in cui queste vanno a mescolarsi dentro agli equilibri del sistema collettivo, che rendono Saponara non solo un profilo unico, ma anche prezioso nel calcio contemporaneo.

Nel corso degli anni la lista dei giocatori paragonati a Kaká è stata infinita, quasi irrispettosa: Coutinho, Piazon, Ganso, Zezinho. Questo soprattutto a causa della rarità tecnica del trequartista brasiliano, così unico nel suo genere da aver fissato nell’immaginario collettivo alcune caratteristiche semi-irripetibili. Caratteristiche che quando vediamo in qualcun altro riconduciamo immediatamente a lui. Forse però nessun giocatore somiglia davvero a Kaká quanto Riccardo Saponara.

Il paragone non vuole essere lezioso, né esprimere un giudizio di valore. Può essere utile però per capire quali sono le qualità che rendono Saponara davvero speciale. Per esempio, come per Kaká, la qualità migliore di Saponara è quella di correre verso la porta, sia con la palla che senza, come abbiamo visto nei gol precedenti. Quando corre palla al piede in zona centrale evoca lo stesso senso di inarrestabilità del brasiliano, per la facilità con cui cambia passo e anche per la capacità di dribblare in corsa senza perdere velocità.

L’azione tipica di Saponara è quella in cui riceve palla tra le linee e si gira subito per correre e puntare la porta, disordinando le linee avversarie. Può poi rifinire, cercare l’uno due (spesso) o provare direttamente la soluzione personale.

Questo lo rende particolarmente letale nella fase di transizione positiva, praticata soprattutto lo scorso anno con Sarri. Ma anche con una difesa schierata sembra che la principale preoccupazione di Saponara sia di rompere le linee e non c’è definizione più efficace di rompere le linee che passarci attraverso, realizzando un tunnel sul diretto marcatore.

Saponara è uno dei giocatori di Serie A che eccellono nell'arte del tunnel, insieme ad esempio a "El Mudo" Vázquez, re incontrastato del fondamentale. La capacità di fare tunnel di Saponara è un’altra sfumatura della sua capacità di dribblare in corsa: il tunnel è spesso una questione di senso dei tempi e del dinamismo, di capire cioè dove si aprirà il corridoio tra le gambe in movimento dell’avversario.

Per questo il tunnel è il dribbling “dinamico” per eccellenza, ed è il fondamentale che meglio riassume Saponara come “trequartista dinamico”. Non un ragionatore, un regista offensivo, ma un giocatore in grado di aumentare la qualità offensiva tra le linee accelerandone la velocità. Aprendo delle vertigini nei corridoi tra le linee avversarie.

La capacità di dribblare in zona centrale rende davvero poco comune il talento di Saponara, che realizza poco più di due dribbling a partita. Una media alta (dodicesimo del campionato), anche se non eccezionale, che va rapportata al fatto che i suoi dribbling avvengono quasi sempre nelle zone più pericolose del campo, e quindi valgono di più. Saponara prova il dribbling quasi sempre in zone nevralgiche, in situazioni di gioco molto tirate, e non a caso è il giocatore in Serie A (anche qui dopo Vázquez) a perdere più palloni: quasi 3 a partita. E questo dato è anche figlio dell’eccessiva sicurezza nei propri mezzi, che a tratti lo porta a strafare, ma probabilmente anche di un atteggiamento di squadra che rende le sue palle perse meno nocive. L’Empoli riesce a tenere le linee sempre molto vicine e una palla persa non può mai costituire un dramma. Come si spiega qui l’Empoli ha la migliore percentuale di dribbling riusciti del campionato ed è seconda, dietro la Juventus, per dribbling realizzati.

Questo talento nel saltare l’uomo e la sua velocità rendono Saponara efficace quando si allarga sulla fascia per dare sostegno alle catene laterali. Anche se non sembra eccezionale nei cross (e a dire il vero l’Empoli non crossa quasi mai) e prova quasi sembra a entrare in area col pallone.

Lo spostamento sulla fascia deve essere però solo un momento di gioco, la posizione ideale di partenza di Saponara dovrebbe essere sempre quella al centro. La sua, già citata, capacità di correre in zona centrale lo rende costantemente pericoloso per le difese avversarie, soprattutto perché arrivato sulla trequarti può minacciare il tiro tanto col destro quanto col sinistro.

L’Empoli di Giampaolo fa più possesso palla rispetto a quello di Sarri e nel fraseggio Saponara si offre sempre come riferimento del rombo alto anche per ricevere alle spalle, dando verticalità alla squadra. Il metro e 84 gli permette di difendere bene il pallone e di resistere ai contatti, fondamentale per giocare in quella porzione di campo.

Un gol alla Saponara. Resiste bene al contatto alle spalle di Magnanelli e al limite dell’area scarica un tiro di sinistro a incrociare.

Nell’ultimo passaggio Saponara non è esattamente un “visionario”, ma anche in questo fondamentale dimostra un innato senso alla verticalità.

Qui Livaja gli grida “mettimela per un tiro a rimbalzella” e lui gliela incarta, anche col sinistro. Ma anche questo mi piace molto perché fa una “pausa” da trequartista vero, nonostante non sia esattamente nelle sue corde.

A oggi Saponara ha già realizzato 6 assist e 42 passaggi chiave, più di Insigne e Pjanic. Se ci aggiungiamo i 5 gol realizzati capiamo quanto Saponara sia, già oggi, in una squadra di ambizioni modeste come l’Empoli, uno dei giocatori più determinanti del nostro campionato.

Ma fuori Empoli?

La trequarti empolese, nella posizione di vertice alto del rombo di centrocampo, è l’habitat naturale di Riccardo Saponara. Nelle occasioni in cui è stato spostato da lì, dirottato sull’esterno offensivo di un 4-3-3, o arretrato a mezzala di un centrocampo a 3, Saponara ha faticato a trovare le misure. Per questo motivo, nonostante il rendimento, rimangono molti dubbi su una sua eventuale chiamata agli Europei.

Conte non lo ha mai chiamato in Nazionale, nemmeno nelle amichevoli più sperimentali degli “azzurri”, e in effetti la sua collocazione tattica nel sistema attuale dell’Italia è un rebus piuttosto irrisolvibile. Il tecnico è ancora alla ricerca dell’abito tattico ideale, ma continua a oscillare tra il 4-3-3 e il 3-5-2, due moduli che non prevedono il trequartista e che escluderebbero la presenza di Saponara. A meno che Conte non decida di provarlo come esterno del 4-3-3, magari a destra, dove ha già giocato. Spostato sulla fascia Saponara perde molto potenziale, ma l’Italia non ha molti giocatori così bravi nell’uno contro uno.

Lo stesso rebus tattico potrebbe esserci anche a giugno, quando Saponara quasi certamente lascerà Empoli. Il ruolo del trequartista, come si scrive qui, sembra essere una peculiarità tutta italiana; per questo Saponara, se volesse continuare a valorizzarsi sulla trequarti, avrebbe forse bisogno di rimanere in Serie A. In Italia quasi tutte le squadre di prima fascia giocano con un trequartista: nella Juventus di Allegri Saponara aggiungerebbe qualità al ruolo che quest’anno il tecnico ha provato a cucire (con poco successo) addosso a Pereyra. E del resto è stato lo stesso Allegri, pare, a volerlo al Milan. Nel Milan ovviamente sarebbe il trequartista perfetto per Mihajlovic (dopo il suo drone, Soriano), e questo rende ancora più grottesco, a posteriori, pensare alla sua cessione.

Nella Roma di Spalletti interpreterebbe bene il ruolo di trequartista in un 4-2-3-1, dove nella prima partita allenata dal tecnico toscano ha giocato Nainggollan, più dinamico, ma decisamente meno tecnico e offensivo di Saponara. Andando a Napoli permetterebbe forse a Sarri di ripristinare il suo modulo di Empoli, magari ricollocando Insigne in un’altra posizione, anche se si andrebbe a toccare un equilibrio abbastanza delicato.

In ogni caso, in qualsiasi squadra finirà, l’impressione è che Saponara avrà bisogno di essere messo al centro di un progetto che nasconda le sue debolezze ed esalti il suo talento. La sua peculiarità lo rende tanto speciale quanto fragile, da trattare con la delicatezza che si deve tributare alle cose preziose.

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