“Io lo sapevo che questo sarebbe successo
Che io e te avremmo rotto
Facendo cosucce pazze
Fuori dal normale”
Jey M, nome d’arte di Jesé Rodriguez
Il 26 ottobre del 2013, al Camp Nou, sembrare degli intrusi è opera semplice. Nel Clasico in cui si omaggia Tito Vilanova, che in estate aveva lasciato definitivamente il Barcellona per il tumore che l’avrebbe ucciso l’anno successivo, in campo ci sono Messi, Benzema, Neymar, Modric, Xavi, Di Maria, Iniesta, Cristiano Ronaldo, Mascherano, Sergio Ramos, Dani Alves, Marcelo, Piqué e Pepe. Il livello è irreale non solo leggendo i nomi. Nel primo tempo Iniesta lancia Messi in porta con un passaggio verticale dalla linea di centrocampo mentre è pressato spalle alla porta da Modric, nel secondo Benzema prende una traversa paurosa da trequarti campo. Il Barcellona passa in vantaggio al 18esimo con un tiro basso sul palo più lontano di Neymar, trovato dentro l’area ovviamente da Iniesta, poi raddoppia nel secondo tempo con un cucchiaio di Alexis Sanchez che sarebbe il gol più bello nella carriera della maggior parte dei calciatori in attività. Quando la partita sembra ormai finita, e la rilassatezza è tale che Dani Alves si permette di fare un tunnel a Cristiano Ronaldo da mettersi le mani nei capelli (ve lo consiglio: è al minuto 5.30), nella sua narrazione si intromette un nome inaspettato.
In transizione solitaria, Cristiano Ronaldo si infila in una tasca di spazio a sinistra. Il Barcellona lo insegue come uno sciame d’api ma così facendo lascia libero dall’altra parte Jesé Rodriguez, entrato al 76esimo, troppo veloce per il terzino Adriano. Ronaldo lo vede, lo serve, poi diventa uno spettatore come tutti gli altri. Jesé ha un primo controllo non perfetto, troppo esterno, è costretto ad accelerare la conclusione per non farsi recuperare da Adriano, e quindi tira con la palla molto vicino al corpo appena fuori dall’area di rigore. Il tiro esce centrale ma potente, con la fortuna di riuscire a centrare quello spazio indifendibile per i portieri: allo stesso tempo troppo lontano dai piedi e troppo basso per riuscire a intervenire in tempo con le mani. Victor Valdes riesce a deviare la palla ma non a impedire che entri in rete. È il primo gol ufficiale di Jesé con la maglia del Real Madrid ma per quasi tutti nella capitale spagnola non è un caso che sia arrivato contro il Barcellona e su assist di Cristiano Ronaldo.
Jesé è l’ultimo degli arrivati, sì, ma il suo arrivo è atteso da tempo. Il Real Madrid lo aveva scovato quando ancora aveva 12 anni nell’isola di Gran Canaria. Jesé allora giocava nell’Huracan. Era piccolo e fragile, e il Real Madrid aveva deciso di lasciarlo lì un anno, per farlo crescere ancora e per non fargli accusare troppo lo shock di un trasferimento a Madrid. Dopo poco tempo la "Casa Blanca” si era resa conto del rischio che aveva deciso di correre: non era l’unica squadra ad essersi accorta di lui. Il Barcellona lo aveva messo su un aereo e gli aveva fatto visitare la Masia, ma per fortuna del Real Madrid l’amore infantile di Jesé gli aveva fatto rifiutare l’offerta. A 14 anni, per non rischiare più, viene trasferito nel centro d’allenamento di Valdebebas, a Madrid. Ci mette poco a farsi notare nelle giovanili. Il primo pezzo di Marca dedicato a lui, datato 3 dicembre 2010, lo definisce “il Cristiano di Valdebebas”. Poche settimane dopo fa il suo debutto ufficiale nel Castilla, la seconda squadra del Real Madrid, e fa un assist di rabona, “un dettaglio ‘Made in Cristiano’” scrive ancora Marca.
Sono anni che il Castilla fa la spola tra la Serie C e la Serie B spagnola. Jesé comincia a segnare con una certa continuità, poi sembra poter accumulare gol esattamente come Cristiano Ronaldo. Si instaura una strana rivalità a distanza con l’astro nascente del calcio catalano, Gerard Deulofeu. I due vengono mossi dalle aspettative dei tifosi che ogni tre giorni vedono Cristiano Ronaldo e Messi fare lo stesso, nel piccolo palcoscenico di compensato del calcio minore spagnolo. Real Madrid e Barcellona portano le loro armi anche qui dentro. Nell’estate del 2011 Mourinho lo aggrega alla prima squadra per il tour estivo in Cina e lui lo ripaga segnando in amichevole contro il Guangzhou al primo pallone toccato, di petto, su assist di rabona di Di Maria.
Un responsabile di Valdebebas dice che «se Jesé fosse brasiliano sarebbe titolare nel Santos e già una stella: può essere anche migliore di Neymar». Un anno dopo parla Albert Benaiges, ex coordinatore del calcio giovanile del Barcellona: «È chiaro che Deulofeu ha molte più possibilità di emergere di Jesé perché nel Barcellona si crede di più nella Primavera». Insieme fanno la fortuna della Spagna Under 19, che nell’estate del 2012 in Estonia vince l’Europeo. Jesé segna il gol decisivo in finale, contro la Grecia, e finisce il torneo da capocannoniere con 5 gol. Pochi giorni dopo l’osservatore che l’aveva scoperto all’Huracan, Sixto Alonso, deve già difenderlo dalle critiche: «L’anno scorso ha detto in un’intervista che vorrebbe essere il miglior giocatore del mondo. Dicono che è un ipocrita però lui lo vuole davvero e non smetterà di allenarsi finché non ci sarà riuscito».
Nella stagione successiva, la 2012/13, la sua ascesa fino in prima squadra sembra inesorabile. Con il Castilla segna 22 gol, battendo il record storico di Emilio Butragueño, che ne aveva segnati 21 nella stagione 1983/84. Sotto questa montagna di gol vengono nascoste le sue intemperanze in campo, che riemergono periodicamente sulla superficie della sua carriera. Nel 2009, quando ancora nelle giovanili, era stato squalificato per 15 giornate per aver dato una capocciata all’arbitro. All’inizio di questa stagione, in un derby con l’Atletico, viene espulso per un calcio a un avversario, contro cui sputa uscendo dal campo. Tutto viene perdonato nella sicurezza che il suo talento stia finalmente per sorgere. Nell’estate del 2013 diventa vicecapocannoniere del Mondiale Under 20 in Turchia nonostante la Spagna si fermi già ai quarti (eliminata da un gol di Avenatti al 103esimo). Poco dopo il Real Madrid gli rinnova il contratto facendo attenzione a mettere una clausola rescissoria da 200 milioni di euro. Il gol nel Clasico perso a ottobre allora sembra una tappa di passaggio, arrivata anche con leggero ritardo.
Siamo agli inizi della stagione 2013/14, sta prendendo forma il Real Madrid leggendario che vincerà cinque Champions League nei successivi nove anni, eppure a Valdebebas si parla moltissimo di Jesé. Com’è possibile che giochi così poco? La BBC dovrebbe essere la risposta più ovvia eppure il dubbio sembra fondato. Dopo un mesetto in panchina entra per l’ultima mezz’ora contro l’Almeria e realizza due assist. Poi altre briciole di partita. Contro il Valencia entra a 17 minuti dalla fine in una partita bloccata sul 2-2 e segna il gol decisivo. Nelle settimane successive si parla di Jesé come di un giocatore da grandi palcoscenici. Dopo il Camp Nou e il Mestalla segna anche al San Mames, contro l’Athletic Club. Poi segna anche al Villarreal, al Getafe: tre gol consecutivi in tre partite in cui è partito titolare. Dopo il gol al “sottomarino giallo” Marca esce con una sua foto in copertina e il titolo: “Cristiano Jesé”. E se riuscisse da subito a infilarsi tra le B e la C di Bale, Benzema e Cristiano? Dopo aver segnato anche all’Espanyol in Coppa del Re, Emilio Butragueño scrive che «quello di Jesé è un gol da grande giocatore».
Jesé è veloce e leggero ma non è inconsistente, si sa inserire bene in area e davanti al portiere ha una freddezza da prima punta. Ancelotti inizia a inserirlo nelle rotazioni anche in Champions League. Fa il suo esordio con il Copenaghen, poi gioca con la Juventus, con il Galatasaray, con lo Schalke 04. Pochi minuti destinasti ad aumentare. Al ritorno al Bernabeu entra a otto minuti dalla fine di una partita già vinta. Sarebbero una nota a piè di pagina della sua carriera se non fosse che Kolasinac, con la forza di una palla demolitrice, lo carica alle spalle su un pallone che sta scivolando innocuo in fallo laterale. Jesé prova a coprirlo con il corpo, ma l’impatto gli piega la gamba destra verso il terreno come un bastone. Il legamento crociato si rompe e con esso quello che poche settimane prima lo stesso Jesé aveva definito il momento migliore della sua carriera. «Non mi accontento. Sono ambizioso e voglio sempre di più», aveva detto Jesé poco dopo aver compiuto 21 anni.
Inizia la trafila del recupero, i messaggi dei compagni, le magliette mostrate alle telecamere. Jesé si opera e, nell’attesa che le cose tornino come prima, utilizza la sua passione per la musica forse per distrarsi. Ha un suo gruppo di reggaeton chiamato Big Flow, otto giorni dopo il suo infortunio esce un nuovo singolo, La Mano Arriba. Nel video un gruppo di modelle balla in una finta discoteca. Jesé, insieme a Henry Mendez e Daviel, giocano a un tavolo di poker. A un certo punto lo si vede fare all-in. Il giorno in cui viene pubblicato questo nuovo singolo Jesé è nella sua casa, a Pozuelo, vicino Madrid, dove vivono molti giocatori del Real. Il suo vicino di casa è Arbeloa. Ci sono dei lavori, Jesé ha deciso di insonorizzare una stanza per avere una sala di registrazione. In casa con lui un amico e il suo primo figlio, nato due anni prima da una relazione con la modella Melody Santana, oltre ai muratori che stanno lavorando. Improvvisamente si sente puzza di gas, poi un esplosione e le fiamme. Le urla certificano che è divampato un incendio, che rende impossibile uscire dall’ingresso di casa. Jesé lascia suo figlio all’amico, che esce dalla finestra che dà sul giardino. Lui però ha le stampelle e non riesce a scavalcare, deve aspettare i pompieri che per fortuna arrivano quasi subito. Hanno la peggio i tre muratori, uno di questi viene ricoverato d’urgenza con ustioni gravi sul 15% del corpo.
Jesé tra le fiamme, letteralmente e non. Sembra già lontanissimo dal Real Madrid di Ancelotti, da Cristiano Ronaldo e i suoi siuuu, dalla finale di Lisbona, dalla Decima, una storia a parte. Pochi giorni dopo l’incendio gli viene una febbre leggera che non passa, scopre di avere un infezione al ginocchio operato che lo costringe ad allungare i tempi di recupero. Ancelotti in conferenza stampa si lamenta della sfortuna, come se esistesse davvero. Poi sembra scandalizzarsi della sua stessa irrazionalità e aggiunge: «Ma secondo me il malocchio non esiste». Finisce la stagione, il Real Madrid scrive la storia ma non riesce a vincere la Liga, che diventa il grande capolavoro del “Cholo” Simeone. Il tecnico italiano, nonostante il trionfo in Europa, sembra avere qualche rimorso: «Con Jesé avremmo vinto anche il campionato».
Rimane la consolazione dei se e dei ma, con cui non si scrive nessuna storia se non quella del calcio. Passano settimane di riabilitazione, l’estate fatta di palestra e corse sulla spiaggia. Jesé riesce a tornare ad allenarsi con il gruppo solo all’inizio di novembre ma non è più la stessa cosa. Ci si chiede se Jesé può tornare il giocatore di prima - che giocatore era prima? - ci si dovrebbe chiedere perché è il Real Madrid a non essere lo stesso della stagione passata. La squadra di Ancelotti passa una stagione scialba, almeno per gli standard di quella rosa. Arriva un’altra volta seconda in campionato, dietro al Barcellona, in Champions League viene clamorosamente eliminata dalla Juventus, in Copa del Rey dai rivali storici dell’Atletico Madrid. La Coppa del Mondo per Club e la Supercoppa Europea sono cicchetti con cui cerca di farsi passare la sbornia. A fine maggio Ancelotti viene accompagnato alla porta, al suo posto viene chiamato Rafa Benitez. Il Real Madrid non ha riconoscenza per nessuno.
Jesé segna al ritorno in campo, contro il Cornellà, in Coppa del Re, poi anche al Siviglia in campionato, ma nel momento topico della stagione si fa ricordare per i motivi sbagliati. Nel derby con l’Atletico Madrid entra a fine primo tempo per l’infortunio di Khedira con il risultato già sul 2-0 e nel secondo tempo la squadra di Simeone dilaga (finirà 4-0). Non passa nemmeno un mese e il Real Madrid è di nuovo nei guai, questa volta con il Villarreal di Marcelino. Jesé entra a meno di 20 minuti dalla fine con il risultato bloccato sull’1-1 e sbaglia un gol con la porta spalancata dopo un’uscita a vuoto del portiere avversario. È il momento in cui il Real Madrid si fa sfuggire la stagione tra le mani. Nella partita successiva perde con l’Athletic Club, poi anche il Clasico al Camp Nou. Il giorno dopo due tifosi lo insultano all’uscita da Valdedebas prendendo a pugni la sua auto. Lui abbassa il finestrino, ha la faccia di chi è appena atterrato dalla luna, e per di più con la stecca di un lecca-lecca in bocca. «Sei un figlio di puttana, devi correre», gli dice uno, lui finalmente capisce la mala parata e si allontana mentre quello gli tira un altro pugno sulla macchina.
Che Jesé sia diventato un problema lo si capisce all’inizio della stagione successiva quando Rafa Benitez dice che non c’è nessun caso Jesé. È impressionante pensare quanti pochi minuti di partita siano bastati per rovesciare la sua situazione. E pensare che la 2015/16 sarebbe la sua migliore stagione realizzativa con la maglia del Real Madrid in campionato (5 gol e 7 assist in poco più di 800 minuti giocati). Nel marzo del 2016 Raul si ferma a parlare con lui durante una visita a Valdebebas, gli dice che lo vede bene, che potrà essere ancora un giocatore importante. Ma in realtà Jesé è ormai quello che viene definito un giocatore da rotazioni. I suoi gol arrivano in partite come: Real Madrid-Levante 3-0, Real Madrid-Celta Vigo 7-1, Real Madrid-Eibar 4-0. Dove sono finiti i titoli sul giocatore da grandi palcoscenici? Gli accostamenti con Cristiano Ronaldo? La gestione Florentino Perez nella sua efficienza è spietata, soprattutto di fronte a un’offerta da 25 milioni di euro. Nell’estate del 2016 Jesé viene ceduto al PSG, la squadra peggiore del mondo dove dimostrare che merita di essere titolare, come dice in un’intervista a Le Parisien all’inizio della stagione.
Proprio il PSG era stata la squadra che aveva dimostrato la sua deprimente normalità. Due partite di cartello nella fase a gironi in cui Jesé era partito titolare senza lasciare traccia. A Parigi trova Unai Emery, che l’aveva già cercato in Spagna, ma per il resto è un disastro. Nella capitale francese non parla con nessuno, non riesce nemmeno a trovare casa, o forse non vuole, fatto sta che per settimane vive in un hotel lussuoso del centro, Le Royal Monceau, che dall’ingresso sembra uno di quei dungeon gotici a cui per qualche motivo i turisti non riescono a resistere. Di lui si parla come di un miliardario eccentrico di cui non si hanno più notizie da giorni. Bruce Wayne depresso nella Wayne Manor. Le Parisien racconta la sua sparizione titolando “Il mistero di Parigi”, Canal + realizza un reportage per cercare di fare chiarezza. Dopo l’esordio incoraggiante contro il Bastia gli viene scoperta un’appendicite che lo tiene fuori un mese, poi alla prima da titolare, contro il Saint-Etienne, viene sostituito dopo poco più di un’ora e lui torna con il broncio in panchina. Tanto basta ad Emery per farlo sparire dal campo. Poco prima di finire nel buco nero dei rimorsi del PSG, però, la mazzata finale. Scrollando le storie di Instagram si accorge di essere stato taggato dalla sua ex, Melody Santana, che lo informa che il bebè che vede in foto, Neizan, è suo figlio. Hashtag: #telocomunico. La successiva prova del DNA conferma, per la gioia della sua nuova compagna, la tronista e frequentatrice assidua del Grande Fratello Vip, Aurah Ruiz.
Jesé prova a fuggire dai suoi problemi tornando a casa, riesce a farsi mandare in prestito al Las Palmas. Alla sua presentazione, allo stadio Gran Canaria, si presentano 9mila persone. Pochi giorni dopo, all’esordio contro il Granada, entra a una ventina di minuti dalla fine e sbaglia un gol facile che sarebbe valso un punto in trasferta. Il Las Palmas naviga in cattive acque e Jesé non riesce ad incidere, nonostante finalmente giochi da titolare. A inizio marzo c’è la partita fatidica contro il Real Madrid e Jesé riveste il doppio ruolo di figlio che ritorna a casa e salvatore della patria. Il Las Palmas da quando è arrivato ha perso tutte e quattro le partite che ha giocato. Prima della partita viene intervistato da Marca, dice che l’infortunio al ginocchio è stato un freno alla sua carriera e alla sua “vita personale”, che da quel momento ha perso tanto. Al Bernabeu va in scena una partita pazza, per un attimo c’è l’illusione che per rimettere tutto a posto bastasse incrociare i flussi. Il Las Palmas rimane in vantaggio per 1-3 fino all’87esimo (segna anche Kevin-Prince Boateng) poi una doppietta di Ronaldo ridesta tutti dal sogno. Nella partita successiva Jesé segna una doppietta contro l’Osasuna ma anche quella è un’illusione. A fine stagione, nonostante la salvezza, il Las Palmas decide di non riscattarlo.
Comincia una dinamica che si ripeterà per molti anni: Jesé che passa l’estate a cercare una destinazione per l’inverno, in transumanza dal PSG. Comincia dallo Stoke City, ma le cose prendono una brutta piega ancora prima di cominciare. Il suo terzo figlio, il primo da Aurah Ruiz, nasce prematuro e ha una grave forma congenita di ipoglicemia che gli impedisce di nutrirsi da solo. Per mesi deve rimanere in ospedale, la madre costretta a rimanere accanto al figlio giorno e notte per alimentarlo con delle delicate procedure mediche. Jesé deve fare avanti e indietro tra Inghilterra e Spagna, con lo Stoke gioca pochissimo. Il calcio dovrebbe essere l’ultimo dei problemi se solo non fosse un calciatore professionista che sta cercando disperatamente di risollevare la sua carriera.
La sua storia con Aurah Ruiz si complica ulteriormente, il rapporto tra la sua vita reale e la sua rappresentazione si ribalta completamente. Continuano ad uscire video di singoli in cui Jesé, anzi Jey-M da quando è diventato solista, ci indica mentre decine di modelle ballano intorno a lui, tra macchine sportive. Baby, voglio una prova, un videino del tuo culo quando vuoi, per vedere se è vero che mi porti a letto, per parcheggiare la mia batmobile nella tua batcaverna. Nel frattempo su Instagram la sua compagna lo accusa pubblicamente di non prendersi cura di suo figlio, di passare più tempo con i suoi amici che con lei, di non esserle fedele. I suoi sfoghi si affastellano nel corso delle settimane, poi vengono ripetuti davanti le telecamere dei reality a cui partecipa. Tutti vedono il vero Jesé in TV e sui cellulari, mentre la sua vita sul campo da calcio è un mistero. Nel dicembre del 2018 un reporter di Cazamariposas, un reality show spagnolo di Mediaset, diffonde la notizia che Jesé ha speso cinquemila euro di televoto pur di eliminarla dal Grande Fratello Vip, forse per farla smettere di parlare. Sullo sfondo la separazione tra i due, la battaglia legale per la custodia del figlio.
Passa un’altra stagione e Jesé deve tornare ad emigrare del PSG. Questa volta non ci riesce. Per metà stagione si allena da solo a Parigi, prova a perdere peso. Il 23 gennaio del 2019 riesce a tornare in campo e sembra già un miracolo. Una settimana dopo rimedia un prestito al Betis, dove ritrova Quique Setién che già l’aveva allenato al Las Palmas. Finalmente riesce a trovare continuità, ma non peso dentro le partite. A nessun club sembra una buona idea accollarsi il suo ingaggio gigantesco di fronte alle sue prestazioni. In estate è di nuovo a Parigi in un loop che lo vede sempre al punto di partenza. Jesé cerca disperatamente una nuova sistemazione, negli ultimi giorni di mercato sembra fatta per un suo passaggio al Nantes che poi sfuma per motivi indecifrabili. Quando sembra ormai rassegnato a passare un’altra stagione da solo a Parigi come un poeta bohémienne gli viene lanciata insperatamente una ciambella di salvataggio: un prestito allo Sporting Lisbona. In realtà lo stanno trascinando in un’altra tempesta.
Il club portoghese è partito malissimo e nemmeno un mese dopo il suo arrivo deve già salutare il suo primo allenatore, Leonel Pontes. Il suo successore, Silas, cerca di dargli fiducia, dice che «non si arriva a giocare nel Real Madrid o nel PSG essendo un calciatore qualunque». Jesé trova finalmente un po’ di continuità, addirittura un gol, ma poi la stagione dello Sporting naufraga. Silas viene esonerato, e al suo posto arriva Ruben Amorim con il piglio di quello che vuole mettere ordine una volta per tutte. Tra le varie decisioni c’è anche quella di mettere fuori definitivamente Jesé dalla lista dei convocati. Il calciatore spagnolo è costretto a tornare a Parigi ancora prima della fine del prestito e una volta arrivato nella capitale francese gli viene conferita la medaglia per la vittoria della Ligue 1 grazie a un singolo minuto giocato contro il Metz alla fine d’agosto dell’anno precedente.
Nel frattempo ha altri due figli da una terza donna, Janira Barm, un’altra che utilizzerà Instagram per accusarlo di non prendersi cura della sua famiglia. La sua vita è talmente un casino che non si capisce più se il calcio gli freghi ancora qualcosa, se cerchi attivamente di trovare una nuova destinazione lontano da Parigi. Alla fine il PSG per disperazione riesce a convincerlo a rescindere il contratto. Rimane senza squadra. Inizia a pubblicare dei video in cui palleggia per convincere chi li guarda che è ancora un calciatore. Non si rende conto che siamo già ben oltre la certificazione del fallimento, siamo alla ricerca della spiegazione. All’inizio del 2020 viene intervistato Enrique Castaño, suo amico e compagno nelle giovanili del Real Madrid, che dice che «la cantera del Real non è la realtà del calcio». Al momento dell’intervista gioca in terza divisione spagnola ma sembra aver trovato la pace. Jesé è invece costretto a simularla davanti alle telecamere.
Nell’estate di quell’anno Marca realizza un documentario su di lui dal titolo emblematico: “Cos’è successo Jesé?”. Ci sono discorsi motivazionali sulla vita, musica appassionante, chiamate strappalacrime con il padre. Soprattutto c’è un fratello maggiore con la testa sulle spalle che sembra molto convinto di averlo rimesso sulla buona strada. Dice di essere sicuro che il miglior Jesé deve ancora arrivare. In cambio il fratello lo convince a farsi patrocinatore di una piccola squadra locale di Las Palmas, il Lomo Blanco. Quando gli consegna la sua maglia ufficiale, bianca come quella del Real Madrid, il momento è straniante. Quand’è che si smette di essere calciatori?
All’inizio del 2021 torna per la seconda volta al Las Palmas, nel frattempo retrocesso in Serie B spagnola. Lui dice di essere arrivato con l’emozione di un bambino; il suo allenatore, Pepe Mel, che è lì per recuperare la fame di essere un buon giocatore. Il primo aprile torna al gol, sembra finalmente libero dal dover dimostrare qualcosa. La stagione successiva è la sua prima di completa, costante titolarità della sua vita. Realizza 11 gol e 6 assist, a volte indossa anche la fascia di capitano, supera un infortunio alla clavicola che rischia di fargli perdere i playoff per la promozione in Liga. Alla fine il Las Palmas perde in semifinale, ma conta davvero qualcosa? Forse sì. Gran Canaria non è ancora il porto d’approdo, più che altro l’Itaca di Ulisse, destinata ad essere abbandonata di nuovo, simbolo di un’irrequietezza incancellabile. Jesé inspiegabilmente si rimette con Aurah Ruiz, le chiede di sposarlo. Una persona che solo pochi mesi prima era riuscito a far condannare per molestie a nove giorni di lavori socialmente utili. Il 13 ottobre del 2021 trapela la notizia che lei ha provato a metterlo sotto con la macchina, che nel tentativo lo ha ferito a un piede. C’è addirittura un video di un uomo non riconoscibile all’orizzonte che zoppica e viene portato a braccio. Jesé smentisce la notizia, mentre sua sorella no, dichiara pubblicamente che è tutto vero.
Nell’estate dello scorso anno è costretto a ripartire. Firma un contratto con l’Ankaragücü, in Turchia. Viene accolto da un tripudio di tifosi in festa. Alla conferenza stampa di presentazione dice di essere stato convinto da Guti, che per un periodo era stato al Fenerbahce. In Turchia sembra non lasciare traccia, di lui non si hanno notizie. Il 13 gennaio scorso rescinde anche questo contratto. Poche settimane dopo, pochi giorni fa, passa a una Sampdoria ultima in classifica e sull’orlo del fallimento. Mancano ancora otto giorni prima che compia 30 anni.