Chiunque segua il basket, anche di sfuggita, ha un’opinione su LaVar Ball. E non un’opinione qualsiasi, ma una solitamente situata alle estremità dello spettro di giudizio. C’è chi detesta la tracotanza delle sue affermazioni, costantemente oltre il piano del ridicolo, e la prepotenza con la quale gestisce ogni situazione che riguarda i suoi figli. C’è chi invece, forse un numero inferiore, apprezza la vena comica di LaVar e gli riconosce una carica rivoluzionaria giusta per quanto a volte espressa usando termini sbagliati.
In pochi hanno invece un’opinione sui suoi figli. C'è magari chi critica il rilascio di Lonzo, lo scarso talento di LiAngelo o la selezione di tiro di LaMelo, ma è davvero difficile farsi un’idea precisa su chi siano realmente i figli di LaVar. La personalità gigantesca e strabordante del padre li ha portati a scegliere un profilo basso, a volte bassissimo, che mal si sposa con le tante critiche piovute addosso alla famiglia Ball. I tre sono cresciuti insieme, attraverso estenuanti uno contro uno nel canestro dietro il garage di casa o giocando sin dalla più tenera età nelle varie squadre allenate dal padre. Nonostante ciò, ognuno dei tre ha una storia personale alle spalle - e la più particolare è quella del Ball minore, che forse è anche il più forte a giocare a basket: LaMelo.
Rimasto solo dopo che sia Lonzo che LiAngelo hanno abbandonato il tetto natio, LaMelo ha dovuto seguire le scelte del padre in un girovagare che lo ha portato ai quattro angoli del mondo, in uno dei più bizzarri percorsi di avvicinamento al Draft degli ultimi anni.
Educazione Lituana
A gennaio a Prienai, meno di 40 chilometri da Kaunas, la temperatura è costantemente sotto lo zero, l’inverno tiepido della California è lontano centinaia di chilometri. LaMelo Ball ha 16 anni ed avrebbe dovuto giocare la sua stagione da junior con la maglia di Chino Hill, la squadra che qualche anno prima infiammò il mondo delle high school quando vinse tutte le 35 partite giocate con uno stile avverso all’ortodossia.
Era l’anno da freshman di LaMelo e i suoi fratelli maggiori Lonzo e LiAngelo erano le stelle della squadra allenata dal padre LaVar. Era la prima esibizione pubblica di un progetto ambizioso quanto controverso, una specie di Jackson Five della palla a spicchi al ritmo di baseball pass e triple da nove metri. Un incantesimo durato il tempo di una stagione, prima che Lonzo prendesse la strada del college a UCLA e successivamente del professionismo.
Per LaMelo la strada era stata già spianata dai due fratelli: chiudere alla grande la carriera a Chino Hill diventando uno dei prospetti migliori della sua classe, accettare la borsa riservata per lui da UCLA sin da quando aveva 13 anni, e raggiungere Lonzo in NBA. Ma dopo un grande anno da sophomore, durante il quale si era divertito a prendere in giro avversari di due o tre anni più vecchi di lui tirando da centrocampo o segnando 92 punti in una singola partita, a fine stagione Chino Hills aveva deciso di cambiare allenatore mandando LaVar su tutte le furie. Dopo aver giocato in estate a Las Vegas contro la SC Supreme di Zion Williamson in un palazzetto strapieno anche di stelle NBA, LaMelo aveva deciso di non tornare per il successivo anno di high school.
La sfida tra due prime scelte assolute?
Mentre si allenava a casa con LaVar, LiAngelo - nel frattempo passato a UCLA come da programmi - venne beccato a rubare un paio di occhiali da sole Louis Vuitton in un negozio di Hangzhou durante la preseason con i Bruins. È a quel punto che LaVar decide di impacchettarli e spedirli nella tundra lituana.
LaMelo ha l’apparecchio, i capelli disordinati e la ricrescita dopo le punte colorate di Chino Hill. È in un paese che non conosce, dove quasi nessuno parla inglese e fa un freddo incredibile. Il Vytautas Prienai fa parte dal 1994 del Lietuvos krepšinio lyga, il campionato nazionale lituano, ma con diversa fortuna rispetto alle corazzate Lietuvos Rytas e Zalgiris Kaunas. È la squadra con lo stadio dalla capienza più limitata, solo 1.500 posti, e l’arrivo di LaMelo è stato visto come l’arrivo del Messia, commercialmente parlando. Nel paesino baltico non era mai passato qualcuno con più di 5 milioni di follower su Instagram e ai dirigenti della squadra non sembra vero di mollare in corsa la Baltic Basketball League - una coppa che racchiude alcune formazioni dei paesi nordeuropei - per associarsi alla Big Baller Brand Challenge, la lega creata ad hoc da LaVar per garantire minutaggio ai suoi figli contro avversari più modesti rispetto a quelli del campionato nazionale.
LaMelo passa da segnare 40 punti nella facile vittoria contro il Sintek Jonava, una squadra del secondo campionato lituano, a finire a secco in pochi minuti sul parquet contro la forte e fisica BC Lietkabelis. Per un adolescente ancora acerbo e abituato a un tipo di gioco istintivo e volatile, la pallacanestro dura e senza fronzoli dev’essere un rebus difficilissimo da risolvere - specie quando non si ha neanche una gran voglia di risolverlo.
Il Coach del Vytautas, Virginijus Šeškus, non ha particolare interesse a spingere LaMelo e LiAngelo a migliorarsi e preferisce godersi il circo di LaVar a distanza di sicurezza, lasciandolo giocare a fare il vice-allenatore nelle partite meno importanti. Alla fine è il modo migliore per accontentare tutti: la famiglia Ball, che può confezionare nuovi episodi del reality show Ball with the Family oltreoceano e creare ulteriore rumore attorno al nome di LaMelo; e il Prienai, che può godersi lo stunt pubblicitario e vendere qualche maglietta in più rispetto ai loro bassi standard. I mesi dei Ball in Lituania non sono però tutte rose e fiori, anzi, e LaMelo è quello che ne risente maggiormente. Invece che usare questo indispensabile periodo di formazione per lavorare sul suo gioco, si trova spesso a doversi confrontare o con un livello troppo difficile o con uno troppo semplice, senza che nessuno di questi possa aiutarlo a migliorare. Senza un coach che ha a cuore il suo sviluppo, senza una reale competizione da affrontare e senza nessun coetaneo accanto con il quale condividere esperienze di crescita, LaMelo in Lituania è solo.
Durante una partita della Big Baller Brand Challenge contro il non irresistibile Sakiai Vytis è particolarmente fuori ritmo, e Šeškus decide di sostituirlo tra lo stupore generale. Tra tutti quelli che erano andati al palazzo a veder LaMelo si alza una voce facilmente riconoscibile, anche perché è una delle poche madrelingua inglese. LaVar da qualche fila dietro la panchina comincia a urlare a Šeškus di rimettere in campo il figlio usando il suo solito colorito intercalare, come un regista che riprende un attore bizzoso. Perché secondo LaVar Šeškus sta andando fuori copione, sta improvvisando quando sa bene che non può farlo. Perché questo è uno spettacolo che va in streaming su Facebook e lo spettacolo è LaMelo, non qualche sconosciuto giocatore baltico.
Una delle migliori partite di LaMelo in Lituania, contro lo Zalgiris Kaunas di Jasikevičius, comprese due triple da distanza siderale.
LaVar è riuscito a gestire i propri figli in aperto conflitto con ogni consiglio scritto su un manuale per crescere uno sportivo professionista, anzi prendendoci gusto ad andare contro tutte le istituzioni che da un secolo definiscono le tappe da seguire. Ma se con Lonzo tutto era filato liscio, quando è arrivato il tempo di LaMelo le idee di LaVar sono diventate troppo eretiche perché il suo terzogenito riuscisse ad avere un’adolescenza normale.
Ritorno a casa
Se Lonzo a un certo punto si è trovato dentro a un reality show, LaMelo ci è cresciuto. Ha avuto le telecamere attorno fin dalla prima adolescenza e ha imparato come sopravvivere dentro una campana di vetro, ma come per tutte le baby star anche per lui è arrivato il momento nel quale ha deluso le aspettative.
Il circo Ball si era bruciato le piazze più importanti del circuito e ha dovuto virare su mercati ancora non battuti, inventandosi nuovi modi per tirare su il tendone. La tappa lituana si è rivelata la peggiore di quelle messe a calendario, sia dal punto di vista promozionale che da quello umano, e i Ball non hanno aspettato neanche la fine del campionato baltico per tornarsene negli States.
In patria LaMelo è diventato la star di un’altra lega ideata dal padre, la Junior Basketball Association, che ovviamente domina vincendo il premio di MVP della manifestazione. Il solo fatto che il logo della JBA sia una stilizzazione di Lonzo come se fosse Jerry West dovrebbe farvi capire immediatamente come questa lega sia solo una passerella per LaMelo (e per LiAngelo, che sopraggiungerà a metà stagione) e l’ennesimo tentativo di boicottare la NCAA, il vero nemico di LaVar.
L’associazione per lo sport collegiale americano è colpevole secondo il patriarca Ball di sfruttare gli studenti/atleti per il proprio tornaconto economico, un’accusa peraltro ben sostenibile e che sta trovando sempre più eco negli ultimi anni. Ma nessuno l’ha mai espressa con la stessa vocalità di LaVar, o almeno nessuno che avesse anche dei figli in odore di borsa di studio.
Dopo che la disavventura di LiAngelo chiude le porte di UCLA alla famiglia Ball, LaVar prova a convincere altre powerhouse del basket collegiale a dare una possibilità a LaMelo. Alla fine rimane pur sempre uno dei prospetti più intriganti della sua classe e garantisce immediata visibilità (e quindi soldi, cosa che le università tendono a gradire). Rispondono tutti picche, anzi in molti non rispondono proprio, anche perché le partite giocate in Lituania lo rendono a tutti gli effetti un professionista e quindi ineleggibile.
Tale status condiziona anche il suo anno da senior in High School, che LaMelo spende in una Prep School dell’Ohio, la SPIRE Academy. LaMelo detta i ritmi, sempre sulle marce alte, di una squadra piena di talento - come ad esempio il futuro Spartan Rocket Watts e il Top-25 Isaiah Jackson - di un inizio di stagione da 17 vittorie e zero sconfitte. Ma nonostante i ragguardevoli risultati, SPIRE non viene considerata tra le migliori squadre del paese. Le altre Prep School, in particolare Oak Hill Academy e La Lumiere, si rifiutano di sfidarla per via della eleggibilità di LaMelo, nonostante la famiglia Ball ancora oggi sostenga che non ha ricevuto compensi da parte del Vytautas.
I problemi burocratici e le consuete incursioni del Big Baller Brand nella gestione della squadra nella quale gioca LaMelo fanno passare in secondo piano un’ottima stagione del più piccolo dei Ball, che chiude il suo ultimo anno da liceale sfiorando una tripla doppia di media. La stagione a SPIRE lo aiuta a riposizionarsi sulla mappa degli scout e, anche se le speranze di vederlo giocare in NCAA sono ridotte a un lumicino, nessuno dubita che il suo nome sarà fatto tra i primi al Draft del 2020.
In molti ritengono che la scelta più sensata sia spendere un anno in G-League, che ha appena alzato il tetto salariale per i giocatori che arrivano direttamente dall’high school a 125.000 dollari. Scendere in campo sul terreno statunitense darebbe una possibilità agli scout di valutarlo in modo continuativo per la prima volta in carriera. Uno dei problemi creati dal continuo nomadismo di LaMelo è la relativa scarsità di materiale video su di lui, specie contro avversari di livello. Non avendo mai giocato in NCAA e in EYBL, la principale lega di AAU, rimangono solo le statistiche messe su a SPIRE Academy, non certo le più attendibili. Un anno in G-League sarebbe un eccellente allenamento in vista del salto nella categoria maggiore. LaVar però ha ovviamente altri piani.
Down-under
L’idea infatti è di mettere LaMelo su un volo intercontinentale per andare dall’altra parte del globo, verso il campionato professionistico australiano. Come altri prospetti che hanno saltato il college - Terrance Ferguson, Brian Bowen II e R.J. Hampton su tutti - anche LaMelo opta per la NBL come vetrina del proprio talento. E in maniera simile a quanto fatto in Lituania sceglie una franchigia di seconda fascia, gli Illawarra Hawks, rispetto alle più blasonate Perth o Melbourne.
Rispetto a Prienai, Wollongong però è un paradiso in terra. Oceano, lunghe spiagge sabbiose, un clima californiano e una squadra piena di veterani che lo prendono immediatamente sotto la loro ala protettrice. Insieme a lui a dividersi le responsabilità con la palla in mano c’è Aaron Brooks, un veterano NBA dove ha giocato per dieci stagioni con le maglie degli Houston Rockets e Chicago Bulls tra le tante, che lo ha aiutato ad introdursi alla pallacanestro Aussie prima di rompersi il tendine d’Achille verso fine ottobre. Brooks è un playmaker compatto, rapido e a cui l’età non ha tolto la voglia di prendersi ogni tiro possibile, ma anche lui si fa conquistare dal talento assolutamente unico del figlio di LaVar.
La prima partita ufficiale di LaMelo contro i Brisbane Bullets è vista in streaming da più di un milione di spettatori statunitensi, senza contare ovviamente il pubblico australiano. A metà secondo quarto trotterella con la palla verso la metà avversaria quando gli si avvicina il diretto marcatore, che lo spinge sulla linea laterale sinistra. LaMelo accelera il palleggio con la mano sinistra per forzare la marcatura ma immediatamente dopo si arresta con un rapidissimo cambio di mano, passando la palla dietro la schiena mentre il difensore scivola via dall’inquadratura. A quel punto Ball si dirige verso il canestro ma miracolosamente l’avversario torna nuovamente in piedi e si appresta a fermarlo, quando finisce nuovamente a terra dopo un altro crossover dietro la schiena di Melo, che lo brucia poi con un’esitazione prima di scaricare una palla dorata al lungo, che sbaglia la più semplice delle schiacciate.
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Nella stessa partita LaMelo avrà bisogno di 16 tiri per mettere insieme 12 punti, ai quali vanno aggiunti 8 rimbalzi, 4 assist e 4 recuperi, il tutto senza commettere palle perse. È solo la prima partita, ma è un microcosmo dell’esperienza down-under di LaMelo e del suo particolarissimo bagaglio tecnico.
E’ un giocatore elettrico, che si muove a una velocità diversa rispetto a tutti gli altri in campo. Non più rapida o più lenta, semplicemente diversa. A volte trova soluzioni che sembrano arrivare da una dimensione parallela, per come anticipano il regolare svolgimento dell’azione, mentre altre volte esce dalla partita, sbagliando le scelte per superficialità e scarsa aggressività.
Nelle quattro partite di pre-season in Australia LaMelo viaggia a 24.2 punti, 8.4 rimbalzi, 5.1 assist e 2.9 rubate di media, tirando con il 47% da tre e mantenendo un’eccellente 66.8 di percentuale reale. Le percentuali scenderanno nel corso della stagione arrivando al non promettente 25% da tre - uno dei suoi maggiori limiti entrando al Draft - e un brutale 37% dal campo, ma continuerà ad illuminare le partite con invenzioni che raramente si vedono anche in NBA.
Gli Illawarra Hawks sono la squadra con il bacino economico e di pubblico più piccolo dell’intera NBL. Non vincono un titolo da quando è nato LaMelo e anche questa stagione, nonostante l’interesse montato attorno al figlio di LaVar, le cose non sono andate molto meglio in classifica, anche perché un infortunio mette fine alla sua esperienza prima ancora che arrivi il coronavirus. Delle 12 partite giocate da Melo, gli Hawks ne vincono solo tre, finendo la stagione in fondo alla classifica.
Poco male per LaMelo, che può continuare la riabilitazione al caldo della costa sud, in un luogo che sente per la prima volta come la sua casa. In Australia vive con Jermaine Jackson, il manager e allenatore di SPIRE Institute, che in qualche modo ha sostituito la figura di LaVar come suo mentore. Trasferirsi dall’altra parte del mondo ha rappresentato anche un modo per simbolicamente lasciare il nucleo natio e crescere come persona. R.J. Hampton - un’altro giovane che ha scelto l’Australia al posto del college - dice che nessuno conosce veramente LaMelo, nonostante la sua vita sia stata filmata e embeddata sin dalla più tenera età.
E in effetti nelle ultime apparizioni nel reality show della famiglia Ball, LaMelo si trascina svogliato nell’inquadratura, per puro dovere di firma. Come Lonzo, è arrivato anche per lui quel momento di uscire dalla comfort zone ed è, come dicono quelli bravi, lì che inizia la vita. E se la Lituania era stata un bagno ghiacciato, Wollongong è una brezza primaverile, il luogo adatto per mettere distanza tra lui e il mondo. Se fossimo nel 1968 sarebbe Goa, se fossimo su Disney Channel il rehab; è un luogo protetto dove può dedicarsi a quello che gli da gioia, ovvero giocare a basket.
Caotico buono
Perché la prima sensazione che si percepisce guardando LaMelo con un pallone in mano è quella gioia fanciullesca e sfrontata di chi ancora vede il basket come un gioco invece che una competizione. In effetti ad Illawarra ha giocato per la prima volta in una squadra che potrebbe assomigliare a quella dove finirà il prossimo anno in NBA. Diversa dal Cirque du Soleil di Chino Hill o dagli showcase estivi, che non hanno mai costruito attorno a LaMelo una vera struttura dentro la quale maturare come agonista, l’esperienza australiana ha costretto il neo 18enne a prendersi le sue responsabilità in campo e fuori.
Com’era facile prevedere è stata un processo complicato, e le poche partite giocate rendono difficile la valutazione in fase di Draft, specie in una classe che non ha ancora definito le proprie gerarchie e che sarà irrimediabilmente compromessa dalla pandemia che ci ha investiti.
In mezzo a tutto questo caos, LaMelo però ha costruito una candidatura molto forte per la prima scelta assoluta, soprattutto se le palline favoriranno una squadra alla ricerca di un talento purissimo al quale va però garantito il tempo e il modo di imparare dai propri sbagli. Se infatti dovessimo metterlo su un piano cartesiano, LaMelo si inserirebbe perfettamente nel quadrante Chaotic Good.
Ogni gesto che compie sul campo da basket è un tentativo di rompere lo schema prestabilito con il quale si stava giocando in precedenza, ogni scelta uno sfoggio di creatività pittorica. LaMelo ha una sensibilità per il gioco che non ha paragoni in questo Draft e pochi in NBA: il suo IQ cestistico lo pone in una categoria a parte quando si tratta di valutare le potenzialità dei giocatori da scegliere in Lottery.
Un iniziatore primario che supera i due metri di altezza ed è dotato di una tale fluidità e coordinazione occhio-mano così raffinata è il profilo più raro e di conseguenza ricercato oggi giorno. In questo momento LaMelo non è ancora un realizzatore implacabile su tre livelli che ogni attacco NBA ad alta efficienza richiede, ma la sua creatività visionaria con la palla e la abilità nel leggere lo svolgimento dell’azione con un paio di passaggi in anticipo lo rendono da subito adatto a condurre una squadra tra i professionisti.
LaMelo è uno dei migliori passatori mai visti a questo livello: la semplicità con la quale caracolla nella metà campo d’attacco e dal nulla recapita la palla a un compagno che non sapeva neanche di essere smarcato con un passaggio a una mano dal palleggio non ha eguali, non solo rispetto ai pari età, ma a molti professionisti in NBA. Gli angoli con cui fa uscire la palla nei giochi a due, sia verso il rollante che sul lato debole, sono già ora sofisticati e inediti.
I palloni escono dalle mani con un tempismo e un giro davvero unico.
Le sventagliate da quarterback per innescare i suoi ricevitori a fondo campo fanno invidia a Pat Mahomes, con il quale condivide il parrucchiere di fiducia. La precisione e l’accuratezza in movimento gli permettono di raggiungere qualsiasi bersaglio in qualsiasi momento, mettendo costantemente sotto pressione la difesa che deve adattarsi di conseguenza.
Non c’è un passaggio che Ball non sia in grado e che abbia paura di eseguire. L’audacia con la quale gioca è la sua più grande qualità e allo stesso tempo il suo maggior limite. Spesso l’istinto con il quale gioca prende il sopravvento, facendogli prendere scelte frettolose e a bassa percentuale, innamorandosi troppo del suo tiro da fuori e delle sue doti in isolamento.
Per rischiare così tanti passaggi ad altissimo coefficiente di difficoltà, LaMelo ha un rapporto assist/turnover élite (2.75).
Le basse percentuali con le quali ha concluso la sua stagione in Australia sono il campanello d’allarme principale sul suo potenziale al livello successivo, dove deve dimostrare di poter essere un finalizzatore accettabile per sbloccare il resto del suo gioco. In particolare la sua capacità nel tirare dal palleggio diventerà sempre più importante per renderlo inarrestabile nelle situazioni di pick and roll ma, nonostante si alleni sulle conclusioni dalla lunghissima distanza sin da quando giocava nel campo dietro casa con i fratelli maggiori, non ha ancora perfezionato il rilascio.
Le basse percentuali sono dovute alle sue scelte di tiro, spesso direttamente dal palleggio: la tipologia più difficile e più richiesta. Il tocco è di alto livello, la meccanica decisamente no.
La sua meccanica non è solida, con il pallone che parte ancora dal petto come se non fosse cresciuta insieme al resto del suo corpo. Soprattutto soffre di scarso equilibrio e conseguente elevazione sul suo jumper, che lo porta a rilasci poco ortodossi e a conclusioni forzate. Esattamente come Lonzo, anche LaMelo negli anni ha sviluppato una memoria muscolare sbagliata, che ancora oggi compromette il suo movimento di tiro, eccessivamente caricato dalle braccia e troppo poco supportato dal lavoro di piedi ed anche. Però la sensibilità di tocco su tiri liberi e floater e in qualche modo l’esperienza di questa stagione di Lonzo - che ha trasformato la sua meccanica diventando in un’estate un tiratore da tre sopra media - è un indicatore positivo in questo senso.
La squadra che sceglierà LaMelo dovrà investire molto sul suo sviluppo fisico, specie nella forza funzionale, senza compromettere la sua elasticità. Ma soprattutto dovrà lasciarlo libero di inventare senza imbrigliarlo in un sistema codificato in base a regole tattiche superate e che non si adattano al suo profilo tecnico. In una lega che valuta l'intelligenza cestistica come una qualità imprescindibile per sbloccare il massimo potenziale di ogni singolo giocatore, la combinazione di taglia fisica, sensibilità con il pallone e cristalline capacità di lettura gli darà la possibilità di diventare uno di quei talenti in grado di definire le direzioni future del basket NBA.
Senza essere più il figlio di LaVar o il fratello di Lonzo, ma finalmente solo LaMelo.