Da sempre simbolo dell'italianità, i gesti dei calciatori della Nazionale italiana in questi Europei stanno diventando un meme, ma anche un simbolo di unità nazionale, intorno a una squadra che ci sta facendo divertire. Prendendo spunto dal Dizionario dei gesti italiani di Bruno Munari abbiamo raccolto tutta questa comunicazione non verbale, provando a spiegarne il significato.
Venite a vedere che è successo (Marco Verratti)
Le mani al volto sorridendo di incredulità, come di fronte a un errore macroscopico di qualcuno di cui si è vittima, come di fronte all’ingiustizia stessa di un destino che ci bersaglia. Il sarcasmo di chi ride come meccanismo di difesa e offesa: perché se rido significa che non puoi farmi niente, ma sto ridendo di te e della tua ostinata stupidità. Si ride quando non si può fare niente, ma si è sicuri di avere ragione: che è come si sentono gli italiani oggi. Le mani alla bocca, al tempo stesso, comunicano una disgrazia: «Oh mio dio, venite a vedere cosa è successo». In questo caso è “successo” che l’arbitro ha fischiato il primo fallo della partita contro Marco Verratti, che non è d’accordo.
Quasi (Domenico Berardi)
Altra versione delle mani in faccia, in questo caso servono a rammaricarsi per aver mancato di poco una giocata sensazionale, come un grande gol.
Cosa ho combinato (Domenico Berardi)
Le mani in testa, sono una forma di gesto solo apparentemente simile alle mani in faccia. Se nelle mani in faccia si incolpa il fato cinico e baro, nelle mani in testa c'è pura autocommiserazione. «Mammia mia cosa ho combinato» sembra dire Berardi, dopo essersi divorato un gol.
Maledizione (Nicolò Barella)
La mano che si stringe a pugno e poi si dirige verso la bocca che la morde. L'italiano vuole trattenere la sua rabbia e lo fa sfogandosi contro il proprio corpo. Autoinfliggersi dolore o perché si è fatto qualcosa di sbagliato o per non prendersela con qualcuno (anche se in quel caso la mano morsa è aperta).
Ma che cosa stai facendo? (Nicolò Barella)
Questo spettacolare esempio offertoci da Nicolò Barella è definito mano a pigna o anche mano a tulipano (in questo caso quindi è una DOPPIA mano a pigna). Lo si utilizza per chiedere conto di qualcosa all’interlocutore, ma molto più spesso per farlo passare per pazzo, per dirgli in maniera retorica: “Ma che cosa stai facendo?”. Reso celebre a livello globale da almeno due meme (quello di Messi che si esibisce nella mano a pigna, e nella wave di meme sugli italiani che fanno cose) e da un’emoji, la mano a pigna è l’italianità fatto gesto, la pizza margherita del nostro linguaggio del corpo. In questo Europeo ci è tornato molto utile in un’altra nostra specialità: far sentire in colpa l’arbitro passando da perseguitati. Aiutano, in questo senso, anche espressioni di disperazione e sgomento.
E io che ho fatto? (Ciro Immobile)
Non siamo mai colpevoli di niente, lo sappiamo. E allora la mano a pigna assume un’altra sfumatura, quando è diretta verso se stessi e associata a uno sguardo incredulo incorniciato da una bocca i cui angoli sono rivolti con sdegno verso il basso. E io che ho fatto? Si chiede in questo modo Immobile, che deve essere stato scambiato per qualcun altro.
Ce l’hai con me? (Nicolò Barella)
Sempre mano a becco, ma con una sfumatura di significato diverso, più di incomprensione sincera e senza connotazioni autocommiserative. Tipo: «Ma che stai dicendo?».
La lacrima (tifoso)
Si definisce “lacrima” l’atto di versare lacrime, né per commozione, né per reale pena, ma per una specie di tristezza preventiva nell’immaginare che stia per succedere qualcosa di brutto - e immaginandola, quindi, scongiurarla. La lacrima è di solito verbale, orale o scritta: consiste in complimenti sperticati all’avversario prima della competizione (es. «Complimenti alla Spagna per il bel gioco mostrato e per la meritata finale»). In questo caso il tifoso italiano, all’inizio dei tempi supplementari, si esibisce in una spettacolare lacrima letterale che maledice la lotteria dei rigori spagnola. Le lacrime rappresentano quindi una specie di sacrificio rituale, di malocchio gettato sugli avversari.
Non vi sento (Federico Chiesa)
Ci si porta la mano all’orecchio col palmo aperto, poi si guarda negli occhi qualcuno per fargli notare di non aver capito bene, «Non ti ho sentito, scusami, puoi ripetere?». La mano aperta aguzza l’orecchio, amplifica l’acustica. In questo caso Federico Chiesa offre un’interpretazione sarcastica del gesto, chiedendo forse agli italiani di ripetergli meglio la loro gioia dopo il gol.
Ma vattene (Federico Chiesa)
Il braccio alzato e oscillato in verticale serve per dire a qualcuno di andarsene, in senso figurato. Vuole significare «hai torto» o anche «che vuoi dalla vita mia» o «lasciami in pace».
Va bene va (Giorgio Chiellini)
Il braccio diretto dall’alto verso il basso facendo oscillare il polso nello stesso verso, invece, è un segno di resa di chi ha capito che non può farci più nulla ma non vuole comunque perdere l’occasione per dimostrare il suo dissenso in maniera plateale. Per una traduzione verbale efficace bisognerebbe usare il pugliese: “ma vattinn”.
Pagare (Giorgio Chiellini)
La mano viene chiusa e agitata, mentre si strofinano indice e pollice. Si usa per chiedere a qualcuno se ha dei soldi, o per indicare il fatto che qualcosa è costoso, o, ancora, per significare che qualcuno ha pagato, che è stata una questione di soldi. È proprio quest’ultimo il significato espresso da Chiellini.
Ma lo sai chi sono io? (Leonardo Bonucci)
Sguardo spiritato, occhi di fuoco che ti fissano increduli e feroci e se potessero parlare direbbero: «Ma lo sai chi sono io?». Non c’è sentimento più italiano di questo, giustificato (come in questo caso) o meno. L’idea che qualcuno possa vietare qualcosa a un italiano è semplicemente inconcepibile, almeno per chi fa parte dell’élite (quasi tutti). Poi però, quando il privilegio viene confermato, gli italiani si aprono in un bel sorriso, e abbracciano l’umile buttafuori dai capelli rosa che gli stava bloccando l’accesso al privé, perché in fondo noi italiani siamo anche amici di tutti, ci mancherebbe altro.
Sei carino, ma stanotte è la nostra notte (Giorgio Chiellini)
Il buffetto è affettuoso, paternalista, paraculo. Nella sua versione ideale è il pizzicotto, quello che usano le amiche della nonna quando ti rivedono dopo anni. Tu non ti ricordi di loro, ma loro si ricordano di te. Ti hanno comprato gelati, accudito nei caldi pomeriggi d’estate. Ma il buffetto ha tante sfumature. C’è quello a mano aperta, appena appoggiato, di solito fatto di due colpetti. È la versione arrogante, del «sì, sì, sei proprio bravo, ma adesso ricordati chi comanda qui». C’è quello sopra la testa, il pat-pat che può servire a rimetterti a posto. L'altra sera abbiamo scoperto la versione col pugno chiuso, la versione di Chiellini, quasi volesse bussare delicatamente sulla faccia di Jordi Alba. Il suo significato? «Sei carino, ma stanotte è la nostra notte».
Ma dai (Giovanni Di Lorenzo)
Gesto dai mille significati, è innato negli italiani come la pasta al dente o la convinzione di essere i migliori (su Tik-tok un italiano è diventato famosissimo solo ripetendolo in maniera spiritosa). Può voler dire tutto e il contrario di tutto, alcune possibili traduzioni: «doveva andare così», «vabbè allora fai tutto te», «cosa mi rappresenta questo».
Ma guarda questo (Domenico Berardi)
Gli italiani sono allergici alle punizioni, ogni multa o cartellino giallo è ingiusto. Quando arriva una sanzione è il potere che sta colpendo me, povero cristo. Se le braccia larghe vogliono dire un milione di cose, le braccia larghe con le spalle alzate hanno un significato puramente fatalista. Facendole ci si guarda intorno alla ricerca di complicità, tutti devono essere dalla mia parte mentre penso «ma guarda questo stronzo che se la prende solo con me mentre tutti gli altri infrangono le regole molto più di me».
Vieni a papà (Donnarumma)
La “Vieni a papà” è la versione italiana del mansplaining, il massimo del paternalismo, potremo definirlo il papàsplaining. Nell’eterno conflitto di Edipo, è il modo per ricordare la propria superiorità. La mano si stringe a cucchiaio sulla faccia dell’altro, lo sguardo è misericordioso ma in realtà sta dicendo «vediamo che sai fare» e «comunque io sono meglio».
Che stai facendo? - Cosa posso fare più di così? (Roberto Mancini - Federico Chiesa)
Le mani aperte rivolte in avanti con le braccia distese verso il basso sono un segno inequivocabile di frustrazione verso qualcosa che non stiamo ottenendo dal nostro interlocutore. D’altra parte, sono un gesto letteralmente respingente, come se si usasse il busto per opporsi alla persona con cui si parla, per farle capire che non la sta facendo giusta. Quasi lo stesso identico linguaggio del corpo, però, può essere usata per esprimere un significato opposto: cosa posso fare più di così? Sembra chiedere Federico Chiesa con la solita maschera da teatro greco sulla faccia. A volte basta cambiare di poco l’angolatura del gomito o l’angolo a cui è piegata la schiena per rispondere.
Ahia (Gianluigi Donnarumma)
La sofferenza, il dolore, il dispiacere, l’angoscia, la tristezza, l’afflizione, la desolazione sono tutti sentimenti che possono tornarti incredibilmente utili in un finale di partita se li sai mettere in scena in maniera credibile. L’espressione contrita di Donnarumma, la bocca serrata quasi nel pianto, in questo senso sono solo il primo passo: l’aspetto più importante, come noterete solo in un secondo momento, è quello di nascondere il punto dolorante con le mani o con altre contorsioni del corpo. Quella di tenersi il dito in una mano è uno dei gesti più classici, come quando ci schiacciamo un dito con un martello mentre siamo intenti ad attaccare un quadro.