Si fa presto a gridare al “falso nove” ma in realtà è difficile capire da una pura e semplice distinta di nomi, o dalle sole caratteristiche fisiche dei calciatori che occuperanno la posizione di attaccante centrale, se un giocatore si muoverà in campo come un vero nove o come un falso nove. Non basta che un determinato centravanti sia alto meno di un metro e novanta, o che venga utilizzato per la prima volta nella sua carriera da centravanti, fuori dal suo ruolo naturale, per dire che si tratta di un falso nove. Il falso nueve, secondo la dicitura spagnola, perché è quella scuola tattica che ne rivendica i natali, è un ruolo con compiti e movimenti estremamente codificati.
Origine del ruolo e del termine
La versione codificata e moderna del falso nueve è apparsa per la prima volta al Bernabeu, durante il Clásico di ritorno tra Real Madrid e Barcellona, il 2 maggio del 2009. Quella volta il Clásico cadeva tra le due semifinali di andata e ritorno di Champions League, e per questo si pensava che Guardiola preferisse fare turnover, soprattutto alla luce dello 0-0 al quale il Barcellona fu costretto dal Chelsea al Camp Nou. Invece non solo Guardiola schierò i titolari, ma portò in campo una novità tattica destinata a fare storia.
Pep invertì la posizione di Eto’o e Messi, e istruì l’argentino nel ricercare, con l’aiuto di Xavi e Iniesta, la costante superiorità numerica nei confronti di Lassana Diarra e Gago. Messi lasciava libera la posizione del numero nove, e si rendeva disponibile per le mezzali quando queste entravano in possesso. Anche i movimenti del falso nueve vanno imparati e non sono semplici, soprattutto quando si è impiegati solo per una volta e solo in caso di emergenza in quella posizione e con quella funzione, ma questo discorso non vale per Messi: secondo il racconto fatto da Guillem Balague in “Pep Guardiola. Un altro modo di vincere” (Libreria dello Sport, 2013), Guardiola convocò Messi al centro sportivo del Barcellona solo la sera prima della partita per discutere i dettagli dei suoi nuovi compiti. Il giorno dopo, Messi sembrava aver giocato in quel ruolo da quando era nato.
Ricevuto il pallone tra le linee, Messi poteva girarsi e puntare la difesa a tutta velocità. Per Cannavaro e Metzelder - i centrali impiegati da Juande Ramos quella sera - era praticamente impossibile da fermare in quelle condizioni. E se uno dei difensori provava a uscire dalla linea, per impedire a Messi di girarsi dopo la ricezione, lo spazio che creava alle proprie spalle veniva immediatamente attaccato da un taglio di Henry o di Eto’o. Fabio Cannavaro, che due settimane dopo annunciò il suo passaggio alla Juventus perché il suo contratto con il Real non fu rinnovato, qualche tempo dopo dichiarò che quella partita fu per lui un vero incubo. Finì 2-6 per i blaugrana.
Da quel giorno Messi-il-falso-nueve fece danni in giro per l’Europa e qualche tempo dopo Guardiola coniò la sua massima più famosa: «Non abbiamo bisogno di centravanti, il nostro centravanti è lo spazio». Altisonante magari, forse persino pretenzioso, ma l’affermazione di Guardiola definisce il ruolo del falso nove nella sua essenza: di fatto la porzione di campo solitamente occupata dal numero nove è lasciata libera, cosicché essa possa essere attaccata successivamente e da giocatori diversi di volta in volta.
Gli allenatori che affrontarono Messi e il Barcellona in quel periodo cercarono di volta in volta soluzioni differenti al falso nueve: Mourinho, nel 2011, piazzò un difensore centrale, Pepe, a schermo davanti alla difesa e riuscì a portare a casa lo 0-0. Allegri quando era al Milan, contro il Barcellona che non era già più di Guardiola nella Champions League 2012/13, negò a Messi le ricezioni davanti alla difesa tenendo le linee vicine e strette.
Ovviamente la versione di Guardiola del falso nueve non fu la prima in assoluto a comparire su un campo da calcio - la storia della tattica è in qualche modo circolare, certe soluzioni ritornano di moda semplicemente perché si dimentica come affrontarle - e prima di Messi molti centravanti hanno interpretato il ruolo in maniera originale. A cominciare dall'austriaco Matthias Sindelar, così fluido nel gioco e fisicamente lontano dallo stereotipo del centravanti classico da essere soprannominato "carta velina". Secondo molti, però, il padre del falso nove è stato Nandor Hidegkuti, una delle stelle della Grande Ungheria che demolì l’Inghilterra a Wembley (3-6) nel novembre del 1953, ma in realtà Hidegkuti era un’ala destra, impiegata in una posizione più centrale superata la soglia dei trent’anni nel tentativo di allungarne la carriera. La maglia numero 9 capitò sulle sue spalle perché gli ungheresi avevano una numerazione particolare (da destra a sinistra) e Hidegkuti era il terzo uomo nella linea d’attacco da cinque. Come conferma Jonathan Wilson, nel suo La Piramide Rovesciata, Hidegkuti era "nel caso in cui si voglia utilizzare un termine moderno, semplicemente un centrocampista offensivo".
Al di là delle speculazioni, c’era una sostanza tattica nella scelta di impiegare Hidegkuti fuori dalle consuete zone di utilizzo del centravanti: all’epoca il sistema più in voga era il WM, una sorta di 3-2-2-3 secondo la convenzione oggi in voga, nel quale la punta centrale nella ‘W’ era costretta a vedersela con i centrali difensivi avversari: quindi solitamente si sceglieva per il ruolo un uomo potente, fisicamente strutturato, per sostenere i duelli individuali. L’Ungheria non aveva nelle proprie fila un attaccante con simili caratteristiche, così il suo allenatore pensò di invertire la W, trasformando il modulo in MM o 3-2-3-2: Hidegkuti era impiegato nella posizione che oggi definiremmo di trequartista dietro alle due punte.
La marcatura di Hidegkuti pose grossi problemi all’Inghilterra in quella partita, e fece di più nel rematch, sei mesi dopo a Budapest (7-1). La Squadra d’Oro di Hidegkuti si fermò solo al cospetto della Germania Ovest ad un passo dal titolo mondiale. Nelle parole che Ferenc Puskas spese per descrivere il compagno Hidegkuti riecheggiava la fenomenologia del falso nueve: “Era bravissimo a farsi trovare libero per ricevere il pallone; portare fuori posizione il centrale difensivo; colpire successivamente con un passaggio filtrante o con una corsa nello spazio per andare a segnare”.
Le ambiguità del falso nove
Un esempio più vicino a Messi e Guardiola di falso nove viene dal calcio italiano e dall'utilizzo di Spalletti -dal dicembre 2005, quando per la partita della Roma contro la Sampdoria non aveva praticamente alternative a disposizione - di un trequartista come Francesco Totti come unica punta, con lo spazio che lasciava libero che veniva riempito da centrocampisti incursori come Simone Perrotta; lo stesso Totti che in una fase di successiva di carriera è finito per interpretare il ruolo di centravanti "veramente", anche se pur sempre a suo modo, attaccando l'area e muovendosi negli spazi in profondità. Se lo stesso giocatore, quindi, può giocare in momenti diversi, a seconda delle richieste del suo allenatore, come centravanti atipico e vero e proprio falso nove, nel calcio moderno ci sono stati anche moltissimi centravanti capaci di abbassarsi a giocare con il centrocampo (Cantona è un altro esempio di attaccante atipico), pur non rinunciando a giocare da centravanti tradizionale.
Parliamo di un termine usato ambiguamente e spesso abusato: per fare un esempio recente basta pensare alla recente amichevole dell’Italia di Roberto Mancini nella UEFA Nations League, a Chorzów contro la Polonia, in cui Bernardeschi è stato schierato al centro dell’attacco nel 4-3-3. L’associazione di un giocatore di solito impiegato sull'esterno o sulla trequarti, nella casella del centravanti, ha portato all'immediata identificazione con il ruolo di falso nove. Mancini, però, aveva optato per un assetto fluido nel quale i tre attaccanti andavano a occupare la posizione del centravanti a turno e Bernardeschi lo ha fatto più spesso di Insigne e Chiesa, con compiti da numero nove vero e proprio.
Bernardeschi ha attaccato la profondità, prima di tutto per la volontà di ricevere un pallone per sé oltre la linea dei difensori polacchi, ma anche nel tentativo di creare spazi davanti alla difesa per le ricezioni dei compagni. Quando l’azione offensiva aveva un sviluppo lungo i lati dell’area di rigore, il primo pensiero di Bernardeschi era quello di riempire l’area tagliando verso il primo palo. Gli unici movimenti che ha fatto per portare un centrale fuori posizione sono stati quelli interno-esterno, comunque diretti verso la linea di fondo. Con Biraghi che si alzava ad inizio azione, Insigne che stringeva la propria posizione, Barella che si posizionava su una linea differente, più alta, rispetto a Jorginho e Verratti, per Bernardeschi era praticamente impossibile guadagnare spazi sulla trequarti, anche volendo.
Certo, Bernardeschi si è mosso molto sul campo, ha chiesto spesso palla tra i piedi ai registi o addirittura ai difensori, abbassandosi di molto dalla sua posizione originaria. Ma nel far questo ha assecondato la sua indole da ala, ha dato un’interpretazione del ruolo secondo le sue caratteristiche, e talvolta ha fatto confusione su compiti che non è abituato a svolgere con continuità. La disabitudine al ruolo crea un cattivo nove, al massimo, non certo un falso nove.
L'anomalia Firmino
Dobbiamo allora concludere che il falso nove sia stata un’esclusiva di pochi a parte Lionel Messi? È vero che trovare un falso nove al giorno d’oggi, considerati i limiti imposti dalla sua corretta definizione e la fluidità e l'intensità con cui giocano la propria fase offensiva molte squadre, parlare di falso nove è un affare complicato. Ci sono però dei centravanti che per caratteristiche e funzioni nella propria squadra ci si avvicinano parecchio, e uno degli esempi più prossimi è Roberto Firmino.
Firmino inizia l’azione offensiva solitamente da una posizione larga sulla fascia destra, questo perché in fase di non possesso Firmino scala sulla linea dei centrocampisti e il Liverpool lascia Salah nella posizione di attaccante. Il sacrificio in copertura di Firmino preserva le energie di Salah, che possono essere sfruttate nel caso di una ripartenza in transizione. Nelle fasi di attacco statico, Firmino svaria sulla trequarti campo, per trovare uno spazio a cavallo della linea dei centrocampisti avversari. Si muove incontro al proprio portatore di palla, per invogliare quest’ultimo a consegnargli il pallone, e per costringere un centrocampista o un difensore ad uscire dalla linea per aggredirlo.
Nell’immagine, Firmino riceve spalle alla porta, e riesce poi a girarsi dopo il primo dribbling. Mané e Salah, quasi automaticamente, stringono lo spazio al centro della difesa che un attaccante avrebbe dovuto occupare. Il triangolo dei centrocampisti, che si allarga intorno all’attaccante brasiliano, crea le condizioni favorevoli per il suo gioco.
Dal 2009 il calcio si è evoluto notevolmente: i movimenti di un centravanti a venire incontro per creare ulteriori linee di passaggio che colleghino attacco e centrocampo sono diventati una consuetudine, così come l'attacco della profondità centrale anche da parte di esterni è ormai una necessità di squadre che vogliano variare il proprio gioco. Un esempio in questo senso lo troviamo nel ruolo svolto da Callejon nel Napoli di Sarri, in cui tra l'altro l'etichetta di falso nueve è stata associata erroneamente a Dries Mertens, quando Sarri schierò il belga in attacco dopo il primo, grave infortunio di Arek Milik. Mertens divenne letale solo quando imparò i movimenti del vero nove, che erano l'unica cosa necessaria a quel Napoli per aprire le difese e per creare pericoli. Tra Mertens e Insigne, semmai, è il secondo ad avere nelle proprie caratteristiche quelle del falso nove, ed è diventato più chiaro oggi, cioè da quando Ancelotti li sta utilizzando vicini come coppia di attaccanti.
Forse il discrimine più semplice tra un nove e un falso nove sta proprio in un aspetto cruciale: quello falso lascia libero da principio lo spazio presidiato dai centrali difensivi, una zona che può poi attaccare successivamente, semmai; il nove moderno, invece, parte da quella posizione per poi muoversi all’indietro o lateralmente aiutando così lo sviluppo della manovra. Una cosa è certa: se vogliamo stare dietro alle evoluzioni e alle molteplici sfumature del calcio contemporaneo, dobbiamo fare attenzione a non irrigidirci in definizioni che possono confonderci le idee e allontanarci da quello che succede realmente in campo.