Nel calcio il termine “pausa” è stato introdotto in Sudamerica, con riferimento a un concetto già presente nella metrica poetica. Quello con cui si indica il punto di inflessione nella lettura di un poema, che corrisponde sempre alla fine di un verso: la lettura di una poesia ha bisogno di un suo ritmo e la pausa tra i versi serve a scandirlo. Un concetto non troppo dissimile da quello di pausa in italiano, che invece proviene dalla musica e indica il momento preciso di silenzio all’interno di uno spartito.
In ambito calcistico, la pausa è il gesto tecnico con cui un giocatore rallenta la velocità con cui muove la palla attraverso finte, esitazioni o semplicemente fermandosi, attendendo prima di passarla a un compagno in movimento. La pausa, rallentando l’evoluzione dell’attacco, permette di guadagnare un tempo extra per far ricevere un compagno in una posizione più favorevole o di fronte a un mismatch positivo.
Si tratta di un ricorso tecnico sottile ma con forti ripercussioni tattiche, visto che ogni attacco organizzato ha l’obiettivo di dare un vantaggio posizionale alla squadra in possesso a seconda dei mezzi a disposizione (precisione nei passaggi, capacità di saltare l’uomo, etc).
Come sostiene uno dei più influenti pensatori del calcio spagnolo, Juanma Lillo, «esiste solo una cosa che ordina e disordina una squadra e questa è la palla». E la pausa permette di avere il controllo sia sul “dove” si muove la palla che sul “come”. Oppure, se preferite: la pausa permette di ordinare la propria squadra e disordinare il rivale.
La nascita di un nuovo bisogno
In passato era talmente normale giocare a calcio con una pausa tra lo stop e l’esecuzione del gesto (per tutta una serie di motivi che vanno dal minore atletismo dei giocatori al peso del pallone), che non c’era bisogno di catalogare questo concetto e dargli un nome. Solo con l’avvento del calcio moderno degli anni ’70, con un pallone più leggero e gli sviluppi tattici dei movimenti olandese e sovietico, è diventato difficile fermarsi dopo ogni primo controllo. Con i ritmi più alti, è nato però un problema prima inesistente: il minore controllo della squadra in possesso in zone del campo dove gli spazi sono troppo stretti e i ritmi troppo elevati.
Il ritmo alto rende le partite più più aperte e incerte perché limita il fattore tecnico. Come scritto da Daniele Manusia all’interno di una raccolta di pezzi che analizzavano i problemi della Premier League: «L’intensità è nemica del controllo e in condizioni così ostili la priorità diventa sopravvivere. Per cui meglio lanciare lungo un pallone in direzione delle punte che rischiare di perderlo mantenendo il possesso, meglio puntare frontalmente la porta, anche se non ci sono spazi, che portare fuori posizione troppi giocatori cercando di aprirne di nuovi».
Per far fronte a questa perdita del controllo, nei paesi latini si è iniziato a far affidamento su un calciatore (raramente più di uno) in grado di dare la pausa alla squadra in fase di possesso, per permettere all’attacco di svilupparsi in modo ordinato. Quello che ha esaltato più di ogni altro movimento il concetto di pausa è il calcio argentino, che ha prodotto tanti grandi interpreti di questo gesto tecnico: Bochini, Maradona, Riquelme, Messi. In Argentina è nato un vero e proprio culto per il ruolo dell’enganche, la figura mitologica che si muove tra centrocampo e attacco per gestire la palla e raccordare il gioco, dando, appunto, la pausa.
Ricardo Bochini è stato l’enganche per eccellenza del calcio argentino e l’idolo di Diego Armando Maradona.
Per ragioni di influenza culturale il concetto di pausa è arrivato nel calcio in spagnolo, come riportato da Jonathan Wilson nel suo libro sulla storia del calcio argentino: “Angels With Dirty Faces”. Bochini era un interprete consapevole della pausa, che divise in due azioni possibili: rallentare l’azione rallentando il movimento del pallone; oppure rallentare l’azione non rallentando il movimento del pallone.
È una catalogazione valida ancora oggi: se la prima rappresenta l’immagine immediata cha abbiamo della pausa, la seconda accende la luce sulla versione forse più sfuggente e difficile da riconoscere. La pausa in velocità è la capacità di rallentare lo svilupparsi naturale dell’azione pur muovendosi velocemente e senza rallentare la velocità del pallone. L’obiettivo è quello di guadagnare tempo nello sviluppo dell’azione senza però smettere di avanzare e aumentare il proprio vantaggio posizionale.
Come utilizzare la pausa
Per descrivere meglio i due concetti ho pensato di prendere due gol molto famosi. Il primo è forse il gol più bello dell’Arsenal degli “Invincibili”, e nasce dalla capacità di Bergkamp di interpretare la pausa rallentando la palla.
Sono i gironi della Champions League 2001/02 e nella partita contro la Juventus che cerca il gol del pareggio si sviluppa il più classico dei contropiedi in velocità con cui l’Arsenal era solito chiudere le gare. Ljungberg riceve il pallone da Vieira dietro il centrocampo e passa il pallone a Bergkamp sulla trequarti destra; la difesa della Juve però è abilissima in transizione e si riposiziona mentre l’Arsenal sviluppa l’attacco con tre uomini in area, di cui uno in marcatura su Ljungberg.
L’azione sembra destinata a concludersi con un tentativo di dribbling o assist dell’olandese, o semplicemente a spegnersi per l’inferiorità numerica dell’Arsenal nell’area bianconera, invece Bergkamp rallenta bruscamente fino a fermarsi, sfida l’avversario diretto senza provare a superarlo, si gira sul pallone per invitare il raddoppio continuando ad eludere l’aggressione della difesa. A quel punto ha attirato su di sé le attenzioni anche del resto della linea, ne approfitta Ljungberg che taglia verso la porta e riceve un assist di esterno di Bergkamp.
Se l’Arsenal avesse attaccato in velocità la transizione difensiva juventina avrebbe fatto arrivare il pallone in area contro un muro in una situazione di inferiorità numerica. Utilizzando la pausa Bergkamp ha destabilizzato il muro difensivo e servito il compagno nella posizione migliore per ricevere. Usando la pausa, Bergkamp e Ljungberg hanno creato una situazione di vantaggio posizionale che ha portato al gol.
Thierry Henry, che non partecipa attivamente all’azione, nella biografia di Bergkamp Stillness and speed parla di quell’azione riconoscendo il valore della pausa: «Ogni altro giocatore avrebbe giocato il pallone di prima e poi urlato al compagno perché non si stava muovendo. Ma Dennis vede che il compagno non si muove, quindi aspetta e intrattiene i difensori attorno a lui invitando quindi Freddie a muoversi. Bellissimo».
L’esempio migliore per illustrare la pausa in movimento invece viene dal gol con cui il Barcellona ha aperto la finale di Champions League del 2011 contro il Manchester United. L’azione parte già da una situazione di pausa, con cui Iniesta ordina l’attacco prima di servire Xavi, liberatosi dietro il centrocampo dello United. Prosegue poi con la pausa in movimento di Xavi, che avanza palla al piede mentre Messi gli corre accanto e Pedro e Villa sono in linea, davanti. Per permettere a uno dei suoi compagni di fare il movimento in profondità Xavi aspetta con il pallone, rallentando senza però fermarsi, ritoccando la velocità della palla mentre il resto dei giocatori in campo continua a muoversi alla stessa velocità (la massima) di prima.
Xavi sposta il pallone verso l’interno richiamando l’attenzione della difesa: con il terzino sinistro, Evra, che si deve occupare di Messi, e quindi non è in linea, Pedro può fare il movimento in profondità accanto al centrale, Vidic, preoccupato di cosa farà Xavi. Con un tocco d’esterno improvviso e velocissimo, poi, il regista serve Pedro che riceve il pallone sul movimento, ormai al limite dell’area, senza ostacoli di fronte.
Filosofie e sistemi
Nei confronti dell’utilizzo della pausa esistono due grandi correnti. Per chi utilizza il gioco di posizione il concetto di pausa è insito nello sviluppo stesso dell’azione: tutta la filosofia posizionale funziona solo se il passaggio permette al compagno di ricevere con tempo e spazio a disposizione. Ma anche squadre che non abbracciano quel modello di gioco ricorrono alla pausa. Sta all’allenatore decidere se creare dei meccanismi specifici per sfruttare la pausa di un giocatore all’interno del sistema oppure se lasciare libertà alla fantasia e comprensione della squadra per trovare il vantaggio posizionale.
Insomma, se introiettare la pausa all’interno del sistema oppure se concederla come lettura individuale di una specifica situazione. La classica differenza tra un calcio sistemizzato e uno di letture.
In questa pausa di Iniesta si vede la capacità di capire quando rimanere fermo con il pallone, non solo per portare fuori posizione l’avversario, ma soprattutto per creare il cuscinetto di tempo che permette al compagno di ricevere nella posizione ideale, dietro la linea avversaria.
La pausa permette al compagno di trovare la posizione giusta e attira anche gli avversari (la loro attenzione, ma spesso anche i loro corpi), aiutando quindi la creazione dello spazio poi attaccato dal giocatore.
Una situazione nata dalla lettura che però può anche essere sistematizzata, ad esempio per attaccare una difesa ben posizionata, come nel caso di Kroos e Carvajal nella partita contro il Legia Varsavia in Champions League.
Se vogliamo usare un esempio più vicino a noi, si può citare il gol segnato da Milinkovic-Savic al Palermo. Il colpo di testa arriva da un cross di Basta sul primo palo, che non sarebbe però mai arrivato senza la pausa di Felipe Anderson prima di servire il serbo. Felipe Anderson ferma il pallone invece di tentare il dribbling in una situazione di 1 contro 2 e attende la sovrapposizione di Basta.
La pausa di Anderson attrae i due giocatori del Palermo e permette a Basta di ricevere in corsa alle loro spalle. Questo è uno dei meccanismi più semplici per sfruttare la pausa con l’obiettivo di creare superiorità posizionale sulle fasce, ma non è l’unico, ovviamente.
Un altro esempio classico è l’utilizzo di un uomo fra le linee in fase di attacco posizionale, ben rappresentato dall’assist di Borja Valero a chiudere il triangolo con Ilicic.
O da quello di Dybala, che attira l’attenzione della difesa per creare la possibilità di smarcamento in area.
Ma la pausa può essere utile persino in fase di transizione offensiva, anche quelle squadre che giocano sugli spazi aperti e la velocità per arrivare direttamente in porta possono aver bisogno di ordinare l’attacco in un momento o l’altro della loro azione.
Nel recente “superclasico” tra Boca Junior e River Plate, Tevez riceve palla a centrocampo con spazio, alza la testa e legge la situazione di inferiorità numerica davanti a sé (due compagni contro cinque avversari). Invece di caricare a testa bassa decide di muoversi lateralmente verso l’esterno ed eseguire una pausa mentre i compagni continuano a correre e altri si avvicinano alla trequarti.
Solo allora, improvvisamente, Tevez accelera in direzione opposta riprendendosi il centro del campo fino alla trequarti, con gli avversari colti di sorpresa. Concentrati sul giocatore con il pallone, non si sono accorti del doppio movimento a smarcarsi dei due compagni di Tevez, che ne sceglie uno da servire solo al limite dell’area.
Purtroppo a livello statistico viene segnalato per il Boca il contrasto aereo vinto, il passaggio riuscito e poi l’assist e il gol. Non c’è tracciabilità per il gesto tecnico che ha portato davvero al gol.
La pausa sopravviverà all’aumento dei ritmi?
Il calcio è un gioco sempre più dinamico, dove la velocità dell’esecuzione dei gesti è indispensabile per sopravvivere fra giocatori sempre più veloci che corrono fra spazi sempre più congestionati. A perdersi è la possibilità di decidere il proprio destino: a certi ritmi anche il giocatore più tecnico finisce per commettere errori.
Gli estremi sono rappresentati da squadre come Bayer Leverkusen o RB Lipsia, la cui sfida è entrata di diritto nella cineteca delle partite più caotiche della storia.
Sono esempi radicali di contemporaneità, ma non per questo sempre efficaci. Se si vuole competere ad alti livelli, anche squadre abituate a giocare su ritmi altissimi - come, per fare due esempi eccellenti, Tottenham e Celta Vigo - hanno bisogno di inserire nel loro sistema giocatori in grado di utilizzare la pausa per dare raziocinio ad attacchi portati ad alta velocità. Basti pensare all’influenza nel gioco di queste due squadre di Christian Eriksen e Iago Aspas.
Senza pausa, nel calcio attuale è difficile avere controllo a certi ritmi. Come dice Jorge Valdano: «Per giocare bene ovviamente si deve correre, ma si deve anche saper frenare».