Nell’elettronica di consumo una tecnologia che - da innovativa che era - si diffonde sul mercato e diventa disponibile per tutti, prende il nome di commodity. La periodizzazione tattica è una disciplina concepita ormai trent’anni fa, che ha fatto breccia nei club fino a diventare, appunto, una commodity.
Occorre fare subito un distinguo tra l’albero e il frutto, ovvero tra la periodizzazione e la periodizzazione tattica. La periodizzazione è un modello d’allenamento applicato originariamente a discipline diverse dal calcio. La sua genesi è legata in particolar modo al mondo dell’atletica pesante allorché negli anni ’50, soprattutto nella Repubblica Democratica Tedesca, si tentò per la prima volta un approccio scientifico allo sport.
Cos'è la periodizzazione
Secondo il modello originario, un atleta risponde a uno stress fisico secondo tre fasi successive: nella fase cosiddetta di allarme (1) registra nel corpo e nella mente lo shock portato da uno stimolo esterno (un esercizio nuovo che provoca nel corpo dolore e rigidità); nella fase di resistenza (2) il sistema si predispone per adattarsi allo stimolo; nella fase di esaurimento (3) l'atleta, per stanchezza o assuefazione nei confronti dello stimolo, non fornisce più risposte adeguate, di conseguenza la sua prestazione diminuisce. Lo scopo della periodizzazione degli allenamenti è mantenere l’atleta permanentemente nella fase di resistenza, dove l’adattamento scatena un rafforzamento progressivo, sia livello fisico che mentale, e un miglioramento della prestazione. Va evitato, quindi, di far entrare l'atleta nella fase di esaurimento, alternando opportuni periodi di recupero o offrendo uno stimolo differente, ad esempio cambiando l’esercizio che deve eseguire.
Questo tipo di filosofia ha attecchito anche nel calcio, per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro atletico. Alternando le esercitazioni e i carichi sapientemente, anche in relazione al calendario delle partite, è possibile tenere un calciatore lontano dalla fase di esaurimento, preservandolo dagli infortuni.
Due anni fa il tema della periodizzazione nel calcio era salito all’attenzione del grande pubblico, in uno di quei casi, sempre più frequenti nell’era social, nel quale si assistette all’inversione del canale di comunicazione, solitamente monodirezionale. In una delle conferenze stampa pre-partita del Liverpool, Jurgen Klopp, riferendosi al periodo natalizio congestionato di impegni, dichiarò: “Giocheremo due volte in 48 ore, avremo degli infortuni e qualche tizio olandese avrà da ridire”.
Il tizio olandese in questione era Raymond Verheijen, quarantaseienne preparatore atletico, alfiere della periodizzazione, che ha lavorato parecchio sia nel giro delle nazionali (Olanda, Corea del Sud, Russia, Argentina e Galles nel suo curriculum), sia con i top-club europei (in qualità di consulente ha affiancato i coaching staff di Barcellona, Chelsea e Manchester City, tra gli altri).
Verheijen ha attaccato Klopp dal suo account Twitter in più occasioni. Una volta ha sostenuto che i suoi metodi di allenamento, che secondo l’olandese ignorano i principi base della periodizzazione, e il suo calcio ad alta intensità hanno provocato ai giocatori del Liverpool 20 infortuni al tendine del ginocchio in 10 mesi. In una seconda occasione Verheijen ha imputato a Klopp e al suo staff il calo stagionale nelle prestazioni registrato dalla sua squadra.
In pratica Verheijen contestava a Klopp (ma aveva fatto lo stesso in precedenza anche con Wenger e Guardiola) di portare i suoi atleti nella fase di esaurimento, attraverso un allenamento ripetitivo e non adattato alle esigenze di quella particolare fase della stagione, come è ad esempio un periodo in cui si gioca una gara ufficiale ogni 3 giorni.
Esiste una periodizzazione per la tattica?
Mai si era pensato di accostare l’assimilazione dell’organizzazione tattica di una squadra di calcio a quella di uno stress fisico. Lo ha fatto per la prima volta Vitor Frade, professore all'Università di Oporto e collaboratore del Porto, club nel quale ha lavorato anche José Mourinho, prima come secondo di Bobby Robson e poi come capo allenatore. Mourinho è stato uno dei primi sponsor di questa metodologia di lavoro. Secondo il modello sviluppato dai portoghesi, ogni azione di gioco coinvolge quattro dimensioni differenti tra loro: quella tattica (quale scelta fare), quella tecnica (quale giocata ne consegue), la dimensione fisica (quale risposta dal corpo), la dimensione psicologica (quale stato emotivo). Un buon calciatore è colui che opera la scelta tattica giusta in ogni situazione di stress tecnico, fisico e psicologico.
Ogni singolo esercizio in allenamento che riproduce un’azione di gioco deve contenere tutte e quattro le dimensioni viste in precedenza. Solo così, e attraverso numerose ripetizioni, il cervello del calciatore può registrare la scelta corretta e tramutarla in abitudine, in un comportamento da seguire in una situazione di gioco reale.
L’aspetto tattico è però preponderante. Le decisioni che un calciatore in campo è forzato a prendere dipendono in larga parte dalla fase di gioco in cui si trova. Secondo una nomenclatura ormai acquisita, le fasi sono sostanzialmente quattro: due statiche, attacco e difesa; due di transizione, positiva se si passa dalla difesa all’attacco, negativa viceversa. Come comportarsi in ciascuna di queste situazioni, ovvero quale decisione di tattica individuale è più opportuno prendere, dipende da un piano tattico più grande, il cosiddetto modello di gioco.
Il modello di gioco sintetizza l'idea di calcio che l’allenatore intende mettere in pratica, ma non solo. È l’insieme della formazione, intesa come struttura organizzativa da tenere in campo, delle peculiarità dei calciatori a disposizione in rosa, della cultura del club, nonché di quella della nazione in cui si compete. Lo stesso Mourinho sul modello di gioco ha detto: “È la cosa più importante per me, è un insieme di principi condivisi che forniscono organizzazione al lavoro quotidiano. Fin dal primo giorno, il modello di gioco è la cosa che dev'essere chiara a tutti”.
Il modello di gioco può essere anche complesso, se valutato nell’insieme dei suoi principi, coniugati poi nelle differenti situazioni di gioco. Per questo, per aiutare gli atleti nella sua assimilazione, si scompone il problema in sotto-principi. Per fare un esempio: si perde palla, inizia la transizione negativa, cosa fare? Si può tentare di ritardare la transizione difesa-attacco avversaria aggredendo il portatore di palla (primo sotto-principio). Questa decisione porta la squadra ad andare in avanti verso la palla, piuttosto che all'indietro, restando compatti (secondo sotto-principio). Questa scelta, a sua volta, comporta la necessità di avere una comunicazione efficace tra i calciatori e la predisposizione delle coperture preventive (terzo sotto-principio), utili nel caso la prima pressione fosse inefficace. Ciascun sotto-principio può essere allenato mediante un esercizio tattico specifico, che può essere predisposto su campo ridotto o ridottissimo e con un numero di giocatori variabile sia per l’attacco che per la difesa.
Quando Mourinho arrivò all'Inter nel 2008 chiese di costruire altri due campi di allenamento in erba, proprio per poter organizzare meglio il lavoro sui singoli sotto-principi. Nell’estate del 2014, a Manchester le ruspe anticiparono l'arrivo di Van Gaal, perché l’allenatore olandese pretese la costruzione di due nuovi campi da gioco e l'installazione di telecamere per poter registrare e rivedere tutte le sedute di allenamento. Per fare un esempio più recente: Sarri allena i difensori in sedute specifiche, che prevedono un numero crescente di offendenti, via via che l’apprendimento procede giorno dopo giorno.
All’aumentare o al diminuire delle dimensioni del campo e del numero di partecipanti, crescono o si riducono gli stimoli cognitivi per l’atleta e con questi la difficoltà dell’esercitazione. Il numero di variabili che il calciatore deve tenere in conto incide direttamente sull’intensità connaturata con l’esercitazione svolta. E l’intensità è un concetto fondamentale per questo tipo di lavoro, da essa dipende la riuscita o il fallimento dell’allenamento.
Le variabili che incidono sull’intensità possono essere di vario tipo: la complessità dei sotto-principi da applicare, il numero di partecipanti all'esercizio, le dimensioni dello spazio da difendere o da attaccare, la durata dell’esercizio, il carico emotivo. Ad un alto livello di intensità deve corrispondere un alto livello di concentrazione, necessario affinché il messaggio tattico venga assimilato e il comportamento corretto possa essere riprodotto in partita. Carlos Queiroz, anch’egli portoghese, a lungo assistente allenatore di Alex Ferguson, dichiarò: “Alleniamo situazioni di gioco che comportano un forte stress fisico ed emotivo, in modo che il calciatore in partita non si faccia prendere dal panico ma sappia esattamente cosa fare. Ad esempio, diciamo ai ragazzi ‘Siamo sotto 1-0 e mancano dieci minuti, dobbiamo mettere almeno cinque cross in area dal fondo prima della fine’“.
L’allenamento non è teso a meccanizzare il gesto, a forzare la scelta del calciatore verso un solo tipo di soluzione predeterminata. Al contrario, la riproduzione del contesto di gara all’interno dell’esercitazione stimola il calciatore a introiettare i sotto-principi di gioco. In questo modo, in partita, il calciatore farà le proprie scelte in maniera autonoma, assecondando la propria creatività attraverso i propri mezzi tecnici, all’interno però del rispetto dei principi che ha fatto propri in allenamento.
Il livello di intensità delle esercitazioni non può essere lo stesso in tutte le sedute di allenamento. Si pensi ad esempio al giorno successivo ad una partita, quando i giocatori sono mentalmente ed emotivamente scarichi. È importante però che sia tenuto al livello più alto possibile, compatibilmente con le esigenze dettate dagli impegni ufficiali. Il tipo di lavoro, quindi, può variare nell’arco della settimana, ma anche a seconda del momento della stagione. Ad esempio l’attenzione alle quattro fasi di gioco è sicuramente diversa nel lavoro che si svolge durante il precampionato, rispetto a quello effettuato più avanti.
Di solito, nella prima parte della stagione, gli allenatori preferiscono curare la difesa più dell’attacco. Lavorare sulla fase difensiva migliora la compattezza e l’equilibrio della squadra, inoltre subire pochi gol dá sicurezza nei propri mezzi: la Juventus quest’anno ha ritrovato le sue certezze non appena è riuscita a incassare meno gol; nel 2013/14, la Roma di Garcia sembrò fare un salto di livello dopo un filotto di dieci vittorie con un solo gol subito.
Mourinho, nelle fasi iniziali di un nuovo progetto, preferisce consolidare la fase difensiva delle proprie squadre, a volte in maniera eccessiva e deprecabile. Solo quando è sicuro di aver instillato nei suoi calciatori tutti i precetti del proprio modello di gioco, le squadre di Mourinho sono libere, o in grado, di giocare un calcio offensivo, talvolta spettacolare: come quello del suo Real dei record (2011-12, suo secondo anno a Madrid) o quello visto nell'anno del triplete interista (2009-10, secondo anno a Milano). Nell’ultimo biennio, nonostante i molti problemi e i cambi di formazione che non hanno sortito sempre gli effetti sperati, il suo Manchester United per due volte è stato la seconda difesa meno battuta della Premier League.
A quello che qualcuno ha ribattezzato il “metodo Mourinho” si oppongono altri sistemi di allenamento. C’è quello tradizionale, nel quale le situazioni tattiche vengono allenate solo in partitelle a ranghi completi, e la preparazione fisica è relegata a determinati momenti dell’anno. Esiste poi il cosiddetto metodo integrato, che Juventus e Milan adottano attualmente per le loro squadre giovanili. A differenza della periodizzazione, nella quale la dimensione tattica sovrintende a tutte le esercitazioni, il metodo integrato non predilige un solo aspetto, ma punta ad allenare tutte le componenti insieme ed è caratterizzato dalla presenza del pallone in ogni esercizio.
La periodizzazione tattica, che spesso è associata a Mourinho, è in realtà un sistema di allenamento nato sui campi di Olanda, Spagna e Portogallo e che ha diversi padri putativi: Bobby Robson, Louis Van Gaal e Jupp Heynckes, tra gli altri. Mourinho e i suoi collaboratori, ai tempi del Porto, ne hanno trovato probabilmente la sintesi più efficace.