Nonostante sia in NBA da appena quattro anni, Domantas Sabonis è già stato tutto e il contrario di tutto: promessa, pedina di scambio, sottovalutato, macchina da punti, sopravvalutato, figlio d’arte, ala forte, centro, “5 tattico” e infine All-Star. Giovane di talento, diamante nascosto, ma anche paradosso difficilmente risolvibile: Sabonis sembrava uno di quei giocatori intriganti ma che finiscono sempre col giocare meno di quanto ti aspetteresti, quelli che vengono sempre sacrificati per una causa più grande, per un equilibrio maggiore, per un giocatore dal potenziale superiore. Uno di quelli che sai che possono fare benissimo – in un articolo di preparazione al Draft 2016, Lorenzo Neri scriveva: «Ogni giorno che passa somiglia sempre di più a una domanda che ci faremo tra 5 anni: come mai non è stato scelto tra le prime 5?» – ma sui quali, alla fine, quando conta, nessuno sembra mai davvero intenzionato a investire.
Il suo potenziale è sempre stato sotto gli occhi di tutti. Gli Oklahoma City Thunder scambiarono Serge Ibaka pur di prenderlo con l’undicesima scelta assoluta degli Orlando Magic. Ma poi, un anno più tardi, lo scambiarono nuovamente, a malincuore, perché il potenziale c’era, ma non era Paul George. Lo stesso discorso vale per gli Indiana Pacers dove, nonostante due eccellenti stagioni, il suo ruolo era limitato in uscita dalla panchina per 20-25 minuti a sera.
Una delle azioni classiche di Sabonis, bravissimo a prendersi il post per lavorare di fisico e tecnica per avvicinarsi al canestro. La scorsa stagione aveva chiuso con un impressionante 71% al ferro e 63% di percentuale reale, uno dei migliori della lega.
Poi, la scorsa estate, nell’ultimo giorno disponibile per le estensioni dei contratti da rookie, i Pacers si sono definitivamente convinti a investire su di lui, un po’ per lungimiranza e un po’ per necessità, garantendogli 77 milioni per quattro anni e un ruolo da protagonista. Sabonis non aspettava altro.
In meno di una stagione il lituano non è solamente esploso diventando il fulcro dell’attacco della squadra, ma ha mostrato picchi di pallacanestro davvero intriganti. La stessa natura ibrida che lo aveva reso un enigma in un primo momento – non così imponente da giocare da centro ma neanche troppo agile per essere un esterno, le braccia troppo corte per essere un prototipo di “5 tattico” ma una struttura (210 centimetri per 108 chili) troppo “grande” per un’ala forte dell’era moderna – lo ha reso un giocatore difficile da leggere per gli avversari, sul quale diventa complicato aggiustarsi.
Non è ancora un giocatore totalizzante – riprendendo la domanda di Neri, in quanti sarebbero veramente disposti a sceglierlo, oggi, prima di (almeno uno tra) Ben Simmons, Brandon Ingram, Jaylen Brown, Jamal Murray e Pascal Siakam? – e neanche uno di quelli che rubano l’occhio o per i quali si acquista volentieri un biglietto per una partita. Ma il suo impatto in campo è inestimabile soprattutto nella metà campo offensiva, dove il lituano è un coltellino svizzero che può aprirsi su un’infinità di soluzioni diverse. Sabonis possiede sia il miglior rating offensivo (110 punti segnati su cento possessi) che il miglior Net Rating (+3.2) tra i giocatori di Indiana, è l’unico dei suoi ad aver un differenziale negativo (-1.8) quando è seduto in panchina, e senza di lui l’attacco dei Pacers crolla fino a 103.8 punti segnati su cento possessi, peggiore anche di quello degli ultimissimi Golden State Warriors.
Lavorare, lavorare, lavorare
Nonostante la sua produzione offensiva su 36 minuti sia scesa rispetto a un anno fa (e comunque dice 19 punti, 12.9 rimbalzi e 5.2 assist), in questa stagione Sabonis ha acquisito una multidimensionalità che gli permette di sfruttare ancora meglio i suoi punti di forza. Il 24enne è in grado di giocare dal post e dalla punta, eseguire impeccabili short roll e fungere da “hub” per connettere tra di loro i principali terminali della squadra. La quantità di soluzioni a sua disposizione è pressoché infinita, possedendo sia una grande tenacia che dei fondamentali tecnici impeccabili.
Sabonis possiede una rara combinazione di movimento di piedi, forza, tecnica e pazienza che gli permette di sfiancare il difensore avversario fino a piegarlo al proprio volere.
Soprattutto, Sabonis possiede una mentalità d’acciaio. «La sua cultura del lavoro non conosce limiti» dice Riccardo Fois, che lo ha allenato nel periodo di Gonzaga e lo conosce molto bene. Quando si allaccia le scarpe ed entra sul parquet, il suo obiettivo è molto semplice: lavorare più duro degli altri, competere più a lungo. Sabonis è uno di quei giocatori che non vuoi mai avere contro in allenamento, uno di quelli che ti fanno fare brutta figura se non giochi al massimo, che vivono ogni momento sul parquet come fosse una Gara-7 di playoff. «Fin dai suoi primi giorni a Gonzaga sembrava immune alla fatica» prosegue Fois. «Sentiva la responsabilità di fare bene per la sua famiglia e la sua nazione, una cosa non comune per un ragazzo di 18 anni».
Portare sulla schiena uno dei cognomi più ingombranti della storia del basket europeo può essere un limite difficile da superare per molti; non per Sabonis, che ha capito da subito che il miglior modo per ritagliarsi il suo spazio era essere se stesso, sfruttando una predisposizione genetica “amichevole” per lavorare duramente sui propri fondamentali senza trascurare niente.
Il lituano è implacabile quando punta il ferro. Non è necessariamente veloce o esplosivo, ma possiede una forza e una tenacia impareggiabile per tanti avversari, spesso spazzati via come in questa azione.
La sua attenzione ai dettagli è quasi maniacale. Niente dev’essere trascurato: una postura da correggere, un angolo di blocco da migliorare, acquisire una maggiore flessibilità fisica. Dal momento che la componente principale del gioco di Sabonis è la sua capacità di essere sempre in movimento, attraversando incessantemente ogni asse cartesiano del campo, la cura del corpo è fondamentale. Da anni segue un programma di allenamento rigidissimo e incentrato sulla mobilità delle anche e lo stretching, cosa che gli sta permettendo anche di adattarsi meglio a giocare contro gli esterni avversari.
Pochissimi giocatori, perfino in NBA, possono vantare una condizione atletica migliore di quella di Sabonis, che in quattro anni ha saltato appena 20 partite (tre delle quali per intossicazione alimentare). La sua durezza mentale e fisica, la sua capacità di non spaventarsi di fronte a nessuna richiesta, di prendere mazzate e rialzarsi immediatamente, sono la vera bilancia emotiva della squadra.
Macchina da gioco
Sapersi muovere, posizionarsi nel posto giusto al momento giusto, però, non è soltanto una questione fisica. «È un ragazzo estremamente intelligente» sottolinea Fois. «Parla tre lingue, pensa in spagnolo nonostante abbia sempre frequentato scuole di lingua anglosassone, adora la cucina italiana». Il lituano è sempre alla ricerca del compagno posizionato meglio, sia nella sua testa (quando il gioco si svolge lontano da lui), sia quando è in possesso di palla. L’aver imparato a posizionarsi bene il corpo, il saper usare bene i piedi e possedere ottimi istinti per il gioco (qui la genetica non mente) gli permette di “vedere” il campo di modo da associarsi bene con i compagni.
Il giocatore che più di tutti ha goduto dei suoi blocchi è stato Doug McDermott: la loro combinazione sul lato sinistro del campo è tra le più prolifiche di tutta la NBA e tiene in piedi quasi da sola la second unit dei Pacers.
Fino alla scorsa stagione i Pacers utilizzavano principalmente la sua capacità di oscillare da una parte all’altra del campo, di tagliare verso canestro fino ad acquisire la miglior posizione possibile per sfruttare la sua capacità di finire vicino al ferro. La qualità dei suoi blocchi era utile soprattutto allo stesso Sabonis, abilissimo a giocare situazioni di short roll. Nel corso di questa stagione invece, complice l’assenza di Victor Oladipo, lo staff di coach McMillan ha iniziato ad affidargli responsabilità sempre più grandi, mettendo le sue qualità anche al servizio della squadra cominciando proprio dai suoi blocchi, dove con 437 screen assist Sabonis guida la classifica di tutta la NBA.
«L’essere passato per Gonzaga gli ha permesso di imparare a leggere meglio il gioco» sostiene Fois. «Ma negli ultimi anni è stato bravo lui ad affinare l’arte del passaggio, e Indiana e coach McMillan a costruirgli attorno un sistema fatto su misura per esaltare le sue caratteristiche come creatore dalla punta e come rollante». Il numero dei suoi assist per cento possessi (21.5) è al massimo in carriera, così come quello delle palle perse (11.7) è al minimo. Dal primo gennaio il numero dei suoi assist per 36 minuti è salito fino a 6.2, con i compagni che hanno iniziato sempre di più a fidarsi delle sue qualità di playmaking, tanto da diventare uno dei giocatori più produttivi di tutta la lega.
Sabonis è un abile manipolatore. Ha imparato a sfruttare la sua ferocia nel puntare il canestro per far collassare le difese per poi riaprire, e l’aver acquisito una maggiore centralità – porta quasi il doppio dei blocchi sulla palla rispetto a Myles Turner – lo ha fatto crescere di autostima, tanto da provare anche passaggi più complessi come questo tocco a una mano per TJ McConnell in pieno stile giocatore di pallanuoto, o stile Nikola Jokic se preferite.
Il pick and roll con Malcolm Brogdon è uno dei giochi più affidabili della NBA, e la loro intesa, istantanea da subito, permette di avere sempre una contromossa contro ogni aggiustamento della difesa. La sottile comprensione del tempo di Brogdon è fondamentale al lituano per prendere ritmo, ma anche Sabonis sa come contraccambiare il favore quando le difese si distraggono. E prima che la stagione venisse sospesa le cose stavano iniziando a funzionare anche con il rientrante Oladipo.
La convivenza con Turner
Più di ogni duetto con le guardie a roster, per i Pacers è essenziale trovare un modo per far coesistere Sabonis e Turner. Per quanto il coaching staff provi a separarne i minuti il più possibile – con il lituano che esce per primo per guidare poi la second unit – trovare un equilibrio che soddisfi pienamente entrambi è un compito pressoché impossibile. Entrambi si esprimono al meglio potendo agire da centro con quattro esterni attorno, ma McMillan sta trovando quantomeno compromessi che funzionano, con Sabonis a giocare da “5” nella metà campo offensiva e Turner a proteggere il ferro in difesa, assegnando i “4” avversari al lituano.
I Pacers hanno un differenziale positivo di 2 punti su cento possessi nei quintetti con entrambi sul terreno di gioco, sicuramente un miglioramento rispetto al -8.7 di due stagioni fa ma che mostra anche la difficile compatibilità sul lungo periodo. L’aver ridimensionato totalmente il ruolo offensivo di Turner sta aiutando – come per i blocchi, il lungo texano prende la metà dei tiri con Sabonis in campo rispetto a quando il lituano si siede – ma per quanto tempo la soluzione può essere sostenibile? Una franchigia molto piccola come i Pacers non può permettersi il lusso di essere troppo schizzinosa quando si parla di talento, e giocatori giovani e di prospettiva come i due lunghi sono difficili da trovare. Ma cosa ne pensano i due diretti interessati?
Per quanto ancora Turner sarà disposto a starsene buono buono in un angolo?
I quintetti con Sabonis unico centro sono anche i migliori schierati dai Pacers nel corso dell’ultima stagione, mentre quelli con solo Turner hanno faticato a rimanere competitivi. Sabonis inoltre è un rimbalzista feroce e più completo del compagno (12° assoluto per rimbalzi difensivi disponibili catturati, 13° in generale) e negli ultimi dodici mesi ha migliorato la propria dimensione difensiva, sia nei pressi del ferro che allontanandosi dall’area.
Infine, non solo il suo minutaggio è cresciuto di dieci minuti esatti a partita rispetto alla passata stagione, ma il lituano può ancora aggiungere alcune frecce al proprio gioco, come ad esempio la dimensione perimetrale, elemento delicato da aggiungere «per un giocatore che ha già la responsabilità di muovere la palla e che tira sopra il 55% dal campo ogni anno» secondo Fois. «Ci sono alcune partite in cui necessariamente è un arma che può cambiare la partita o una serie di playoff: per questo non ho dubbi che col tempo, e lavorandoci, anche il tiro diventerà un altro dei suoi punti di forza».
Il futuro di Sabonis è il futuro dei Pacers
Se si esclude la prima stagione ai Thunder, dove aveva provato 157 triple per via dei suoi compiti tattici, nelle 62 partite giocate prima della sospensione Sabonis aveva già tentato più triple rispetto ai primi due anni con la casacca dei Pacers. Avendo fatto della punta la sua zona del campo preferita (e più prolifera) già dai tempi di Gonzaga, non stupisce che 61 delle 67 triple tentate siano arrivate proprio da quella posizione. Il 25.4% non sembrerebbe un dato incoraggiante, ma ci sono due motivi che fanno ben sperare: il primo è la bontà del suo jumper, che già era buono prima di entrare in NBA ma che nell’ultimo periodo sembra diventato ancora più solido e compatto; il secondo è che, nel corso dell’ultimo anno, il lituano ha migliorato notevolmente le percentuali dalla media distanza, passando dal 38 al 45% su oltre due tentativi a sera.
La zona centrale è davvero il suo ufficio di lavoro. In questa stagione è diventato più a suo agio nel prendersi il tiro da quella mattonella, adesso deve aggiungere un ulteriore metro.
Le mani di Sabonis non sono morbide come quelle del padre (anche perché quante lo sono state nella storia del gioco?) ma hanno una buona sensibilità, cosa che gli permette spesso di spezzare il proprio tiro in ganci o floater che prendono di sorpresa i diretti avversari. Per il momento le difese avversarie sono ben disposte a sfidarlo al tiro, anche platealmente, ma qualora Sabonis riuscisse ad aggiungere un ulteriore metro al suo range, la sua capacità di mettere palla per terra e leggere il gioco diventerebbero ancora più accentuate, aprendo a ulteriori soluzioni e dando ai Pacers una dimensione più pericolosa quando si tratta di competere per davvero, quantomeno all’interno della propria conference.
Nel corso degli ultimi 30 anni soltanto i San Antonio Spurs vantano più apparizioni ai playoff dei Pacers, che dal 2010 hanno saltato la post-season solamente quando Paul George si frantumò una gamba saltando l’intera stagione – ottenendo comunque lo stesso record dell’ottava squadra classificata. Essere tra le migliori otto squadre della Eastern Conference è un motivo di orgoglio per una franchigia costretta a lottare per il proprio spazio nel cuore dei tifosi – vista l’enorme varietà di squadre presenti in tutto l’Indiana –, ma se si escludono le due finali di conference perse contro i Miami Heat di LeBron James, i Pacers non hanno mai realmente rappresentato un’alternativa. Con le condizioni di Oladipo tutte da verificare e con una squadra che dovrà andare incontro a domande spiacevoli (la convivenza con Turner ma anche il bruttissimo infortunio di Jeremy Lamb), l’esplosione di Sabonis è una ventata d’aria fresca.
Il lituano ha compiuto da poco 24 anni e possiede la mentalità giusta per continuare a crescere. Bloccarsi proprio ora, proprio quando da misterioso e intrigante punto di domanda si è trasformato in solida e funzionale realtà, sarebbe una cosa del tutto in controtendenza con la sua natura. Sabonis è riuscito a diventare uno dei giocatori più intriganti della NBA, ma per sognare in grande, i Pacers hanno bisogno di poterlo ergere a pietra angolare della franchigia. Riuscirà uno dei più camaleontici giocatori della lega a compiere un’ultima, fondamentale, trasformazione?