Le carriere dei calciatori, fra le altre cose, servono anche a misurare il tempo che scorre. Quando Lionel Messi ha segnato il suo primo gol col Barcellona andavo a scuola, indossavo le Nike Silver e non esisteva ancora YouTube; quando Lionel Messi è passato al Paris Saint Germain avevo i capelli già bianchi, qualche grado in meno alla vista e avevo imparato a scrivere "valigie".
C’è un periodo della vita in cui cresciamo insieme a loro, e un altro in cui mentre loro diventano grandi noi diventiamo vecchi. Quando il nostro giocatore preferito diventa uno nato in un anno di cui abbiamo ricordi abbastanza precisi, e a quel punto abbiamo la sensazione di essere entrati nell’età della ragione. Ci sono giocatori che però rendono difficile misurare il tempo, perché sembrano non cambiare mai: loro e il modo in cui si proiettano sul mondo. Non è cambiato niente, per esempio, intorno a Domenico Berardi, o quasi. Indossa sempre la maglia neroverde del Sassuolo, lo sponsor Mapei, la faccia da impunito, l’ossessione per i tiri a giro sul secondo palo. Certe cose sono cambiate sotto la superficie, l’intelligenza con cui si muove in campo, i suoi tempi di gioco, il suo carisma. Una cosa non è cambiata di certo: la sua capacità di segnare al Milan. Con il gol di domenica Berardi è diventato, per distacco, il giocatore in attività che ha segnato più gol ai rossoneri, 10, due più di Messi e Dybala. A nessuna squadra ha segnato più gol, naturalmente. Se guardiamo alle perversione di altri attaccanti verso certe squadre, i suoi numeri restano inspiegabili. Quagliarella ha segnato 13 gol alla Fiorentina, Mertens 11 al Bologna - senza arrivare ai mostri Lewandowski (24 gol contro il Wolfsburg) o Messi (38 gol contro il Siviglia), per cui servirebbe un esorcista.
Il perché un attaccante preferisca segnare a una squadra piuttosto che a un’altra rimane un mistero nell’ordine del bizzarro. Inutile stare a cercare troppe spiegazioni fuori dal verificarsi di alcune coincidenze. Certo che la coincidenza di Berardi pare più misteriosa di altre, perché non stiamo parlando di una prima punta, e perché li ha segnati contro una squadra sulla carta più blasonata della sua. Quella contro il Milan, dunque, pare più che altro una perversione, forse legata al fatto che sin da bambino tifa Inter. Abbiamo raccolto le sue migliori partite contro i rossoneri.
Buongiorno, ecco quattro gol
La prima volta che Domenico Berardi incrocia il Milan non ha nemmeno vent’anni e quella barbetta diabolica che porta ora non gli è ancora cresciuta. Tutto magro e sbarbato si aggira fra le carcasse di una squadra che - a guardarla oggi - ha l’aria di una civiltà perduta. È il tardo Milan berlusconiano e quello è il primo anno di autentica decadenza, coincisa con la cessione estiva di Ibra e Thiago Silva. Il ritorno di Kakà, sulle note di Antonello Venditti sul fatto che certi amori non finiscono, faceva entrare il Milan nel post-moderno, in cui Berlusconi e Galliani sono ridotti a citare sé stessi. In panchina c’è Massimiliano Allegri, che sta cominciando a perdere i capelli.
Nella nebbia di Reggio Emilia, dopo 13’, il Milan è già in vantaggio 2-0 con le reti di Robinho e Balotelli (che ha segnato su assist di Cristante), ma pochi minuti dopo Berardi riapre la partita con un inserimento profondo dietro la linea che pensavamo gli avremmo visto fare più spesso in carriera. Berardi si infila tra Zapata, Bonera e Abbiati controllando col destro e infilando col sinistro in un unico movimento. La furbizia con cui ruba il tempo a tutti, la totale assenza di gioia una volta che il pallone va dentro, fanno parte del suo stile ispido e malizioso. Un ragazzo cacciato dalle squadre giovanili perché preferiva palleggiare che fare i giri di campo, chefingeva i mal di pancia per non andare a scuola.
Poco dopo segna il 2-0 ed è un altro gol strano e furbo. Lanciato in porta, deve controllare con la coscia un pallone che non vuole saperne di restare a terra; e così Bonera fa in tempo a recuperarlo e a strozzargli il tiro. Sull’incespicare della corsa, su gambe che sono zeppetti, Berardi pare poter cadere, e invece mentre incepisca trova il modo di proteggere il pallone, e mentre protegge il pallone ha già organizzato un tiro mentre nessuno ormai se lo aspettava. Un tiro di collo, in giravolta, cadendo, fatto passare a lato di Bonera - usato per ostruire il campo visuale di Abbiati. Berardi lo sappiamo ha avuto un inizio di carriera particolare: dopo diversi tentativi andati a vuoto di entrare in un settore giovanile di un club importante, è stato poi notato dal Sassuolo mentre giocava a calcio a cinque a Modena. Questo percorso si riflette forse in uno stile di gioco in fondo poco convenzionale, che brilla in momenti inattesi come questo.
Nel terzo gol Berardi è scappato alle spalle di Emanuelson mentre sta arrivando un cross da sinistra. Un pallone complicato su cui pensare una conclusione, ma Berardi accorcia il passo e schiaccia la palla di controbalzo col piede debole. Questo tipo di azioni suggerisce uno sviluppo tecnico di Berardi, tutto un mondo di possibilità, che non si è mai realizzato. In quel mondo vediamo Berardi spostarsi dall’amata fascia destra per giocare nella scomodità della zona centrale, facendo fessi difensori più grossi ma meno furbi. In quel mondo Berardi è titolare da punta centrale nella Nazionale italiana e della Juventus, capace di vincere o quasi la classifica cannoniere quasi ogni anno. Una specie di reincarnazione di Del Piero, che ha avuto una sua vera realizzazione solo in qualche carriera visionaria di Football Manager. A inizio carriera Berardi era il progetto di un grande attaccante, non pensavamo che avrebbe abbandonato la smania di gol per amore dei piccoli ricami che fa durante le partite.
È la prima stagione di Berardi in Serie A e in quel momento sembra avere un istinto da finalizzatore raro. Quanti teenager si presentano nel massimo campionato e segnano 4 gol al Milan, e poi segnano altri dodici gol e segnano più di 30 gol nelle prime due stagioni di Serie A? Ci fosse stato Mancini sulla panchina della Nazionale, probabilmente avremmo visto subito Berardi nell’Italia. I tempi erano diversi, e dovremo aspettare altri quattro anni.
All’inizio del secondo tempo Berardi segna il gol più convenzionale della serata, quello che continuerà a fare per quasi dieci anni di Serie A. Un inserimento centrale a rimorchio al limite dell’area, concluso con un tiro di piatto moscio ma che entra in porta trovando una deviazione. Quella partita è rimasta nell’immaginario comune come l’inizio di una maledizione, di un marchio di sangue che per qualche ragione collega Domenico Berardi al Milan. Dopo la partita Massimiliano Allegri viene esonerato dalla panchina del Milan, distrutto dalla maledizione di Berardi.
Si racconta che dopo quella partita a Bocchigliero, il paese in cui è cresciuto tra la Sila e il Mar Ionio, la gente sia uscita per strada a festeggiare. I giornali si sono riempiti di articoli che raccontavano la strana storia di Berardi, scoperto a Modena in un campo di calcetto mentre era andato a trovare suo fratello fuori sede. Il Quotidiano del Sud va nella casa materna, e sua madre ha il tavolone di casa ricoperto di giornali che parlavano di Domenico. Chiedono al suo allenatore, Eusebio di Francesco, se non somigli a Francesco Totti, ma no: «È giusto che guardi altri giocatori: o Messi o magari Cristiano Ronaldo, oppure Ozil che è mancino come lui».
Tripletta
Alla fine del campionato successivo il Milan è ormai inabissato nella sua spirale di decadenza. Al comando Filippo Inzaghi detto “Pippo”, a guidare un gruppo arricchito soprattutto di parametri zero. Per capirci: a fine anno Poli sarà il giocatore con più presenze e Menez quello con più gol. In attacco tra i rossoneri c’è Mattia Destro; sulla maglia il nuovo logo, ridisegnato da Barbara Berlusconi, che sembra un mango. Di fronte alla parodia dissoluta del tardo Milan berlusconiano, c’è un Sassuolo che sta consolidando la propria posizione in Serie A, guidato da un Berardi di nuovo in doppia cifra. Manganelli a centrocampo, Di Francesco in panchina con una cravatta regimental neroverde.
Il primo gol che segna Berardi è comico. Prende palla oltre i trenta metri e mentre carica il tiro nessuno lo contrasta, che tanto che vuole fare. Parte questa conclusione stiracchiata che si alza e s’abbassa appena prima di arrivare da Diego Lopez, a quello sfugge il pallone che fa in tempo a superare la riga di qualche centimetro. Vano il tentativo del portiere di convincere gli altri che non era successo niente. (In effetti la palla non sembra entrata, ma è l’ultima stagione che si gioca senza goal line technology). E così Berardi, pur senza fare granché, ha segnato un altro gol contro il Milan, quasi casualmente, trovandolo per strada mentre cercava altro. Berardi esulta ridendo con l’aria di uno che preferisce segnare gol così che gol belli.
Poco dopo Missiroli lo trova con un lancio dietro la disperata linea difensiva del Milan, quel giorno composta da: Bonera, Alex, Paletta, Abate. Diego Lopez non esce, Berardi conclude con l’esterno sinistro a fil di palo, un tiro quasi scazzato ma di grande complessità tecnica.
Nella partita succedono altre cose: il Milan pareggia con Alex, Bonaventura si fa espellere, Berardi si mangia un gol e poi, pochi minuti dopo, ne segna un altro in cui sta ridendo prima ancora che gli arrivi la palla, dopo un’azione pasticciata nell’area rossonera. La tocca appena, con la punta, per segnare il gol vittoria, e ride ancora sarcastico. Forse sta realizzando di aver segnato una tripletta al Milan dopo aver già segnato quattro gol al Milan.
La partita viene poi coronata dall’espulsione di Suso (!) per un fallo di frustrazione su Manganelli.
Sul palo di Donnarumma
L’anno dopo nella porta del Milan Donnarumma ha preso il posto di Diego Lopez, ma Berardi non ci mette molto a farlo fesso. Tira un calcio di punizione da venticinque metri e sceglie il palo del portiere; quello fa un passetto verso il centro, breve ma sufficiente per essere colto in controtempo. Ricordate quell’epoca in cui Donnarumma pareva particolarmente vulnerabile ai tiri da fuori, e a quelli sul proprio palo? Le compilation di gol di Berardi sono piene zeppe di reti che sembrano arrivate per caso, frutto dell’imperfezione generale, dell’errore di qualcuno. La realtà è che spesso i gol di Berardi nascono dalla sua furbizia, dall’aver trovato l’idea migliore per ingannare portieri e difensori, e magari è anche un'idea sporca.
Il Milan vince quella partita 2-1, sfruttando la superiorità numerica e trovando il gol vittoria con un colpo di testa di Luiz Adriano. I gol di Berardi non scandiscono tanto la sua crescita, quanto i cambiamenti attraversati dal Milan nella sua epoca più buia. Mostrano, per riflesso, quali tunnel infernali la squadra ha dovuto attraversare per costruirsi la piccola epoca di rinascita attuale.
Altro gol su punizione
Nella stagione 2020/21 gli umori si sono così invertiti che il Milan segna direttamente da calcio di inizio, mandando in porta Rafael Leao per la rete più veloce della storia della Serie A. Il Milan vince agevolmente, in un Mapei stadium deserto in cui si sente il rumore degli scarpini sul pallone, gli allenatori che chiamano le posizioni, i giocatori che si dicono “bravo” tra di loro. Berardi nel frattempo con De Zerbi è diventato un regista offensivo che gioca sull'esterno. È migliorato nelle protezioni spalle alla porta, nelle letture e nei tempi di gioco. Dopo alcuni stagioni di buio, la cui oscurità è misurabile dall'assenza di gol al Milan, è tornato a brillare allontanandosi dalla porta e arricchendo il suo gioco.
In questa partita tira una punizioncina stitica che però ha il merito di incocciare sulla coscia giusta e di entrare in porta. Un gol inutile che serve solo a nutrire la sete di vendetta di Berardi che inesorabile si abbatterà sul Milan.
Rip Romagnoli
E così arriviamo a domenica, una giornata storta: una delle poche del Milan di Stefano Pioli. Nulla lasciava presagire la catastrofe: il miglior Milan degli ultimi dieci anni, contro il peggior Sassuolo degli ultimi cinque anni. La tragedia inizialmente ha preso la forma squadrata di Gianluca Scamacca, ma è la faccia diabolica e maliziosa di Berardi ad averci messo la firma finale.
Nel Milan manca Tomori, e da quando manca Tomori la difesa pare nascondere un buco da qualche parte. Berardi quel buco la fiuta subito, quando entra in area di rigore e davanti a lui c’è Alessio Romagnoli: diciamo così, non un fenomeno nell’uno contro uno con l’attaccante. Berardi, come al solito, pare già ridere guardando nel futuro, mentre tocca la palla con l’interno destro. Berardi fa qualche finta di rientrare, Romagnoli si impegna in un personale tip-tap sul posto, come se il prato scottasse; Berardi fa per rientrare sul sinistro, e poi rientra verso il destro, e lì Romagnoli cade, perde l’appoggio, e la faccia gli finisce a terra. Una volta stoppata, l’immagine è atroce: Romagnoli sembra essersi addormentato di fianco mentre Berardi va in porta.
Per la dinamica l’azione ricorda il dribbling con cui Messi aveva saponato gli appoggi di Boateng in un vecchio Barcellona-Bayern Monaco. Ma in generale somiglia a tutte quelle azioni in cui un attaccante sembra uccidere la carriera di un difensore, facendolo cadere in una buca di vergogna e umiliazione. Berardi peraltro non è quel tipo di giocatore: negli anni il suo gioco si è arricchito di dettagli ma è sempre meno un calciatore capace di dominare gli avversari in maniera evidente, come fa per esempio Boga, per restare al Sassuolo. Non è un giocatore che va troppo veloce per gli altri, o che è troppo grosso. Solo contro il Milan Berardi poteva trovare un momento di questo tipo.
Il Milan non perdeva a San Siro da quasi un anno. Da quando Domenico Berardi, a nemmeno vent’anni, ballava sul suo cadavere, i rossoneri sono diventati una squadra forte, consapevole, con le idee chiare e dei progetti ambiziosi. Eppure, anche di fronte a un Milan maturo, Berardi è riuscito a trasformare una partita che si preannunciava tenera, in un incubo.
Rispetto a quando ha fatto quei quattro gol al Milan tutto e niente pare essere cambiato, nel mondo di Domenico Berardi, se non che l’universo di possibilità - che a diciannove anni si dispiegava davanti in uno spettro infinito - oggi è più modesto. Non che la sua carriera sia diventata uno spreco, intendiamoci: oggi ha 27 anni, è campione d’Europa e ha segnato più di cento gol in Serie A. Il suo talento rimane delizioso e peculiare, anche se non è diventato il calciatore dominante che a un certo punto - in quella sera nebbiosa contro il Milan - sembrava poter diventare. Berardi, insomma, si è scontrato con la banalità dell’età adulta, ma continua a giocare con quel gusto da campetto che lo fa sembrare ancora un ragazzino indisponente, uno di quei giocatori che pare provare un particolare piacere a rovinarti la festa.