
Il 22 giugno del 2021, a Palma di Maiorca, Dominic Thiem si precipita a coprire il campo sulla sua destra per provare ad agganciare il rovescio in diagonale di Adrian Mannarino. Il tennista austriaco stecca e sente qualcosa al polso della mano destra. Un dolore atroce che lo porta a chiedere il medical time-out e successivamente a ritirarsi, in una sfida che stava conducendo per 5-2. L’infortunio al polso lo costringe a chiudere la stagione 2021 in anticipo ed è il preludio della fine della sua carriera, tre anni dopo.
Certo, Thiem era già in netta difficoltà anche prima dell'infortunio, con solo nove vittorie su diciannove partite, ma cosa conta? Il “principe della terra rossa” e campione dello US Open 2020 passa i suoi ultimi tre anni di carriera ridotto a giocare il dritto, il suo colpo migliore, a velocità esigue. Fermo sotto l’ottantesima posizione del ranking, e a battagliare nei Challenger come il più comune dei rematori.
Thiem ha compiuto 31 anni il 3 settembre, e a 27 anni vinceva il suo ultimo (e unico) Slam. La sua parabola è un monito di quale sia la realtà della stragrande maggioranza dei tennisti di altissimo livello (che a loro volta sono una frazione minuscola di tutti i tennisti professionisti), molto lontana dalle imprese epiche degli ultimi vent’anni di Federer, Nadal e Djokovic. Una traiettoria forse resa ancora più tragica proprio per la convivenza con i tre moloch del tennis contemporaneo, essendo per anni il primo degli umani, e uno dei pochissimi, se non l’unico, in grado di poter fare partita quasi pari con loro sia su terra che su cemento.
Gli inizi
All'inizio Thiem è solo un buon prospetto e, si pensava, non molto di più. A 19 anni è “solo” 302 del mondo, a 20 chiude la stagione come numero 121 e “soltanto” a 21 riesce ad entrare nella top 100. Risultati sicuramente buoni ma che non attirano le attenzioni riservate a tennisti più precoci nei risultati, quasi coetanei, come Nick Kyrgios o Kyle Edmund. Quando Thiem però prende quota la prende per davvero, e a 21 anni non solo raggiunge la top 100 ma chiude anche la stagione come tennista più giovane nella top 50, chiudendo al numero 39 del mondo.
Eppure il primo Thiem ha già le caratteristiche peculiari che lo renderanno un top player. Un dritto devastante, potente ed arrotato come nella migliore costruzione moderna del tennis, un servizio in kick che si esalta sulla terra battuta e una fisicità prorompente da fondo campo. In risposta parte da molto lontano, per sfruttare la potenza del suo dritto e poter entrare nello scambio senza troppi rischi. Un modo anche per mitigare le sue aperture ampie, che gli danno problemi di timing, soprattutto in risposta, sulle superfici più veloci. A questo prototipo di tennista del ventunesimo secolo si abbina un rovescio ad una mano estremamente diverso da quello della “classicità” tennistica. Un colpo di frusta secco, a suo agio anche sulle palle alte e più imparentato con la famiglia dei Wawrinka che con quella dei Federer.
Agli inizi della sua carriera, però, Thiem fa fatica a controllare queste armi, forse non è nemmeno troppo consapevole. Ogni suo colpo esprime una fatica immane agli occhi di chi lo guarda, come se il tennis equivalesse alle fatiche di Sisifo. Non era il tennista austriaco a cui riesce tutto facile, insomma, e magari proprio questo alla fine è stato il motivo della sua ascesa. Pur essendo costantemente tra i migliori della sua fascia d’età, infatti, Thiem non ha mai avuto paura di sperimentare, forse proprio perché continuava a sentirsi poco sicuro.
A dieci anni è già il migliore junior d’Austria, ma il suo allenatore Gunther Bresnik decide che per risolvere i problemi sul rovescio deve passare a una mano. Controintuitivo, se si pensa che il rovescio a una mano è il Dodo del tennis moderno. Per un anno e mezzo Thiem perde partite che prima non avrebbe perso, ed esce addirittura tra i primi dieci della sua età in Austria. Non si dà per vinto, però. Insiste, e piano piano il suo rovescio migliora, passando da punto debole a punto di forza, e dopo due anni di sconfitte comincia ad ingranare, riguadagnando il suo posto come miglior giovane austriaco ma con un tennis nettamente superiore a quello di prima.
Anche tra i professionisti la sua crescita è graduale, non nell’ombra ma sicuramente nemmeno in piena vista, permettendogli di aggiungere mano mano nuovi pezzi al suo tennis. E quando arriva al top lo fa per restarci. Nel 2016 raggiunge per la prima volta la semifinale di uno Slam, perdendo contro il poi campione Novak Djoković ed entrando tra i primi dieci del mondo. L’anno dopo a Parigi fa ancora meglio, distruggendo proprio Djoković nei quarti, con tanto di 6-0 finale, e perdendo in semifinale contro il Re della terra battuta, Rafael Nadal.
Salita
La progressione di Thiem è semplice. Come se fosse il protagonista di un manga, riesce continuamente a superare i suoi limiti. Più gli viene addossata un’etichetta, più viene ritenuto al massimo delle sue capacità possibili, più lui dimostra di essere oltre. Gli viene chiesto di essere uno dei migliori sulla terra battuta? Fa due finali consecutive al Roland Garros, cedendo solo a Nadal e battendo Novak Djoković, tornato numero uno del mondo, al quinto set. Gli viene detto di uscire dalla comfort zone della terra battuta e in generale del suo tennis giocato a distanze siderali dalla linea di fondo? Accorcia la preparazione dei suoi colpi separandosi da Gunther Bresnik e dall’idolo Thomas Muster per assumere Nicolas Massù come allenatore.
Il tabù finale per lungo tempo rimane vincere uno Slam, e con Djokovic, Nadal e Federer ancora in giro capite che non è semplice. Thiem ci va vicino, dimostrandosi però umano, troppo umano, nelle sue tre finali contro Nadal e Djokovic. Certo, non sarebbe stato facile per chiunque, figuriamoci al Roland Garros e agli Australian Open - il problema più che altro è quanto dolorosamente riesce ad andare vicino a vincerle. Contro Nadal è il quarto tennista capace di andare un set pari con lo spagnolo in una finale dell’Open di Parigi, e contro Djokovic fa ancora meglio: va avanti due set a uno.
L’Australian Open 2020 è il primo Slam sul cemento in cui l’austriaco sembra davvero essere l’alternativa agli altri ingombranti tre. Supera Nadal nei quarti in quattro set e vince con la maturità del favorito la sfida con Zverev in semifinale. Nella finale esprime un tennis pazzesco e rimonta il set perso in avvio, si presenta al quarto set con l’inerzia dalla sua e un Djoković che, come tante volte in carriera, sembra sul punto dell’esaurimento nervoso e fisico. Il serbo rientra del medical timeout in versione Terminator e spegne le velleità di Slam di Thiem per la terza volta (complice forse anche un po’ di "braccino" nel set decisivo).
Si rifà ad Indian Wells, dove si toglie lo sfizio di battere un Federer scintillante che poi vincerà a Miami. Nel suo momento migliore, però, il tennis insieme al resto del mondo si fermano, il primo fino alla fine di agosto. Al rientro in campo c’è il cemento americano, ma non ci sono Nadal e Federer. Resta solo lui, Novak Djoković, ad impedire che Thiem abbia lo status da favorito. L’austriaco allo US Open 2020 fa tutto quello che deve essere fatto, e arriva in finale perdendo un solo set in tutto il torneo. In finale non trova il numero uno che si aspettava. Djoković, infatti, si autosabota nella sfida con Carreno-Busta, e quindi all'ultimo atto c'è uno Zverev ancora inesperto - alla prima finale Slam e che ancora non sa come rendere sui cinque set.
È un’occasione irripetibile. Eppure, nonostante la serenità restituita durante tutto il torneo, Thiem sembra arrivare impreparato all’occasione. Zverev lo sorprende con un tennis un po’ casereccio ma aggressivo, prendendo l’iniziativa con frequenti salite a rete per spezzare il ritmo da fondo e sfruttare la distanza dal campo. Un atteggiamento sorprendente se abbiamo ancora negli occhi le più recenti finali di Zverev. Eppure, anche senza brillare nel gioco di volo, il tedesco si porta meritatamente avanti di due set in una partita francamente bruttissima.
Thiem è bloccato dall’emozione, il suo tennis muscolare produce colpi corti con una fatica immensa, e va sotto di un break anche nel terzo. Costretto spalle al muro, senza più niente da perdere, comincia però a giocare come sa. La paura di vincere di Zverev fa il resto. Dominic Thiem vince il super tie-break del quinto set ed è campione Slam per la prima volta. Il primo campione Slam nato negli anni ‘90, il tennista che ha lavorato sui suoi limiti che riesce a emergere nell’epoca dei talenti sovrumani: sembra una grande storia solo all'inizio.
Non sarà così. Al Roland Garros fatica negli ottavi con Hugo Gaston che lo massacra di palle corte, e poi perde con l’amico Diego Schwartzman nei quarti. Per tutto il torneo sembra mancargli quella ferocia agonistica senza cui il suo tennis è destinato ad appassire. Si riprende alle ATP Finals, dove spezza il sogno di Nadal di vincerle per la prima volta, forse l’ultima grande occasione dello spagnolo, ma perde in finale contro Daniil Medvedev che pure aveva battuto nemmeno un mese prima in tre set. L’inizio del 2021 ha le stesse premesse del finale del 2020, ma l’esito è ancora peggiore. In Australia esce agli ottavi e su terra battuta fatica tantissimo, tanto che dopo la sconfitta di Roma con Sonego (poi semifinalista) arriva la mazzata del Roland Garros, in cui si fa rimontare da finalista uscente due set di vantaggio al primo turno con il terraiolo spagnolo Pablo Andújar-Alba.
Epilogo
Torniamo a Maiorca, a quel dritto in allungo contro Mannarino che di fatto mette fine alla carriera ad alti livelli di Thiem. L’austriaco si ferma per curare il polso infortunato ma torna ad allenarsi troppo presto, sperando negli US Open, seguendo i consigli di un membro del suo staff. Torna a fargli malissimo, evita di operarsi ma la terapia conservativa non dà i risultati sperati. Alla fine il suo polso perderà almeno il 40% della sua flessibilità, come si dice nel breve documentario sul suo recupero. Non è solo la fretta di tornare in campo, però: anni di allenamenti ad altissima intensità, uniti al suo dritto così violento, lo hanno portato a distruggersi il polso. Ancora una volta, troppo umano.
Nei suoi ultimi tre anni di carriera Thiem prova a reinventarsi basando la fase offensiva sul suo rovescio, meno colpito dal problema al polso destro. Il dritto però sembra una parodia di quello che era prima, una sensazione di fatica estrema per produrre un colpo che supera a malapena la metà campo. Fa qualche buon risultato sporadico, ma niente a che vedere con i tre anni precedenti. Emblematica della caducità del tennis e di quanto il declino possa essere pesante è la sfida di primo turno dell’ATP di Ginevra nel 2022 contro Marco Cecchinato. Con l’italiano aveva giocato e dominato una semifinale Slam sul rosso nemmeno tre anni prima. Quella che esce fuori è una partita sporca, fallosa e soprattutto vinta da Cecchinato, anche lui precipitato fuori dalla top100, in un destino che da fuori sembra comune.
A maggio, al Vienna Open, l'annuncio della fine di una carriera ricca di paradossi. Il “principe della terra rossa” finirà avendo in bacheca solo un Masters 1000 e uno Slam, tutti e due sul cemento. E avendo ottenuto "solo" il terzo posto come miglior risultato personale nella classifica ATP. Un piazzamento forse ingeneroso alla luce dei risultati raggiunti, se si pensa che dopo di lui Casper Ruud (0 Slam o Masters 1000 vinti) è stato vicino a essere numero uno, e che un tennista con il suo stesso numero di Slam vinti e forse ancora più dipendente da una singola superficie come Medvedev è riuscito a prendersi la prima piazza. Difficile però dire se quelli di Thiem possano davvero definirsi rimpianti. Poteva davvero fare di più alla fine dell'epoca dei big three? Thiem una volta ha ammesso di aver fatto molta fatica a motivarsi dopo aver vinto lo Slam, il che può sembrare assurdo se si vedono i numeri di Djokovic, Nadal e Federer.
Anche Thiem, come molti altri sportivi di alto livello, sembra aver capito dopo averla raggiunta che la vittoria non è quello che sembra, e che per rimanere in cima ci vuole una forza che confina con l'incoscienza. «Pensavo mi avrebbe reso felice per tutta la vita ma non è cambiato niente», ha detto una volta «Nessuno tra vent’anni si ricorderà se ho vinto uno Slam o no. Prima per me non era così, pensavo che se non avessi vinto uno Slam avrei sempre avuto i dubbi sulla mia carriera. È bello averlo, ma in fin dei conti è solo un trofeo, non cambia la vita». Djokovic, Nadal e Federer forse non sarebbero d'accordo ma Thiem, nel bene e nel male, non è nessuno di loro tre.