«Un giorno sconvolgente». Il titolo lo detta direttamente l’ex presidente della World Anti-Doping Agency (WADA), Dick Pound. Un terremoto con epicentro a Monaco di Baviera, dove la commissione presieduta da Pound, su mandato della WADA, presenta la seconda parte dell’indagine sui casi di positività nascosti dall’atletica mondiale. Novantacinque pagine di dossier, che si vanno ad aggiungere alle oltre trecento che a novembre hanno gettato nell’ignominia il sistema sportivo della Federazione Russa. Orrori, coperture e connivenze tra International Association of Athletics Federations (IAAF) e alcune federazioni nazionali che gettano ulteriore discredito sull’associazione e sul sistema. Un sistema di controlli che, almeno tra il 2001 e il 2012, ha funzionato a piacimento di politici e funzionari corrotti.
Ed è proprio sulla corruzione di chi doveva vigilare sulla retta condotta di federazioni e atleti che si focalizza la seconda parte del lavoro degli uomini di Pound. «Le informazioni sono piuttosto chiare e dimostrano che la corruzione partiva dal vertice della IAAF, dal presidente Lamine Diack». Con queste parole Richard McLaren, membro della WADA e consulente legale, illustra la seconda parte del report della commissione indipendente dell'Agenzia mondiale antidoping sull'atletica e sulle colpe della Federazione internazionale, fra corruzione e doping. «Certi individui all'interno della IAAF sono andati oltre la corruzione sportiva—prosegue McLaren—si potrebbe dire che c'è stata una corruzione criminale. E questo dimostra che non è più il momento di negare, ma è il momento di fare le riforme».
Il report della commissione WADA parte seconda, da Monaco.
Nella seconda parte del rapporto viene messo in evidenza come la corruzione fosse «parte integrante» della IAAF e la commissione punta il dito contro il Consiglio della stessa Federazione internazionale «che non poteva non essere a conoscenza di quanto fosse diffuso il doping nell’atletica». Di qui la condanna ferma nei confronti dell’ex presidente della IAAF, Lamine Diack, e le nuvole nere che si addensano attorno al successore Sebastian Coe, che di quel Consiglio faceva parte.
Eppure il capo della commissione antidoping accorda fiducia al nuovo presidente dell’atletica mondiale, sostenendo che «è una favolosa opportunità per la IAAF per andare avanti e non riesco a pensare a nessuno migliore di Lord Coe alla sua guida». Sarebbero bastate poche parole, dopo le tante spese sia nel report che nella conferenza stampa di Monaco di Baviera, per polverizzare la nascente carriera di Coe alla guida della federazione. Invece Dick Pound, a novembre tanto gelido nel mettere alla berlina l’intero sistema dell’atletica russa, ha deciso di dare una mano a Sebastian Coe salvandone la reputazione, ma affidandogli il compito di ridare dignità al sistema atletica.
Nella fogna di Lamine Diack
Insomma si tratta di un sistema totalmente corrotto o, come sostiene Coe, di poche mele marce? Lamine Diack, ex presidente IAAF, arrestato a novembre e oggi in libertà vigilata, è accusato di corruzione e riciclaggio di denaro sporco, si sospetta che abbia preso più di un milione di euro. Soldi estorti ad atleti e federazioni sportive nazionali come la Russia in cambio di silenzi, ritardi, protezione sui numerosi casi di doping sospetti o acclarati che riguardavano principalmente la Russia nella stagione 2012. Il tramite delle estorsioni era l’allora presidente della federatletica russa (ARAF) Valentin Balakhnichev. Quei soldi servivano per vincere le elezioni in Senegal, paese d’origine di Diack. Lo ha raccontato lo stesso Diack a Le Monde.
La reazione del presidente IAAF Sebastian Coe alle accuse della commissione WADA.
L'obiettivo è raggiunto: nel 2012, tra febbraio e luglio si tengono le elezioni presidenziali, perse dall'uscente Wade a favore dell'oppositore Macky Sall, uomo di Diack. Ma per centrarlo ci vuole la collaborazione di tutto lo staff attorno a Lamine Diack. Il suo consigliere personale, Habib Cissé, viaggia avanti e indietro con la Russia: «Aveva il compito di discutere con Balakhnichev i casi degli atleti russi in difficoltà con l'antidoping e con il passaporto biologico non in ordine. Lui sapeva che il russo aveva promesso aiuto per la campagna elettorale dell'opposizione». Ma i viaggi di Cissé non bastano per essere tranquilli; ai russi serve una collaborazione più concreta. La mette in atto addirittura il responsabile dell'antidoping della IAAF, Gabriel Dollé, convinto a collaborare con la giustizia e a fare importanti ammissioni.
Nel gennaio 2012 c'è addirittura un summit: Cissé, Diack e Balakhnichev, a Monaco. «C'era in ballo il caso della maratoneta Shobukhova—racconta Bollè il 3 novembre 2015 agli inquirenti francesi—e mi era stato suggerito di differire il trattamento del caso per non indisporre sponsor importanti della IAAF». Gli accertamenti arriveranno solo a dicembre 2012. Per questo "servigio" Dollé incassa 70.000 euro. «Me li ha dati direttamente Papa Massata Diack (figlio di Lamine, dirigente IAAF anche lui) in un incontro all'hotel Firmont di Monaco». Altri 140.000, riferisce sempre Le Monde, arrivano poco dopo, 90.000 dei quali di prima mano dal presidente Diack. Poi gli investigatori trovano ben altro durante una perquisizione in casa del dirigente IAAF. 87.000 euro in contanti nascosti in un vano segreto sotto la lavatrice.
Il 7 gennaio di quest’anno l'Ethics Board della federazione mondiale di atletica leggera ha squalificato a vita proprio Balakhnichev, insieme a Papa Massata Diack, figlio di Lamine, nonché già consulente marketing della stessa federatletica mondiale e Alexei Melnikov, in passato capo settore per la federazione russa di marcia e maratona. Cinque anni di squalifica sono andati a Gabriel Dollé, già direttore del dipartimento antidoping della IAAF. Sul fronte penale Dollé e Cissé sono trattenuti e accusati di corruzione in Francia. Diack, come detto, è in libertà vigilata e il figlio Papa, che si crede in Senegal, sarebbe arrestato se mettesse piede in Francia.
Ma non è tutto. Nel secondo rapporto presentato a Monaco è scritto che Lamine Diack voleva fare un accordo con Putin perché 9 atleti accusati di doping non partecipassero ai Mondiali di Mosca. Diack scelse anche personalmente un avvocato (Cissé, si è scoperto in seguito) per occuparsi dei casi russi, ma questo non aveva esperienza circa le misure antidoping. Il rapporto racconta anche di un improvviso e sospetto innalzamento del prezzo dei diritti televisivi dei Mondiali di atletica di Mosca 2013, passato da 6 a 25 milioni di euro, pagati immediatamente da una banca russa alla IAAF. Diack ha anche dichiarato che la federazione russa era in una posizione difficile e che poteva essere risolta solo da Putin, con cui era diventato amico. Non ci sono stati chiarimenti a riguardo. Quel che è certo è che i 9 atleti non parteciparono e la IAAF non fece indagini sui loro casi.
A novembre 2011 Diack scarica la responsabilità dei casi russi sul suo avvocato personale, Cissé, che è attualmente sotto indagine per corruzione. Ad aggravarne la posizione c’è anche la parte del report che riprende la questione dei diritti tv: si parla di un incontro in un hotel di Mosca nel 2012 tra Papa Diack, Cissè, un adviser del network di Stato russo e il capo della federazione russa di atletica Balakhnichev, che era anche tesoriere onorario della IAAF. L'incontro si teneva per risolvere un "problema", ma è proprio in seguito a esso che la quotazione dei diritti passa dai 6 milioni ai 25.
Interessante è anche la vicenda della maratoneta russa Liliya Shobukhova, una degli atleti coinvolti nello scandalo doping, che pagò con 450mila euro il rallentamento delle indagini a suo carico, potendo così partecipare sia alle Olimpiadi di Londra 2012 che alla maratona di Boston di quello stesso anno. Del suo passaporto sanguigno, come di quello di tutti gli altri atleti russi, si occupava l’avvocato Cissé. Thomas Capdevielle, che all'epoca era l'ufficiale in capo all’antidoping, nel novembre 2011 fu informato da Dollé della sua esautorazione a favore dell’avvocato di Diack. Lo stesso Capdevielle ha definito «insolito e inappropriato», di fronte alla commissione di Dick Pound, che Cissé gestisse quei casi e rimase scioccato quando vide la Shobukhova partecipare alla gara di Londra.
Le ali di Sebastian Coe
Come può un uomo, che fa parte della IAAF dal 2003 e che è stato presidente del comitato promotore delle Olimpiadi di Londra, che quindi al momento dei fatti riportati è da otto anni piuttosto vicino alla fanghiglia di Diack, uscirne pulito e profumato? Può grazie alla fiducia e alla speranza che in lui ripongono la WADA e il nuovo board della IAAF: il feroce Dick Pound con lui si fa accomodante.
Pound continua riconoscendo che, nonostante la fiducia e la speranza in Sebastian Coe, è molto grande il gap di reputazione che la IAAF è chiamata a recuperare. Ripete spesso una frase che dice tutto della volontà da parte della commissione da lui presieduta e della WADA che ha commissionato il lavoro di ricostruire una federazione e la sua credibilità, con buona pace di coloro che si aspettavo altri colpi, magari ad altri federazioni nazionali e a singoli atleti. «All our fingers are crossed», dita incrociate appunto.
Possibile che la IAAF, nella cui commissione Coe siede dal 2003, che ha mostrato di non avere interesse («genuino appetito» secondo le parole di Pound) a risolvere gli evidenti problemi di doping dei propri atleti, possa rinascere sotto la guida del lord inglese? Secondo Dick Pound è possibile perché «si impara dall’esperienza». Insomma più grande è la fiducia accordata, più grandi sono le responsabilità. Coe ha vissuto settimane sulla graticola, ora ha l’investitura dell’uomo solo al comando e si gioca completamente la sua reputazione.
Dick Pound ha scelto le parole con cura da avvocato, la cura di qualcuno con esperienza decennale nella politica sportiva internazionali (va ricordato che è stato presidente della WADA). Concede la sua benedizione alla presidenza Coe, evita di intralciare il suo cammino di massimo dirigente coi fallimenti di un intero board, ma allo stesso tempo glieli mette di fronte chiedendogli un’intensificazione dei controlli perché «la continua negazione dei problemi ha portato a questo punto in cui sarà difficile fare progressi».
Nella relazione presentata a Monaco il nome di Coe appare soltanto due volte. Giova ricordarlo anche a fronte dell’interesse dimostrato dai giornalisti presenti alla conferenza stampa e anche, e forse soprattutto, di coloro che non c’erano e non si sono presi la briga nemmeno di seguirne lo streaming. È possibile che la commissione non abbia voluto approfondire l’indagine nei confronti di Coe perché lo ha giudicato il cavallo su cui puntare, oppure per mancanza di un’alternativa. Rimane il fatto che ora tocca a lui e il suo commento a fine conferenza dice tutto: «La IAAF ha ancora un enorme compito davanti a sé per riconquistare la fiducia della gente. Non possiamo cambiare il passato, ma intendo adoperarmi affinché noi impariamo da esso per non ripetere gli stessi errori».
Ottime parole, che difficilmente basteranno. Coe è atteso al varco da tutti e rimane nel mirino di molti. Come ad esempio il Times che si chiede come è possibile che non sapesse del fiume di denaro e marciume che scorreva tra Mosca e Montecarlo, per coprire i mancati controlli russi. Lui si è difeso dicendo: «Parlando di quell’epoca, facciamoci qualche domanda: i risultati anomali del sangue sono stati indagati? Sì. Sono state comminate sanzioni? Sì. Abbiamo mai nascosto qualcosa? No».
Sullo sfondo poi restano i dubbi sul Kenya e i suoi eroi del mezzofondo, aiutati dietro pagamento di tangenti a evitare controlli a sorpresa o, nei casi peggiori, a risultare puliti. A fine novembre era già saltata la testa del presidente federale di Nairobi. Diciotto, almeno, tra i 146 atleti dai dati sospetti svelati da un’inchiesta di ARD e Sunday Times dell’agosto scorso, provengono dalla Rift Valley. Molti farebbero capo al centro di allenamenti di Iten, alcuni di loro erano seguiti dal leggendario missionario irlandese Colm O’Connell, l’allenatore soprattutto del primatista mondiale degli 800 David Rudisha.
Colm O’Connell—un uomo in missione.
Kenya, ma non solo: secondo le ultime indiscrezioni, anche le federazioni nazionali e le agenzie antidoping di Etiopia e Marocco avrebbero pagato tangenti a Diack e alla sua pletora perché i propri atleti uscissero immacolati. Dal 2006 al 2012 nessun atleta di primo piano proveniente dai due paesi è inciampato in controlli a sorpresa o fuori competizione. «Lo scandalo russo è solo la punta dell’iceberg» raccontò a novembre, in occasione della pubblicazione del primo report, l’ex presidente dell’Agenzia mondiale antidoping. Allora fu la Russia a uscire con le ossa rotte dalle conclusioni della Commissione. Oggi il giudizio rimane sospeso, ma ancora per quanto tempo?
Quando Pound raccomandò di sospendere la federazione atletica russa.
Per rispondere al dubbio la IAAF attuale ha diffuso un controdossier, il presidente Sebastian Coe ripete che non c’è mai stata volontà di nascondere e che da quando è in carica ogni decisione è stata resa pubblica, ogni anomalia spiegata: «Cerchiamo di essere il più trasparenti possibile». Sanno che il crollo della fiducia è verticale e Coe è stato per anni vicepresidente, più in un ruolo da ambasciatore che in una posizione operativa, ma pur sempre dentro una federazione che si è dimostrata pessima. Il nuovo corso chiede la possibilità di svoltare solo che oggi è in arrivo un altro scossone.