
Se dieci anni fa ci avessero detto che Gerard Deulofeu sarebbe diventato il numero 10 e il leader tecnico dell’Udinese, forse avremmo riso. Lo so: è un giochino stupido, applicabile a qualsiasi altra cosa, ben più importante e clamorosa. Se dieci anni fa ci avessero detto che Donald Trump sarebbe diventato Presidente degli Stati Uniti?
Però è un giochino che per Deulofeu è utile a farci capire la distanza tra il punto da cui è partito e quello in cui è arrivato, e soprattutto quali strade strane e imprevedibili ha attraversato nel frattempo. Deulofeu era considerato uno dei talenti più eccezionali del calcio europeo. Il leader tecnico della Masia del Barcellona, nell’epoca aurea della Masia del Barcellona; Deulofeu con i capelli biondi, l’aria da giovane avvocato e un cognome catalano che significa, letteralmente, “fatto da Dio”. Il giocatore più talentuoso della generazione successiva a quella di Thiago Alcantara e Rafinha. Eravamo nell’epoca in cui qualsiasi talento uscito dalla Masia sembrava possedere una portata generazionale, e Deulofeu sembrava il futuro della prima squadra, in quel periodo allenata da Luis Enrique. Mentre i giovani normali vanno in prestito in squadre di bassa classifica, o persino in serie inferiori, Deulofeu è andato in prestito all’Everton. Questa è la considerazione di cui godeva da teenager: pur non avendo esperienza, il suo talento veniva considerato così vasto da poter essere utile a una squadra di media classifica di Premier. Non era una considerazione campata in aria, visto che con la maglia dell’Everton Deulofeu ha avuto subito un impatto, con un gol al suo debutto, e poi uno contro l’Arsenal, sparando sotto l’incrocio dei pali un tiro dentro l’area di rigore. La preparazione al tiro è fulminea e ricalca le azioni di Deulofeu a livello giovanile: un giocatore semplicemente troppo tecnico e veloce per essere arginato. Il suo allenatore in Inghilterra, Roberto Martinez, aveva detto «Ha già superato le mie aspettative. Pensavo che avrebbe avuto bisogno di mesi per ambientarsi, invece è già molto avanti».
I dubbi in quel periodo non sono sul suo talento, ma sul modo più corretto di gestirlo. Nell’anno del suo esordio tra i professionisti, Bojan Krkic - il più grande talento uscito dal Barcellona dopo Messi - stava già vivendo la sua seconda fase di declino. Dopo il fallimento italiano - con Roma e Milan - giocava, poco e male, con la maglia dell’Ajax. Era un monito a quelli che sarebbero arrivati dopo di lui: nemmeno col talento più puro, nemmeno venendo dal settore giovanile più certificato al mondo, si può stare sicuri di non fallire nel calcio professionistico. Secondo Martinez sulla decisione di Deulofeu di trasferirsi in Inghilterra avevano inciso gli esempi di Fabregas e Piqué: «Si sono formati nel gioco inglese e sono tornati in Spagna come giocatori migliori».
Deulofeu ha intrapreso una formazione quindi più lenta e razionale, cercando di schivare le trappole della predestinazione; solo che questa formazione ha finito per prolungarsi per troppo tempo e Deulofeu è diventato uno di quegli eterni giovani che continuano ad accumulare presenze in Under-21 attraversando epoche diverse. Eterno paradosso di un talento che non si decide a sbocciare, ma nemmeno a sfiorire del tutto. Come scriveva Marco D’Ottavi in un pezzo dedicato, significativamente, agli Under-21 che non sembrano tali: «Giovani che non riescono ad entrare nei posti che contano, che continuano ad arricchire il proprio curriculum senza però fare passi in avanti». Dall’Everton Deulofeu è andato al Siviglia, e siccome è andata un po’ peggio il Barcellona ha deciso che forse non valeva davvero la pena puntare su di lui. È stato di nuovo l’Everton a credere in Deulofeu, ad acquistarlo per 6 milioni di sterline, a farlo giocare. Lui vive una buona fase ma forse non del tutto convincente - come tutte quelle iniziali di Deulofeu - in cui si segnalano diversi assist a Romelu Lukaku («Gli avrò dato qualcosa come 10 assist, deve ancora pagarmi un viaggio a Miami» ha detto in una recente intervista).
Qualche assist, va detto, è notevole, come quello contro il West Ham; in altri è semplicemente Lukaku che piega la realtà circostante ai suoi desideri più violenti.
Dopo il Barcellona, però, anche l’Everton pensa che per Deulofeu sia meglio continuare la propria formazione altrove, e lo cede in prestito al Milan. Un Milan decadente, della tarda epoca berlusconiana, che cercava di restare competitivo senza spendere un soldo. Deulofeu era un profilo ideale, un potenziale talento d’élite che stavano regalando. Un anno prima era andato via Jeremy Menez, e lui sembrava poterne ricalcare l’edonismo tecnico. Per Deulofeu, un po’ a sorpresa, è un ottimo periodo; è uno degli ultimi acquisti di Adriano Galliani, che lo prende sotto la sua ala protettiva. Lo porta a cena al ristorante, lo presenta in qualche evento milanese. È il primo anno in cui dà l’impressione di poter esprimere il suo, ormai quasi solo aneddotico, potenziale. All’esordio, contro il Bologna, fa subito un assist con l’azione più caratteristica del suo talento in quegli anni: un dribbling sul binario di fascia, sfruttando una frequenza di passo sempre un tantino imprevista, una corsa che arriva fino in fondo per mettere un “passaggio della morte” per il classico tap-in di Pasalic. Il Milan stava giocando nove contro undici. Quante epoche calcistiche sono passate, da quando Deulofeu serviva gli assist a Pasalic con la maglia del Milan?
È un tipo di giocata che in quei mesi Deulofeu propone a ripetizione, sguazzando nella lentezza compassata dei difensori del nostro campionato. In quella stagione registra il suo picco di dribbling - 5,4 tentati, di cui 3 riusciti. C’è qualcosa di incredibilmente meccanico e ripetitivo, quasi da ala della Serie A degli anni ’90: un esterno da 4-4-2 che gioca sul binario, che cerca di superare i terzini in velocità per giocare dei cross nel mezzo; oppure che gioca a piede invertito per provare il tiro. In questo senso - con i suoi dribbling atletici, la rifinitura affidata ai cross, uno spartito più o meno sempre simile - Deulofeu sembrava un giocatore troppo meccanico per il Barcellona, troppo poco sofisticato a livello di sensibilità tecnica e di tattica individuale. In più, negli ultimi metri era troppo impreciso. Al Milan segna 4 gol in 18 presenze, che rappresentano comunque la sua miglior stagione realizzativa fino a quel momento.
A fine stagione i rossoneri sono nel mezzo di un cambio di proprietà, e Deulofeu ne fa le spese. «Adriano Galliani voleva che rimanessi, ma non aveva più potere. Il nuovo management voleva che andassi via a fine stagione e così me ne sono andato». La stagione è abbastanza buona da convincere il Barcellona a esercitare il diritto di riacquisto dall’Everton per 12 milioni di sterline. Arrivato in Catalogna dice che i mesi al Milan sono stati i più belli della sua vita, ma che essere un giocatore del Barcellona è sempre stato il sogno della sua vita.
Deulofeu ritorna completamente trasfigurato da quando era andato via. I suoi video degli anni dalla Masia sono un racconto di pura onnipotenza; di conduzioni palla al piede con l’esterno, di difensori bambini che gli cadono ai piedi, di finte illeggibili, di tiri d’interno che finiscono in angoli impossibili per portieri non del tutto sviluppati. Quando arriva nella squadra B continua a essere semplicemente troppo forte per il contesto che lo circonda, segna gol su punizione da trenta metri, segna 18 gol in una sola stagione giocando ala. Quell’anno la squadra arriva addirittura ottava in Segunda, Deulofeu viene considerato da qualcuno la risposta catalana a Cristiano Ronaldo. E forse per Deulofeu questa onnipotenza è stata un problema: non ha mai sentito il bisogno di evolvere il proprio gioco in senso collettivo, fidandosi della propria capacità individuale di incidere. Nessuno, però, nel calcio d’alto livello può decidere le partite da solo.
Deulofeu, insomma, era andato via con la promessa di un’ala fantasiosa, dalle letture raffinate, dominante sul piano tecnico; era tornato come un esterno iper-atletico, esplosivo e dai grossi volumi statistici. Un’ala che dribbla e crossa molto, dalle letture di gioco ormai atrofizzate dietro un’idea meccanica del gioco. Gioca una quindicina di partite, prima di essere rispedito in Inghilterra, dove il suo stile di gioco diretto viene di certo apprezzato di più. Al Watford Deulofeu ha giocato la miglior stagione in carriera, con 12 gol in 33 partite (10 in Premier e 2 in FA Cup), prima di cominciare a soffrire di problemi fisici che hanno convinto poi i Pozzo a spostarlo a Udine, dove magari aveva più possibilità di rilancio. In quel momento si era parlato anche di un ritorno al Milan, o di un passaggio al Napoli; Deulofeu però ha preferito l’Udinese perché aveva più possibilità di giocare - «Quando non gioco non sono felice» ha chiosato.
Quando era arrivato al Milan aveva detto di sognare «Un Mondiale, ma anche il Pallone d’Oro non sarebbe male»; all’Udinese è tornato umile: «Il primo obiettivo è ritornare in forma. Voglio giocare più minuti possibili e aiutare a vincere le partite». Quando è arrivato sembrava dover sostituire Rodrigo De Paul, che però alla fine è rimasto e sembrava un lusso per l’Udinese. Deulofeu però ha finito per passare la stagione in infermeria per un’infiammazione al ginocchio, lo stesso su cui aveva subito la rottura del legamento crociato. Ha chiuso l’anno con 1 gol e 1 assist.
C’erano poche premesse, quindi, a questa stagione, di gran lunga la migliore della carriera di Gerard Deulofeu. Forse qualcosa si poteva intuire dall’estate, visto che la cessione di De Paul ha finito per dargli molte responsabilità creative. Non era però scontato che lui se le prendesse, soprattutto in una stagione difficile per l’altra fonte creativa della squadra, ovvero Roberto Pereyra. «De Paul era un vero leader, un giocatore con una grande esperienza. Da quando è andato via, io ho preso il suo posto. Voglio aiutare i miei compagni per essere tutti campioni e raggiungere obiettivi importanti» ha detto in una delle tante interviste rilasciate quest’anno, in cui ha iniziato a parlare da leader carismatico.
Deulofeu, come nelle migliori stagioni inglesi, continua a essere un giocatore dagli alti volumi statistici, ma sono numeri che non riflettono più un giocatore meccanico, concentrato solo su dribbling e cross. Il suo talento è tornato a brillare nella sua complessità come negli anni di gioventù al Barcellona. Nel gioco diretto e negli spazi lunghi in cui attacca l’Udinese, l’esplosività fisica e le qualità tecniche di Deulofeu sono rifiorite. Oggi è nel 99esimo percentile - il migliore - per conduzioni palla al piede progressive (dati Statsbomb via Fbref) nel campionato; è nel 97 esimo per passaggi progressivi, nel 92esimo per passaggi in area di rigore e per xA (expected assist). Il dato che però restituisce meglio la nuova dimensioni di Deulofeu è quello dell’On Ball Value, un metro statistico che misura la capacità di creare azioni pericolose con la palla al piede. Significa che Deulofeu è un giocatore dalle letture raffinate, in grado di prendere sempre la scelta più efficace.
Di sicuro lo ha aiutato una condizione fisica ritrovata, ma c’entra anche il contesto in cui si trova. La verità è che non ci sarebbe alcun sistema al mondo, in grado di garantire a Deulofeu tanta influenza, libertà, centralità. Nessuno come una squadra italiana con un’impronta essenzialmente reattiva, che attacca su un campo lungo e in modo diretto. Una squadra con un riferimento offensivo fisso, centrocampisti atletici e un numero dieci a cui affidare la complessa operazione di trasformare una squadra lineare in una imprevedibile. Deulofeu nell’Udinese gioca seguendo il suo istinto, perde molti palloni, ha più dribbling falliti che riusciti, ma sono rischi che vale la pena accettare perché la bilancia rimane comunque positiva.
Rispetto al passato gioca in zone più centrali, è diventato più furbo negli smarcamenti, e nel trovare le tasche di spazio migliori per disordinare le difese avversarie. Una delle conseguenze è che sta calciando e segnando come mai in carriera. Con 11 reti ha superato già la sua migliore annata realizzativa in campionato dei tempi del Watford. A 28 anni, dopo una carriera strana e irregolare, Deulofeu sembra essere finalmente tornato a brillare come prometteva. Magari non è davvero la risposta catalana a Cristiano Ronaldo, ma oggi la sua creatività sulla trequarti è merce rara - specie in un campionato che ha una carenza cronica di giocatori creativi, bravi a saltare l’uomo e a servire l’ultimo passaggio. Oggi farebbe comodo a diverse squadre di alta classifica come Napoli, Milan o Atalanta, che hanno mostrato diversi problemi qualitativi negli ultimi metri.
L’Udinese è una delle squadre con più gol segnati da fuori area, Deulofeu ne ha segnati 3 molto simili, con ricezioni centrali inusuali per la sua carriera e tiri bassi e angolati.
Deulofeu è l’ultimo esempio di giocatore talentuoso che sembrava perso e che invece ha ritrovato slancio nel nostro campionato. Giocatori anche molto diversi come Mkhitaryan, Ribery, Luis Alberto, “Papu” Gomez, accomunati dal fatto di aver trovato nei ritmi più compassati della Serie A gli spazi e i tempi per esaltare un talento che pareva sopito. Magari è solo una conseguenza di un ambiente meno competitivo rispetto ad altri campionati, ogni tanto però vale anche solo la pena godersi lo spettacolo, e quest’anno veder giocare Deulofeu è un piacere.