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Dove può arrivare il Milan
28 ott 2016
Proviamo a capire qual è la reale dimensione della squadra di Montella.
(articolo)
18 min
(copertina)
Foto di Valerio Pennicino/Getty Images
(copertina) Foto di Valerio Pennicino/Getty Images
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Quando ormai scorrono i titoli di coda sul trentennale regno di Silvio Berlusconi, nella stagione più inaspettata e caratterizzata dal basso profilo, il Milan sembra essere finalmente tornato a lottare per le posizioni di vertice. Dopo i 19 punti in 9 giornate – meglio anche dell’anno dell’ultimo scudetto –, e il secondo posto alle spalle della Juventus, la netta sconfitta contro il Genoa pare aver ridimensionato le ambizioni dei rossoneri. O meglio, pare aver riportato l’asticella delle aspettative a un livello più in linea con la qualità della rosa e gli obiettivi stagionali. È soltanto una battuta d’arresto, un “incidente di percorso” come lo ha definito Montella, o dobbiamo aspettarci un declino nelle prossime giornate?

Cambiamenti

L’estate vissuta dal Milan è stata storica da un lato, per la firma con la Sino-Europe Sports Investment del contratto preliminare per la cessione della società, piuttosto dimessa, invece, dal punto di vista del calciomercato. Sono infatti arrivati Leonel Vangioni, Gianluca Lapadula, José Ernesto Sosa, Gustavo Gómez, Mario Pasalic e Mati Fernández: comparse (Vangioni, Pasalic e Mati, infortunatosi subito dopo l’acquisto) e giocatori utili nelle rotazioni (Lapadula, Sosa e Gómez), che non hanno rinforzato molto la rosa rispetto all’anno scorso. Alla formazione titolare sono state così aggiunte solo due facce “nuove”: Gabriel Paletta e Suso, rientrati dai prestiti all’Atalanta e al Genoa.

In parallelo a una campagna acquisti deludente, gli abbonamenti sono crollati a 12.767, il dato peggiore dal 1982: la fiducia attorno alla squadra, insomma, era ai minimi termini e forse nemmeno il tifoso più ottimista avrebbe potuto immaginare un simile miglioramento nei risultati con una squadra non molto diversa da quella che l’anno scorso aveva fallito ancora una volta la qualificazione in Europa.

Come successore di Cristian Brocchi, nel frattempo, era stato scelto Vincenzo Montella, cui ovviamente spettano grandi meriti per i risultati di questo inizio di campionato. Arrivato in un clima da fine impero e poco supportato dalla società sul mercato, Montella si è concentrato da subito sui princìpi di gioco, marcando così la differenza più netta rispetto allo scorso campionato: Sinisa Mihajlovic ci ha messo quasi un intero girone per trovare un assetto stabile e coerente con le caratteristiche della rosa a disposizione, Montella ha dato un’identità tattica al Milan sin dalla prima giornata.

Il manifesto del nuovo Milan

Le caratteristiche principali del gioco del Milan sono già evidenti all’esordio in campionato contro il Torino. La squadra si schiera in teoria con il 4-3-3, ma l’interpretazione del modulo è così fluida da sfuggire a una catalogazione rigida. Nelle fasi di possesso consolidato i rossoneri si schierano infatti con il 2-3-5: Paletta e Romagnoli cominciano l’azione, supportati da Kucka, Montolivo e Bonaventura, che per smarcarsi utilizzano gli spazi lasciati liberi dai terzini, alti sulla linea degli attaccanti, e quello in mezzo ai difensori centrali, che allargandosi contribuiscono a mandare a vuoto il pressing avversario. In fase di non possesso, invece, Niang si accentra per marcare il mediano avversario (Vives), Bonaventura si allarga a sinistra, mentre Montolivo e Kucka formano il doble pivote che protegge la difesa, con Suso che si abbassa sulla loro stessa linea.

Si intravedono da subito alcuni principi di gioco cari a Montella: ad esempio la costruzione pulita dell’azione, sfruttando la superiorità generata dai cinque giocatori coinvolti nell’impostazione, oppure l’occupazione contemporanea di tutti gli spazi in zona offensiva, che costringe la squadra avversaria a compiere una scelta tra difendere l’ampiezza o il centro del campo, lasciando inevitabilmente un uomo libero. Allo stesso tempo, Montella sembra scendere a patti con le caratteristiche della sua rosa: non punta a controllare la partita attraverso il pallone, come invece amava fare alla Fiorentina, ma chiede ai suoi di verticalizzare velocemente e con insistenza, mettendo in mostra una serie di giocate codificate. Tra le direttrici di gioco preferite c’è quella che va da uno dei due difensori centrali direttamente a Niang o Suso, che lasciano le fasce ad Antonelli e Abate e si accentrano per giocare negli half-spaces. Da lì infatti possono girarsi e guardare subito la porta, per arrivare al tiro o servire uno dei compagni che attacca la profondità.

Concetti che vengono tradotti nell’1-0 di Bacca: è solo il primo gol della stagione, ma è già un manifesto programmatico del Milan di Montella.

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Romagnoli verticalizza su Niang nell’half-space, Niang lancia Abate alle spalle della difesa del Torino, Bacca spinge facilmente in rete il cross del compagno.

Emergono anche alcuni difetti che, col senno di poi, sembrano strutturali: la mancanza di equilibrio in alcuni momenti della partita, ma soprattutto l’incapacità di controllarla. Il Milan merita la vittoria (il conto degli Expected Goals è favorevole: 1,72 contro lo 0,96 del Torino) ma rischia di buttarla al 90’, in vantaggio di due gol: prima Baselli accorcia le distanze, poi Belotti, nell’ultimo secondo utile, sbaglia il rigore che avrebbe permesso al Toro di pareggiare.

Le prime difficoltà e la svolta

Le successive sconfitte contro il Napoli e l’Udinese, oltre a far sorgere i primi dubbi e, nell’ipotesi peggiore, prospettare l’ennesima stagione anonima, mettono bene in evidenza i limiti della squadra di Montella. La partita contro l’Udinese, in particolare, è un esempio molto calzante della velocità con cui gli allenatori italiani riescono ad adattarsi alle novità tattiche proposte dai colleghi per metterne a nudo i punti deboli. Iachini aveva deciso infatti di controllare i cinque giocatori del Milan coinvolti nella fase di impostazione con soli tre giocatori: de Paul in marcatura su Montolivo; Zapata e Théréau a dividersi tra la schermatura di Poli e Sosa (le due mezzali rossonere) e le uscite su Paletta e Romagnoli. In questo modo Iachini aveva liberato le sue mezzali, dando loro il compito di tenere d’occhio la principale fonte di pericoli del Milan, i due esterni offensivi (nell’occasione Bonaventura e Suso), schermandoli o marcandoli direttamente, cancellando così l’inferiorità numerica della propria difesa contro la linea d’attacco a 5 del Milan.

Si notano: il pressing studiato da Iachini sulla fase di impostazione del Milan e il tentativo dei rossoneri di aggirarlo grazie alla catena laterale sulla fascia sinistra.

Penalizzati dalle assenze di Kucka e Niang, due pedine fondamentali nello scacchiere di Montella, i rossoneri avevano faticato a rendersi pericolosi, colpendo una traversa con una bella giocata di Sosa e creando una sola grande occasione (0,54 xG) non sfruttata da Bacca, quando Perica aveva già segnato il gol del definitivo 1-0. Giunto già alla quarta giornata a un momento di svolta della stagione, il Milan è però riuscito a reagire e a infilare una striscia di risultati utili che hanno permesso di risalire la classifica fino a un insperato secondo posto.

Guardando il cammino dei rossoneri, è doveroso sottolineare alcune circostanze favorevoli: le partite contro la Sampdoria e la Lazio, ad esempio, vittorie chiave per ritrovare fiducia e morale dopo le due sconfitte consecutive, sono state sbloccate grazie a errori gratuiti di due avversari, Skriniar contro la Samp e Parolo contro la Lazio. In entrambe le gare il Milan aveva mostrato grandi difficoltà nell’aggirare il primo pressing avversario, con ovvie ricadute negative sull’intera fase di possesso.

A Genova, il gol nei minuti finali di Bacca ha permesso di portare a casa i tre punti dopo una partita bloccata e indirizzata sullo 0-0; contro la Lazio, la rete di Bacca, arrivata invece nel primo tempo, ha consentito al Milan di avere più spazi per giocare in verticale e, di conseguenza, creare diverse occasioni (è la partita in cui ha totalizzato il valore più alto di xG, 1,86), legittimando così il successo per 2-0.

Il buon momento di forma della squadra di Montella si è poi consolidato nelle partite contro Fiorentina, Sassuolo e Chievo, chiuse con un pareggio e due vittorie, ma con prestazioni altalenanti, non solo nel breve periodo, ma anche all’interno della stessa partita, con la vetta più alta raggiunta nell’assurda sfida contro il Sassuolo, rimontato da 1-3 a 4-3 nel giro di otto minuti.

La vittoria contro la Juventus sembrava poter aprire scenari nemmeno sognati a inizio stagione, immediatamente chiusi dal 3-0 subito a Marassi dal Genoa: qual è allora la reale dimensione del Milan?

Pregi e difetti della fase offensiva

Statisticamente, il secondo posto era semplicemente inspiegabile. La squadra di Montella non eccelle in nessuna statistica, non avvicina né la pericolosità della Roma (il volume medio di tiri prodotto a partita è nella norma, 12,7, di cui 3,7 nello specchio di porta) né la solidità della Juventus (il volume di tiri concessi è piuttosto alto, 14,5 a partita): i valori offensivi e difensivi stanno insomma in una fascia media che non avrebbe potuto sostenere a lungo il secondo posto in classifica. Le ambizioni europee passano necessariamente da un miglioramento delle prestazioni e, di conseguenza, dei propri numeri. Il Milan è pericoloso, ma potrebbe esserlo ancora di più, ha sistemato in parte la propria fase difensiva, ma potrebbe difendere ancora meglio.

Quando riesce a consolidare il possesso con i cinque giocatori coinvolti nell’impostazione il Milan è una squadra indubbiamente complicata da affrontare. La posizione molto alta dei due terzini e i movimenti in verticale di Bacca (o Lapadula) allungano e allargano contemporaneamente le difese avversarie, aprendo gli spazi per le ricezioni dei due esterni, Niang e Suso, da cui dipendono gran parte delle sorti offensive dei rossoneri. Entrambi hanno molte responsabilità creative (viaggiano tutti e due a una media di 1,6 passaggi chiave per 90 minuti, secondi soltanto a Bonaventura tra i giocatori in rosa con più di 100 minuti disputati) e di finalizzazione della manovra offensiva: Niang è il giocatore che tira con maggiore frequenza, escludendo i giocatori utilizzati meno di 100 minuti, (2,7 conclusioni per 90 minuti), Suso lo segue poco dietro (2,5).

Montella ha lavorato su un set di movimenti vario per consentire ai suoi di costruire l’azione dal basso, con il principio di mantenere la superiorità numerica sulle prime linee di pressing avversarie: col Chievo (due punte e un trequartista), ad esempio, si è visto un “3+2” in fase di impostazione, con Romagnoli in mezzo a Paletta e De Sciglio, e Kucka e Locatelli sulla mediana; contro il Genoa (un attaccante e un trequartista) si è invece tornati al “2+3”, con Romagnoli e Paletta a mettere in inferiorità Giovanni Simeone, e Kucka, Locatelli e Bonaventura (o, più spesso, De Sciglio) davanti a loro.

I giocatori interpretano le sue indicazioni con flessibilità: in particolare è molto forte la coordinazione tra i terzini e le mezzali per alternarsi nel dare ampiezza e aiutare la squadra a impostare dal basso. Normalmente, la mezzala aiuta la costruzione della manovra, mentre il terzino fornisce ampiezza alzandosi sulla linea degli attaccanti, ma capita che i compiti si invertano e il terzino si accentri per giocare a centrocampo, un meccanismo utilizzato soprattutto da Pep Guardiola (ma con Alaba e Lahm…), specie sul lato sinistro, quello solitamente occupato da Bonaventura, che ha caratteristiche decisamente più offensive rispetto a Kucka e si trova a suo agio anche nel vecchio ruolo di esterno. Anche quando non è direttamente coinvolto nell’impostazione, il terzino copre i movimenti di Bonaventura prendendo il suo posto in mezzo al campo ed equilibrando la squadra in caso di perdita del possesso. Si vede ad esempio qui sotto con Antonelli.

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I problemi nascono quando le squadre avversarie pressano in maniera aggressiva il primo possesso rossonero. In quel caso i terzini restano più vicini ai difensori centrali, garantendo uno scarico facile sulla fascia, ma molto spesso la manovra resta bloccata lì, perché il Milan non riesce ad attivare le catene laterali per risalire il campo e il più delle volte finisce per regalare il possesso. Un limite che chiama in causa sia la qualità non eccelsa dei terzini e la loro inadeguatezza a giocare sotto pressione (il gol di Politano sul retropassaggio di Abate è un esempio lampante), sia la mancanza di meccanismi coordinati che permettano di aggirare la pressione facendo affidamento sulle catene laterali che si creano naturalmente con il 4-3-3. Quando la squadra non riesce a risalire il campo manovrando palla a terra, le responsabilità maggiori ricadono su Kucka e Niang, per qualità tecniche e fisiche gli unici due giocatori in grado di fare da riferimento per i compagni, anche se marcati alle spalle da un avversario, e portare palla per diversi metri o guadagnare un fallo che permetta alla squadra di alzare il proprio baricentro.

D’altra parte la fase offensiva del Milan non è studiata per sfruttare le catene laterali, anzi: il passaggio dalla fase di costruzione a quella di rifinitura non prevede una fase intermedia di consolidamento del possesso. L’innesco della fase di rifinitura è una verticalizzazione a tagliare le linee o un cambio di gioco sul terzino opposto, un punto di riferimento costante con la sua posizione ampia e profonda. È frequente, ad esempio, vedere il Milan consolidare il possesso da un lato solo per dare lo spazio al difensore o la mezzala opposta di ricevere e verticalizzare tagliando le linee avversarie oppure allargare al terzino. Montolivo, finché ha potuto giocare, è stato l’hub che smistava il possesso verso i due lati del campo, segnalandosi costantemente come il giocatore con più palloni giocati e passaggi tentati: il suo ruolo spetta adesso a Locatelli.

Hub Montolivo che smista il possesso contro la Sampdoria.

L’assenza di una fase intermedia di consolidamento tra la fase di costruzione e quella di rifinitura, oltre a togliere equilibrio e a rendere particolarmente delicate le transizioni negative, ha il difetto di rendere il Milan troppo dipendente dalle iniziative personali dei tre principali riferimenti offensivi: Bonaventura, Niang e Suso. Sono loro, con le loro ricezioni e le loro giocate, a determinare le fasi di rifinitura e finalizzazione della manovra: è raro vedere il Milan arrivare al tiro grazie a scambi ravvicinati dopo un possesso palla prolungato nella trequarti avversaria, il che spiega le difficoltà contro squadre dal pressing molto organizzato (come il Napoli, la Sampdoria e la Juventus) o che non concedano spazi dove Suso, Bonaventura e Niang siano liberi di esprimere il loro talento (vedi le marcature a uomo di Juric).

Come difende il Milan

All’atteggiamento spregiudicato della fase offensiva corrisponde una fase di non possesso prudente, che quasi mai aggredisce il primo possesso avversario. Il Milan preferisce infatti concedere il palleggio ai difensori avversari e iniziare le proprie azioni difensive all’incirca a metà campo, con schieramenti diversi a seconda dell’avversario: contro il Torino e il Napoli, ad esempio, entrambi schierati col 4-3-3, Niang si accentrava per marcare il mediano avversario, Bonaventura si allargava a sinistra, mentre Kucka si affiancava a Montolivo in protezione della difesa; contro l’Udinese, la Samp e il Chievo, schierate con il rombo a centrocampo, toccava invece a una mezzala uscire sul mediano avversario, mentre i compagni scalavano sul lato del pallone, avendo come secondo riferimento il diretto avversario e lasciando libera la mezzala o il terzino sul lato debole. Ancora diversa la soluzione scelta contro il Sassuolo, che interpretava in maniera molto dinamica le due fasi, ma attaccava sostanzialmente con il 4-3-3: Montella voleva bloccare il triangolo di costruzione del Sassuolo marcando i due difensori centrali con Bacca e Luiz Adriano e accentrando Suso in marcatura su Magnanelli. Lo spagnolo ha giocato di fatto da trequartista, una posizione che in modo dinamico si trovava a ricoprire anche in fase offensiva.

Due cose da sottolineare: Suso trequartista e De Sciglio falso terzino.

Il Milan resta ancora uno strano ibrido difensivo: né aggressivo né solido nella propria metà campo, anche se il principio comune che guida gli aggiustamenti apportati da Montella in ogni partita è la copertura del centro del campo, per costringere la squadra avversaria a lanciare lungo o allargare il gioco sulla fascia, dove le scalate rossonere sono abbastanza precise. Il terzino avversario e i possibili ricevitori in verticale vengono seguiti a uomo, mentre il giocatore che in partenza si occupa del mediano avversario (solitamente una mezzala) scherma la linea di passaggio verso il centro del campo e l’esterno offensivo copre un’eventuale retropassaggio: per trovare una via d’uscita la squadra avversaria è obbligata a giocate di elevata qualità (tipo questa della Juve).

In zona centrale, invece, il pressing è quasi sempre solo minacciato e poco organizzato: se gli avversari sfidano il blocco centrale del Milan, i rossoneri vanno in difficoltà e a volte sembra proprio mancare l’intesa sull’innesco che faccia scattare il pressing, con la squadra che viene schiacciata in basso verso la propria area di rigore.

Le disconnessioni tra i reparti e all’interno della stessa linea sono ancora troppo frequenti per fare dei rossoneri una squadra veramente reattiva, capace di chiudersi e ripartire con efficacia: il recupero palla è troppo legato alle iniziative personali, all’aggressività dei terzini (Antonelli, Abate, Calabria e De Sciglio dominano le prime 4 posizioni dei giocatori con più tackle per 90 minuti) o di Kucka ad esempio, o al senso della posizione di Montolivo (2,1 anticipi per 90 minuti, un dato inferiore soltanto a quello di Gómez, ma con quasi il triplo di minuti in più giocati). Sembra mancare una vera e propria strategia per il recupero del pallone: non a caso la percentuale di spazzate sul totale delle azioni difensive (che comprendono anche anticipi e tackle) è vicina al 70% (66,7%). Per mettere il dato in prospettiva, per Juventus, Napoli e Roma le spazzate valgono tra poco più del 50% degli interventi difensivi.

È evidente in modo particolare la mancanza di coordinazione tra Kucka e il compagno che gli gioca di fianco (Montolivo prima dell’infortunio, Locatelli dopo): lo slovacco, forse per indole, forse per il passato con Gasperini, tende ad avere come riferimento difensivo principale l’avversario, seguendolo costantemente, ma allontanandosi così dall’altro centrocampista, aprendo spazi molto pericolosi tra le linee. Qui sotto un esempio dalla partita contro la Lazio.

Sia Kucka che Montolivo si allargano per seguire i diretti avversari, nel mezzo si apre una voragine per Immobile e Keita.

È in un simile contesto, in cui può fare affidamento sulla spiccata abilità nel leggere le situazioni e gli toglie campo alle spalle da difendere, che Gabriel Paletta sta emergendo come uno dei migliori difensori del campionato per rendimento. Alessio Romagnoli, invece, non sembra ancora sul punto di compiere quel salto di qualità tanto atteso e forse sarebbe più a suo agio in una squadra con riferimenti più precisi e che punti a difendersi in avanti. Ne gioverebbe anche Gustavo Gómez, il cui rendimento decresce man mano che si avvicina alla propria porta: il paraguaiano starebbe meglio in una squadra che ne assecondi l’aggressività e lo faccia difendere il più lontano possibile dall’area di rigore. Al momento, il sistema difensivo poco organizzato del Milan ne ha messo più che altro in evidenza i limiti.

I margini di crescita

Guardando gli Expected Goals, il Milan sta andando oltre le aspettative in termini di gol segnati (12 non-penalty gol, a fronte di 9,88 xG), mentre ha margini di miglioramento in difesa, avendo subito 13 gol (escluso l’autogol di Kucka, che non viene contato negli xG) nonostante abbia concesso 9,65 xG. Il ritorno ai vertici della classifica passa dalla difficile combinazione che vede i rossoneri mantenere la stessa efficienza offensiva, assottigliando allo stesso tempo la differenza tra gol e xG subiti, ed è più facile prevedere che nel medio-lungo periodo siano destinati a lottare per difendere l’attuale posizione.

Le ambizioni di un piazzamento più prestigioso dovranno essere sostenute da un ulteriore salto di qualità nel gioco – ad esempio migliorando la fase di impostazione per renderla meno dipendente dall’efficacia del pressing avversario, spingendo magari i propri difensori a giocate ancora più coraggiose e incisive – o nella rosa, a gennaio, quando l’assetto societario dovrebbe essere definito e i nuovi investitori cinesi potranno finalmente svelare i propri progetti. Avranno la forza economica per acquistare campioni affermati? Oppure sosterranno in maniera più sistematica l’abbassamento dell’età media della formazione titolare, comprando giocatori in cerca di affermazione?

Oltre agli evidenti progressi a livello tattico, Montella è riuscito in poco tempo a cambiare la mentalità della squadra: più spavalda, sfrontata, in grado di reagire alle situazioni di difficoltà, di rimontare in pochi minuti due gol al Napoli o di ribaltare la partita contro il Sassuolo. Il rovescio della medaglia è la rimonta quasi subita a tempo scaduto col Torino, le partite in bilico con tutte le altre avversarie affrontate, in cui è servito un evento eccezionale o fortuito per indirizzarle in suo favore (gli errori di Skriniar e Parolo, il gol dalla distanza di Kucka contro il Chievo, quello di Locatelli contro la Juve).

L’incapacità di controllare le partite – che sembra strutturale, anche se nella partita contro il Chievo si sono visti progressi nella gestione della palla – rende le gare del Milan davvero aperte a qualsiasi esito. La squadra di Montella cammina su un filo sottilissimo che separa la vittoria dalla sconfitta: riuscire a renderlo più spesso, per attraversare il campionato con maggiore equilibrio, è l’obiettivo che determinerà la posizione in classifica a fine anno.

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