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Come si sceglie in un Draft senza certezze
11 nov 2020
Il segreto è sempre lavorare bene.
(articolo)
11 min
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Si dice spesso che il Draft sia la più inesatta delle scienze esatte. Cercare di capire quale traiettoria avrà la carriera di un giocatore che è nel bel mezzo del proprio sviluppo fisico, tecnico e mentale è difficilissimo, e ha quasi più a che fare con le capacità predittive di un front office che non sulla sua capacità di riconoscere il talento. La dose di fortuna che serve per azzeccare una scelta, poi, non è quantificabile — e aumenta esponenzialmente quando si va a ragionare sulle caratteristiche del tutto particolari che ha la classe del 2020, con ogni probabilità la più sfigata nella storia del Draft.

Non è solamente il fatto di essere stata bollata ormai da mesi come una classe “scarsa”, in cui probabilmente non c’è neanche una superstar conclamata e ben pochi giocatori che facciano intravedere un futuro da All-Star. Ma soprattutto il fatto che molti di questi giocatori non hanno neppure avuto la possibilità di mostrare quello che sanno fare, perdendo una finestra fondamentale come quella del Torneo NCAA non tanto per migliorare le loro quotazioni presso i front office, che li seguono ormai da anni, quanto per aumentare la loro percezione e la loro “aura” presso il grande pubblico, dando idea di quello che possono fare in situazioni ad alta tensione.

Il fatto che poi i provini e i colloqui individuali con le squadre siano stati ridotti all’osso e la mancanza di una Combine reale ha fatto saltare tutto il tradizionale percorso di avvicinamento al Draft, quella serie di tappe necessarie per tastare il polso alla classe. Invece i membri della dirigenza e gli scout sono rimasti fermi a studiare sempre gli stessi filmati per mesi, cristallizzando così — in senso positivo o negativo — le sensazioni che avevano sviluppato durante la stagione.

Al netto di tutto, poi, c’è il fatto che il modo in cui si è sviluppata la Lottery — dando la prima scelta assoluta a una squadra in un momento particolare della propria storia come i Minnesota Timberwolves e la seconda a una che non dovrebbe trovarsi lì come i Golden State Warriors — ha reso ancora più imprevedibile la situazione che si svilupperà nella notte tra il 18 e il 19 novembre, specialmente perché nessuno dei tre giocatori considerati più forti sembra avere le spalle abbastanza larghe per sostenere un’etichetta pesante come quella di Prima Scelta Assoluta al Draft.

I dubbi su Edwards, LaMelo e Wiseman

Come hanno scritto in molti, non c’è mai stata così tanta incertezza sulla prima scelta assoluta di un Draft da sette anni a questa parte, cioè dalla sciagurata notte in cui i Cleveland Cavaliers hanno chiamato Anthony Bennett alla 1. Già questo di per sé non è un gran punto di partenza, per quanto persino in quel Draft — con il senno di poi — ci siano giocatori diventati All-NBA come Victor Oladipo, Giannis Antetokounmpo e Rudy Gobert. Il problema fondamentale nell’affrontare l’analisi del Draft 2020 sono i grossi punti di domanda che circondano i tre prospetti principali, vale a dire Anthony Edwards, LaMelo Ball e James Wiseman.

Il primo è un portento atletico con la dote in assoluto più richiesta per diventare una stella in NBA, vale a dire la creazione di tiro da ogni punto del campo. Il suo più grande pregio è però anche il suo più grande difetto, visto che è talmente innamorato del suo tiro in sospensione da prenderselo anche quando non dovrebbe, specialmente perché non è un tiratore di quel livello e le sue capacità decisionali lasciano decisamente a desiderare, oltre a un approccio difensivo fin troppo superficiale e poco competitivo — specialmente per i mezzi fisici che possiede.

LaMelo Ball è un genio con il pallone tra le mani e un playmaker di oltre due metri con quelle doti di passaggio è merce rara sempre e comunque, ma ha una selezione di tiro forse persino peggiore di quella di Edwards (per non parlare della meccanica poco ortodossa salvata solo da un tocco eccezionale) e difensivamente è ben lontano dal poter essere accettabile, anche perché sta ancora crescendo fisicamente.

LaMelo è il giocatore più affascinante e allo stesso tempo enigmatico di questo Draft. Potrebbe essere chiamato come primo o scendere di parecchi gradini.

James Wiseman ha i mezzi fisici-atletici che sono valsi la prima scelta assoluta a DeAndre Ayton due anni fa, ma anche i difetti che hanno reso difficoltoso il suo adattamento alla difesa NBA. Il grosso limite è una comprensione del gioco ancora piuttosto rudimentale, anche perché ai lunghi di oggi che vogliono giocare più di 30 minuti a partita non è più richiesto solamente di correre e saltare — compiti che Wiseman può ricoprire facilmente —, ma anche di prendere decisioni complesse in frazioni di secondo, e la sensazione è che ci voglia molto tempo perché arrivi a quel livello.

Il rischio per tutti e tre è che, pur avendo innegabili qualità, nessuno arrivi davvero a massimizzare il potenziale di cui dispone, lasciando un senso di incompiutezza e di spreco del talento ben visibile, mentre dietro di loro — pur essendoci giocatori con un ceiling più basso — c’è la sensazione che abbiano maggiori chance di raggiungerlo. Due come Tyrese Haliburton o Devin Vassell, ad esempio, non avranno mai il potenziale da giocatori franchigia dei primi tre, ma una squadra può ragionevolmente pensare ci arrivino prima rispetto a Ball o Edwards — e per alcune prendere un giocatore “pronto subito” potrebbe essere più utile rispetto a prendere quello con più talento.

Un Draft senza gerarchie

A rendere decisamente particolare la classe 2020 è un livello di talento medio molto diffuso. È difficile individuare delle divisioni nette tra i vari gruppi di prospetti, i classici “tiers” con cui solitamente si suddividono i giocatori. Ci sono ragionevolmente tre grossi tier: i top-3, quelli da Lottery e tutti gli altri, con il terzo gruppo che si sviluppa quasi uniformemente fino alla scelta 40 o giù di lì. Con una gerarchia di talento così sfocata, allora, scegliere secondo la filosofia del “prendo il miglior giocatore disponibile [Best Player Available] e poi ci penso” diventa quasi impossibile, visto che sono tutti o quasi dello stesso livello.

Solitamente in un Draft chi non sceglie secondo il BPA predilige il “need”, cioè le necessità delle proprie squadre in base alla composizione del roster. Un atteggiamento più “calcolatore” che però quest’anno potrebbe essere inutile tanto quanto cercare il BPA: a differenza di un anno normale in cui i rookie hanno a disposizione la Summer League di luglio per cominciare ad approcciare il livello (annacquato) simil-NBA e poi un’intera estate per poter lavorare sui propri difetti insieme allo staff che poi li allenerà, ci saranno meno di due settimane tra la notte del Draft e l’inizio del training camp. Un periodo nel quale questi ragazzi poco più che teenager dovranno cambiare casa, cercare un posto dove vivere, adattarsi a una nuova esperienza e cominciare a maneggiare per davvero dei soldi a lungo solamente sognati. Il tutto dovendosi poi mettere a competere con professionisti di lungo corso per un minutaggio o, peggio ancora, per un contratto nel caso in cui vadano undrafted, senza nemmeno il piano B di un anno in Europa se le cose non dovessero andare per il verso giusto. Poco più di un mese dopo essere stati scelti, poi, per molti di loro arriverà il momento di esordire in NBA, in una regular season compressa da 72 partite dovendosi guadagnare ogni minuto — prima che una nuova secchiata di matricole arrivi per prendere il loro posto la prossima estate.

Il rischio è che per molti di loro la stagione 2020-21 diventi quasi un anno da “redshirt”, cioè passato a osservare e a capire come funziona senza mettere piede in campo, o facendosi le ossa soprattutto in G-League, sempre che la NBA riesca a mettere in piedi un protocollo anti-COVID sostenibile (si parla di mini-bolle in giro per gli States) per poter portare avanti anche la lega di sviluppo. In più, con una classe di free agent NBA 2021 decisamente corposa che potrebbe cambiare il volto della lega stessa, le squadre in cui sono stati scelti potrebbero essere rivoluzionate — e loro stessi venire inclusi in scambi che adesso non si possono neanche ipotizzare.

Non ci sono BPA e nemmeno need: si sceglie sulla fiducia

Quelli appena elencati sono tutti fattori che porteranno le squadre a dover ragionare ancora più attentamente sui giocatori da scegliere, anche perché c’è un fattore finora poco considerato. Molti dei prospetti del primo giro hanno giocato per l’ultima volta a marzo (alcuni di loro, come Ball o Wiseman, anche molto prima) e negli otto mesi che sono passati potrebbero essere cambiati notevolmente rispetto a come li avevano lasciati le dirigenze. Nello sviluppo di un giocatore di 19 o 20 anni, otto mesi sono tanti. Il tiro in sospensione di Vassell, per dirne uno, sembra sensibilmente peggiorato, e senza le doti di tiro diventa un 3&D con poco 3 — rendendo anche meno appetibili le doti difensive e facendo emergere qualche suo difetto che prima su cui prima si era disposti a soprassedere. Al contrario altri come Patrick Williams sembrano in ascesa, forti di uno skillset più adatto al gioco in NBA rispetto a quello del college in cui non partiva neanche in quintetto per Florida State.

A complicare il quadro ci sono anche molti prospetti europei, da Killian Hayes a Deni Advija.

Più che una scelta per BPA o per need, le squadre dovranno fare quasi un voto di fiducia nelle loro decisioni al Draft. Fiducia nel lavoro fatto nei cinque mesi extra avuti per valutare nei minimi dettagli tutti i prospetti di questa classe, ma senza che inezie possano far perdere loro di vista quello che davvero è importante; fiducia nella propria capacità non solo di riconoscere il talento, ma anche la traiettoria di sviluppo che potrà avere nei prossimi anni; e fiducia nella propria capacità di programmazione anche in uno scenario che continua a cambiare vorticosamente.

Ma tornando più all’attualità stretta, la stessa composizione della lottery potrebbe finire per essere molto diversa rispetto a come la conosciamo oggi. Minnesota non ha fatto mistero di essere disposta a cedere la prima scelta assoluta, così come Golden State con la seconda, ma fare trade down o trade out quando hai in mano un asset di quel livello è tutt’altro che semplice. Innanzitutto perché per fare trade down ci vuole qualcuno che faccia trade up, e nessuno sembra in grado di quantificare davvero cosa serva per salire dalla 4 alla 1, per fare un esempio. Per cedere una scelta in top-3, poi, bisogna avere le spalle davvero larghe: l’ultimo a farlo è stato Danny Ainge nel 2017, ma aveva una situazione molto più chiara di quella attuale — una in cui Markelle Fultz sembrava davvero superiore a tutti gli altri prospetti e i Philadelphia 76ers non avevano fatto mistero di volerlo prendere, facendosi leggere come un libro stampato. Soprattutto ai Boston Celtics nessuno avrebbe messo in discussione la sua posizione.

Gersson Rosas, per quanto rispettato in giro per la lega, non si trova nella stessa situazione a Minneapolis — ed essendo alla sua prima esperienza a capo di una dirigenza, non può permettersi di sbagliare una scelta così importante come una numero 1 al Draft, anche in un Draft come questo. Cederla per ricavare uno o più asset che non portano effetti benefici immediati non è una decisione facilmente percorribile, specie per una squadra attesa a decisi passi in avanti già dalla prossima stagione, anche perché la pazienza di Karl-Anthony Towns non può essere eterna e la combinazione con D’Angelo Russell praticamente non si è vista nella passata stagione.

Allo stesso modo, i Golden State Warriors probabilmente preferirebbero cedere la numero 2 per un giocatore che si adatti meglio alle carte di identità e alle ambizioni immediate di titolo di Curry, Thompson e Green, ma non è chiaro quale giocatore possa essere raggiungibile subito — specie in un Draft senza una stella conclamata. E se Bob Myers ha le spalle decisamente più coperte rispetto a Rosas per potersi prendere un rischio, anche lui è consapevole che quella scelta rappresenta un’opportunità irripetibile per estendere ulteriormente la finestra di titolo di questo gruppo — ributtandosi da subito alla caccia del titolo per gli anni a venire, cosa che la proprietà gradirebbe molto dopo aver speso enormemente per un’arena sulla baia di San Francisco tanto avveniristica quanto tristemente vuota per via della pandemia, con tutte le conseguenze economiche del caso.

Se a vincere la Lottery fosse stata una squadra diversa da queste due, forse uno tra Ball, Edwards e Wiseman sarebbe stato considerato con più consenso la prima scelta assoluta. Così non è stato, e anche il resto delle squadre comunque dovrà fare i conti con scelte difficili: se i playoff ci hanno insegnato qualcosa è che la versatilità difensiva nel marcare più posizioni e la capacità di ricoprire più di un ruolo è una qualità quasi imprescindibile per poter giocare 30 o più minuti in post-season, così come non si ha mai abbastanza tiro in campo per poter aprire difese sempre più mobili orizzontalmente. Per fortuna delle squadre, la parte centrale di questo Draft mette a disposizione numerose opzioni in termini di ali versatili con qualità difensive evidenti e combo-guard con dimensioni in grado di gestire il pallone e tirare, seppur con diverse variazioni e capacità. E anche i lunghi presenti hanno una certa dose di mobilità per poter sopravvivere anche nei contesti più competitivi.

Insomma, non è un Draft di stelle e nemmeno di nomi altisonanti, ma come sempre si vedrà chi saprà muoversi con un’idea chiara in mente e chi invece non sa programmare. Alla fine, anche in un Draft pazzo come quello che ci si attende, il più intelligente vince.

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