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Quando, nell’ormai lontano ottobre 2020, Dricus du Plessis esordì nella divisione dei pesi medi UFC - una divisione allora in balia di Israel Adesanya e poco dopo di Alex Pereira - nessuno, credo, si sarebbe immaginato che da lì a quattro anni sarebbe diventato il primo campione sudafricano in UFC.
Du Plessis è afrikaner, un gruppo etnico discendente dagli olandesi prevalentemente di pelle bianca che vive per la grande maggioranza in Sudafrica e che parla appunto lingua afrikaans, una lingua a sua volta derivante dall’olandese. È un'informazione importante, almeno per i suoi avversari, che spesso hanno battuto su questo punto con l'arma del trash talking. È diventato famoso, per esempio, lo scambio di battute proprio con Adesanya su chi fosse “più africano”, una bagarre più seria di come è stata interpretata dai media americani, visto il ruolo che hanno avuto gli afrikaner nell'apartheid sudafricano. Ma cominciamo dall'inizio.
Dricus du Plessis è nato nel 1994 in Sudafrica, a Welkom, la seconda maggiore città della provincia di Free State, una città situata nell’entroterra sudafricano, attraversata dal fiume Sand, che si è sviluppata rapidamente nel corso degli anni ‘60 grazie all’estrazione di oro e dell'uranio. Avvicinato agli sport di combattimento già da bambino, a 5 anni inizia a praticare il judo e poco dopo a fare qualche tentativo anche con il wrestling e soprattutto con la kickboxing, che gli permetterà di vincere i mondiali junior WAKO ancora prima di raggiungere la maggiore età.
Visto il suo percorso era difficile che non si appassionasse alle MMA, e infatti la sua carriera inizia già nel 2013, nella promotion sudafricana EFC. Qui colleziona un filotto di 4 vittorie che gli permette di presentarsi come contendente al titolo dei pesi medi prima di essere fermato da una futura conoscenza del pubblico italiano: il suo connazionale Garreth McLellan, noto per aver combattuto e perso contro un Alessio Di Chirico in grande spolvero. Dopo appena un altro incontro, Du Plessis decide di passare alla divisione dei pesi welter, una scelta che all'inizio sembra pagare.
Data la giovane età (21 anni, allora), du Plessis non aveva ancora sviluppato appieno la sua struttura fisica e il taglio a 77 chili sembrava ancora possibile - almeno per il tempo di conquistare la cintura e passare immediatamente alla divisione superiore. Dopo aver conquistato una nuova cintura anche qui, dal 2018 du Plessis passa alla promotion polacca KSW, una delle più dure, se non la più dura, del panorama europeo. Cambia il paesaggio ma non la storia: du Plessis vincerà il titolo dei welter contro il forte Roberto Soldic, prima di perderlo, ancora contro di lui, e prendere la definitiva decisione di combattere nei pesi medi. Ancora oggi è l'ultima sconfitta della sua carriera, a cui seguirà un'incredibile striscia di undici vittorie consecutive, di cui nove in UFC.
IL PERSONAGGIO
Du Plessis, però, non è solo un grande fighter, ma anche un personaggio interessante. Non uno di quelli che è alla continua ricerca dei riflettori ma che sembra attrarli magneticamente a sé, in maniera naturale. Insomma, un atleta affascinante, pieno di contraddizioni ma incredibilmente simpatico.
Du Plessis è un artista del trash talking e per questo inevitabilmente fa discutere su dove siano o dove dovrebbero essere i limiti delle sue battute, pesanti almeno quanto i suoi pugni. Il fighter sudafricano cerca di innervosire i suoi avversari già prima dell'inizio degli incontri e affronta le interviste con una sagacia inusuale.
Se lo ricorda bene Sean Strickland, che provò a colpire parlando della sua infanzia difficile. Du Plessis dichiarò che avrebbe rievocato tutti i ricordi della fase della sua vita in cui il padre lo picchiava, e alla fine questo potrebbe aver pesato sull'esito dell'incontro. Può sembrare un modo non molto elegante ma c'è da dire che le sue battute arrivano sempre in risposta a una provocazione, che di solito torna indietro rincarata all’ennesima potenza. Soprattutto: Du Plessis sembra calmo e composto, anche quando scambia questo tipo di cortesie coi suoi avversari: non si innervosisce, sorride sornione, nemmeno le prepara. Sembrano uscirgli sul momento. Fuori dall'ottagono du Plessis è molto diverso da com'è dentro l'ottagono, dove è un fighter aggressivo, imprevedibile, esplosivo.
Per questa sua personalità, du Plessis non sempre ha avuto un rapporto facile con il pubblico. Il fighter sudafricano è stato inizialmente fischiato, specie dopo la sua vittoria su un favorito come Robert Whittaker, ma con il tempo, come aveva promesso, è riuscito a trasformare i fischi in applausi.
Il suo magnetismo, infatti, sembra più forte di ogni cosa. E adesso anche le sue battute più dure vengono accolte da un sorriso. Come quando disse di aver fatto piangere tre uomini adulti durante delle interviste (Strickland e Adesanya sono due di questi). O quando prese in giro Darren Till, che dopo essere stato finalizzato da Du Plessis ha provato a consigliare Adesanya: ma se aveva delle dritte su come batterlo, perché non aveva vinto il suo di incontro?, ha detto du Plessis ai giornalisti, ridendo.
Inevitabilmente anche lui non è stato risparmiato da critiche e prese in giro. Dopo aver battuto Robert Whittaker, per esempio, si parlò molto del bacio sulle labbra al suo coach. Un momento che in realtà parla più della mascolinità tossica su cui ancora si reggono le MMA e da cui du Plessis si è facilmente divincolando ammettendo candidamente che è pratica comune tra la sua gente, specie tra coach e allievi.
LA RIVALITA' CON ADESANYA
La prima cosa che viene in mente parlando di du Plessis, però, è la sua faida verbale con Adesanya. Un confronto che nasce non solo, come detto, dall’appartenenza africana ma anche di piccole beghe successive, che sicuramente hanno fatto la loro parte.
Alla vigilia del loro incontro, lo scorso agosto, Adesanya pubblicò una foto del suo avversario da adolescente, facendo riferimento alle dimensioni. Una mossa che du Plessis ci mise poco a usare contro di lui: non vi sembra strano che un uomo adulto cerchi delle foto di ragazzini in costume sul web? Du Plessis disse che non era lui ad essere preoccupato, ma che avrebbero dovuto esserlo le autorità, scatenando l’ilarità generale.
In questo confronto ha fatto meno rumore il riferimento di Adesanya al taser. Il fighter nigeriano disse infatti che avrebbe chiamato il suo coach per farsi dare una bella scossa con un taser, riferendosi alla voce (a quanto pare fondata) secondo cui l'allenatore di du Plessis usasse questo metodo, e du Plessis rispose che Adesanya avrebbe potuto farselo portare dalla sua servitù, visto che era cresciuto in una famiglia agiata. È una frase in realtà poco rispondente alla realtà (il padre di Adesanya è un contabile e la madre un'infermiera) e soprattutto un colpo molto basso, visto le differenze razziali che dividono i due fighter. Insomma, non c'è bisogno di sottolineare che traumi possa rievocare la parola "servitù" in un africano nero, soprattutto da parte di un africano bianco che fa parte di un'etnia che ha attivamente cercato di mantenere un sistema di oppressione razzista nel suo Paese, e infatti Adesanya la prese particolarmente sul personale, citando la storia della sua famiglia e riprendendola poi nel corso di un’intervista nella quale non riuscì a trattenere le lacrime.
Non vi stupirà sapere a questo punto che du Plessis ha espresso il proprio endorsement in favore del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che a sua volta nelle ultime settimane si sta molto lamentando del governo sudafricano, e delle sue presunte politiche razziste nei confronti dei bianchi e in particolare degli afrikaners. È un discorso complicato, che riguarda anche la decisione del Sudafrica di presentare una denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia contro Israele per il genocidio a Gaza, e che non ho lo spazio e il tempo per affrontare qui.
IL FIGHTER
Se fuori l'ottagono du Plessis è un personaggio controverso, dentro riesce a mettere d'accordo quasi tutti. Il suo stile spumeggiante e non ortodosso è sembrato finora impossibile da leggere per chiunque: lo stesso Adesanya, che ne ha discusso con Whittaker in un vlog, ha ammesso di averlo sottovalutato credendo prima dell'inizio dell'incontro che non arrivasse a misura con i colpi, e che non avesse abbastanza potenza.
Se la base era già buona, nell’ultima uscita contro Sean Strickland, a UFC 312, du Plessis ha mostrato anche un’evoluzione senza precedenti. Non lo dico solo per la vittoria in sé ma anche per come è arrivata. Prima di questo incontro, infatti, du Plessis pareva un fighter muscolare e potente, ma poco tecnico, che si faceva strada sbracciando e creando il caos. In questo incontro, invece, il fighter sudafricano ha dimostrato di essere più complesso di così, dimostrando un dominio del timing sorprendente. Con Strickland - un fighter intelligente, conservativo e preciso - du Plessis ha preso le misure e il tempo del suo jab, l’arma migliore dello statunitense, e ha cominciato a incrociarlo con calci alti, leg kick all’occorrenza, circolari al corpo, overhand. Du Plessis, insomma, ha dimostrato di avere un arsenale vario ed estroso, fatto anche di colpi in girata che hanno sorpreso più volte Strickland. Il culmine è arrivato nel quarto round, quando con l'ennesimo overhand gli ha rotto il naso.
Una grande prestazione, a maggior ragione se è vero quello che dice il suo allenatore, secondo cui du Plessis combatteva da anni con un problema alle narici che gli permetteva di inalare solo l’8% dell’ossigeno totale. Dopo l’intervento che dovrebbe aver corretto questo problema, du Plessis sembra effettivamente più padrone dei momenti nell’ottagono e ha meno problemi a gestire il fiato, nonostante lo si sia visto boccheggiare in qualche occasione. Il suo ritmo non cala mai in maniera evidente, e anzi è in grado di rompere gli schemi cambiandolo all'improvviso, come successo proprio contro Adesanya. Il suo stile, poi, è davvero peculiare e riconoscibile. Per esempio è rimasta impressa la sua capacità di raccogliersi quasi come una palla di cannone prima di esplodere con ganci, montanti, colpi imprevedibili spesso sull’avampiede, pronto ad arrivare a bersaglio con una ferocia che dura dal primo all’ultimo minuto dell’incontro.
L’ultima uscita lo ha visto diradare anche gli ultimi dubbi e, dopo una vittoria ben più netta rispetto alla precedente con Strickland, a UFC 297, ha sfidato pubblicamente Alex Pereira. Gli ultimi rumor li vedono d’accordo per un eventuale match a 205 libbre. Ci sono un paio di questioni da risolvere, però, prima: Alex Pereira, l’8 marzo, affronterà a UFC 313 Magomed Ankalaev, in uno dei match più attesi degli ultimi anni. Dovesse vincere Pereira, con tutta probabilità, UFC vorrà vedere una prova altrettanto consona da parte del sudafricano.
Nei medi, i title contender escono come funghi. Nassourdine Imavov, dopo aver abbattuto Israel Adesanya, è solo l’ultimo, e il più accreditato rimane lo svedese di origini cecene Khamzat Chimaev. È probabile che du Plessis dovrà affrontare lui per cementare ulteriormente il suo status, e a quel punto sarebbero tutti felici di un match titolato nei massimi-leggeri tra lui e Pereira. Al momento potrebbero esserci ancora dei dubbi su chi sia il favorito tra i due, ma a riguardo la cosa più interessante l’ha dichiarata proprio lui: «Sono sempre lo sfavorito prima che si chiuda la porta della gabbia. Quando però siamo lì dentro, tutto cambia».
E se ancora qualcuno potrà essere scettico sulle promesse che du Plessis è solito fare, senza dubbio gli si dovrà riconoscere la coerenza di aver fatto seguire ad ogni singola parola i fatti. Da Darren Till a Robert Whittaker, da Sean Strickland a Israel Adesanya, tutti hanno dovuto arrendersi al campione sudafricano, che ora è a quota 9 vittorie e nessuna sconfitta nella promotion più importante al mondo.
Anche qui più delle vittorie è importante come sono arrivate. All’attivo, infatti, du Plessis ha KO e finalizzazioni a dir poco inaspettate, e per questo chiunque lo affronterà in futuro sa bene che è meglio non scherzare col fuoco.