Vorrei cercare di spiegare perché a 35 anni ho deciso di puntare la sveglia alle 3 di notte per seguire un evento sportivo di cui, fino a poco più di un anno fa, sapevo poco o niente. Vorrei provare a contagiarvi con il mio entusiasmo da spettatore occasionale, ma non per questo meno sincero, dell’UFC (Ultimate Fighting Champsionship), allo stesso modo con cui cerco di tirare dentro la visione di un incontro particolare sul mio computer un collega passato per caso vicino alla mia postazione (e qualcuno è stato effettivamente contagiato). Vorrei cercare di non offendere la parte di pubblico che ne sa più di me - molti - coinvolgendo chi non ne sa quasi niente. E vorrei farlo prima che vada in scena l’UFC 205 al Madison Square Garden di New York, l’evento più importante nella storia della promozione di MMA (Mixed Martial Arts, o se preferite Arti Marziali Miste) più importante al mondo, ma probabilmente anche nella storia delle MMA in generale.
Uno dei motivi per cui ho deciso, proprio questo sabato notte, di fare il salto da semplice fruitore occasionale a uomo sposato che compromette una notte di sonno e la serenità della domenica mattina per una passione tutto sommato puerile (come tutte le passioni sportive) è determinato dal contesto: quello del Madison Square Garden è un evento storico.
Stigma
Le Arti Marziali Miste sono uno sport al tempo stesso antichissimo (qui Maria Vittoria Colonna, fighter e giornalista sportiva, accennava alle sue origini classiche) e relativamente giovane: il nome stesso può avere al massimo una ventina d’anni. È cambiato così velocemente e così radicalmente (basti pensare che c’era un tempo in cui non esistevano categorie di peso ed erano ammesse le testate) che all’incredibile crescita economica e mediatica delle MMA (che non si riducono ovviamente alla più ricca UFC, ma a cui contribuiscono migliaia di altre promozioni in tutto il mondo, più o meno conosciute tra cui vale la pena citare almeno la Bellator) non è corrisposto un allargamento della consapevolezza nel pubblico più generalista e ancora oggi alcune delle critiche al movimento sono fondamentalmente basate su pregiudizi e/o ignoranza.
Ad esempio, il motivo per cui quello di sabato notte è il primo evento UFC a New York, è che fino a pochi mesi fa le MMA erano ancora bandite dallo stato. La storia che ha portato al divieto delle MMA è abbastanza assurda e vale la pena di essere approfondita, ma proverò a sintetizzarla brevemente. Già nel 1997 l’UFC aveva programmato 3 eventi nello stato di New York, il terzo dei quali proprio al Madison Square Garden, poco dopo che una nuova legge aveva regolamentato e legalizzato quelle che all’epoca ancora non si chiamavano MMA ma incontri “no holds barred” (senza restrizioni) o più genericamente “combative sports” . Ma dopo il primo evento tenutosi a Buffalo (con più di 10 mila spettatori) è cominciata una campagna del New York Times contraria allo sport, che ha influenzato il sindaco Giuliani poi e ha spinto il senatore dello stato Roy Goodman, che aveva prima sponsorizzato la legge che legalizzava le MMA e poi le ha definite “human cockfight”.
Siccome però la legge era già passata, è servito l’intervento della New York State Athletic Commission, che aveva il potere di cambiare le regole, per cancellare il secondo evento in programma. Grazie a un documento di 114 pagine con alcune regole giuste (tipo l’introduzione delle categorie di peso) e altre assurde esclusivamente tese a rendere di fatto illegale gli eventi UFC in programma: tipo l’ampliamento della superficie minima dell’ottagono, impossibile da effettuare a poco tempo di distanza dall’evento. E così l’evento in programma a Niagara Falls si è dovuto spostare in Alabama e di quello del Madison non si è più parlato.
La cosa interessante è che diciannove anni dopo, nonostante lo sport sia decisamente più sicuro e regolamentato (se avete ancora dei dubbi su cosa si possa fare e cosa no andate qui) molte critiche non sono poi così diverse da quelle dell’epoca. Lo stato di New York è stato l’ultimo in ordine di tempo negli Stati Uniti a legalizzare le MMA e l’Assemblea ha rifiutato leggi simili a quella di quest’anno, approvate dal Senato, negli ultimi 7 anni (dal 2008 al 2015). Daniel O’Donnell, membro dell’Assemblea, ha giustificato così la sua posizione contraria: «Due uomini quasi nudi che rotolano l’uno sopra all’altro cercando di dominarsi. In caso non lo sappiate, è porno gay con un finale diverso». Ma ci sono stati altri membri dell’Assemblea che hanno paragonato le MMA ai combattimenti tra schiavi o addirittura alle impiccagioni pubbliche.
Al momento le MMA sono vietate solo in Norvegia (che vieta tutti gli sport con colpi KO dagli anni ’80), in alcune parti del Canada e dell'Australia, in Thailandia (se ho capito bene però per privilegiare la boxe locale) e in Francia, dove vengono considerate contrarie alla “diginità umana”, spingendo il Ministero dello Sport, proprio alla fine dello scorso ottobre, ad introdurre alcuni divieti che chiariscono ulteriormente il concetto e di fatto - come a New York venti anni fa - mettono fuori legge le MMA: tipo il divieto di colpire un avversario a terra (che, nel caso specifico, non è semplice accanimento ma semmai uno dei momenti di maggiore tensione emotiva e tecnica di un incontro, in cui spesso conta più il brazilian jiu jitsu di chi è schiena a terra del ground and pound - che sarebbe cioè quella parte in cui si prende a pugni e gomitate l’avversario a terra - del fighter in posizione dominante).
New York, New York
Anche per questo l’evento del Madison Square Garden rappresenta un momento cardine. Pregiudizi e divieti sono contemporanei al momento di massima espansione di quello che sport. Dana White, il presidente dell’UFC, ha dichiarato che è già stato infranto il record di vendite del Madison Square Garden, e cioè i 13,5 milioni di dollari dell’incontro tra Evander Holyfield e Lennox Lewis che resisteva da 17 anni (1999). Il che significa che l’evento UFC numero 205 sarà anche il più produttivo della storia dell’organizzazione (record precedente del 2011).
Va aggiunto, per avere un quadro più completo, che qualche mese fa l’UFC è stata venduta all’agenzia William Morris Endeavor per 4 miliardi (miliardi) di dollari dai precedenti proprietari, i fratelli Fertitta, che nel 1995 l’avevano acquistata per 2 milioni (e una parte dell’UFC è anche di una società del governo di Abu Dhabi).
E però, poco dopo la vendita, l’UFC ha iniziato a licenziare dipendenti, tra i 60 e gli 80, dai vari uffici sparsi in giro per il mondo, tra cui anche alcuni dirigenti come Tom Wright che aveva contribuito allo sviluppo dello sport in Canada e Australia anche a livello legale. L’UFC si è difesa dicendo che si è alleggerita di meno del 15% della propria forza lavorativa, ma resta una mossa ambigua i cui effetti reali non sono ancora chiari.
Per cui, nonostante ci troviamo indubbiamente nel momento di massima espansione di uno sport giovane e dalle potenzialità ancora inesplorate (pochi mesi fa Lorenzo Fertitta, prima di vendere, diceva che l’UFC è al 20% di quello sarà tra dieci anni), siamo ancora di fronte a un fenomeno in mutamento con parecchie zone d’ombra. Come ad esempio i salari molto ineguali della maggior parte degli atleti, che stanno pensando di formare un sindacato. Parte dell’eccitazione per chi come me sta seguendo l’UFC da poco sta anche nella curiosità di vedere come cambierà in rapporto al mondo che le fa da cornice.
E non c’è momento più simbolico di questo cambiamento, della prima volta in cui due fighter si affronteranno nello stesso spazio in cui hanno combattuto Rocky Marciano e Joe Louis, Sugar Ray Robinson e Jake LaMotta, Joe Frazier e Muhammad Ali.
Colpi di scena
Nel 2007 David Mamet diceva che le MMA sono uno sport “di frontiera” e che è specificatamente americano perché gli americani sono ancora “gente di frontiera”. Ma c’è qualcosa nei combattimenti di MMA che può parlare veramente a chiunque, qualcosa di così diretto che si può percepire anche non conoscendo tutte le tecniche di base. Non sto parlando solo dell’esposizione palese della violenza, per cui qualcuno si sente attratto e qualcun altro respinto dallo spettacolo in questione. Personalmente credo che la principale qualità di questo sport risieda nelle sua capacità narrativa.
Non sono un fan “hardcore”, nel senso che non lo pratico e non seguo tutte le card, ma segno i punti di ogni round degli incontri che vedo e quando “scopro” un nuovo fighter mi tuffo a candela nella sua biografia e nello storico dei suoi combattimenti passati. Sono diventato un fan di Bruce Buffer, l’annunciatore, e durante gli incontri pendo dalle labbra di Joe Rogan, il commentatore, per capire ogni incontro qualcosa di più di uno sport che comunque è complicato capire senza averlo mai praticato. Tutti i lunedì ascolto il podcast Co-Main Event, ogni tanto anche quello di Luke Thomas e ormai da tempo uno dei miei giornalisti sportivi preferiti al mondo - indipendentemente dallo sport in questione - è Ariel Helwani, maestro nell'antica arte dell'intervista.
Seguire l’UFC (ripeto: l’universo sportivo ma anche quello narrativo delle MMA non si ferma all’UFC, è solo il prodotto confezionato meglio) mi ha riportato a un’età in cui compravo fumetti ogni settimana, gli X-Men, chiedendo al giornalaio di aprire i pacchi con i nuovi arrivi con un giorno di anticipo sperando che gli fosse arrivato l’ultimo numero (a volte succedeva).
E anche dal punto di vista narrativo la serata del Madison Square Garden sarà storica. Conor McGregor, l’ex idraulico di Dublino diventato l’atleta più famoso e di valore per l’UFC (qualche settimana fa ha incontrato Cristiano Ronaldo), già campione della categoria featherweight, combatterà contro Eddie Alvarez, campione lightweight, per provare a diventare il primo fighter nella storia dell’UFC campione di due categorie diverse contemporaneamente. Ovviamente il fatto stesso che gli sia stata data questa chance ha scatenato polemiche, sia perché è ormai un anno che McGregor non difende la cintura featherweight (spingendo José Aldo, il campione precedente in cerca di rematch, a dire di voler lasciare l’UFC), sia perché la lightweight è una delle categorie di peso più competitive e spettacolari dell’UFC, e magari qualcun altro avrebbe meritato un incontro per il titolo.
McGregor ha anticipato che dopo l’incontro di New York farà un “grande annuncio” e qualcuno pensa che si prenderà un anno sabbatico, lasciando una o due cinture vacanti. Magari è solo un’altra trovata pubblicitaria ma in uno sport usurante in cui si combatte al massimo tre o quattro volte l’anno non sarebbe neanche così strano, soprattutto se si considera la portata mediatica e commerciale di McGregor e la quantità di attività remunerative che può comunque portare avanti nel frattempo. Certo sarebbe un peccato per lo sport in sé e anche per questo non sono in pochi a sperare in una vittoria di Eddie Alvarez. Intanto McGregor, re del trash talk, dopo aver dichiarato di volerlo “sfigurare”, ha rubato la cintura in conferenza stampa ad Alvarez, che gli ha tirato una sedia.
A New York combatteranno altri atleti eccezionali, come Joanna Jedrzejczyk (un vero e proprio fenomeno che, fuori dall’ottagono, è una delle persone più genuine e uniche dello sport) e Khabib Nurmagomedov, russo due volte campione del mondo di Sambo con un record incredibile di 23 vittorie e 0 sconfitte (solo gli infortuni ne hanno ritardato la carriera) che in molti vorrebbero veder combattere proprio contro McGregor (anche semplicemente per la differenza dei due stili: McGregor è uno striker - cioè ama combattere in piedi - Nurmagomedov è un boa constricotr che se ti porta a terra non ti fa più rialzare.
Va citato anche Tyron Woodley, che difenderà da sfavorito al pronostico la cintura della categoria welterweight contro il karateka biondo Stephen “Wonderboy” Thompson. Ma dato che questo è anche un pezzo personale chiudo accennando al ritorno sull’ottagono del mio atleta-personaggio preferito in assoluto: Chris Weidman, che combatterà contro Yoel Romero. Sono rispettivamente il numero 3 e 4 nel ranking del middleweight, ma Weidman non combatte dal dicembre 2015, quando ha perso la cintura contro Luke Rockhold, e qualche mese fa è stato operato al collo per un infortunio in allenamento.
Prima dell’incontro con Rockhold, Weidman non solo non aveva mai perso, ma non aveva mai neanche subito takedown (non era mai stato portato a terra, cioè). La sconfitta è avvenuta in modo particolarmente cruento: Rockhold è riuscito ad aprirgli la guardia con le gomitate mentre Weidman era a terra, colpendolo per trenta secondi alla fine della terza ripresa. Weidman ha resistito e ha cominciato la quarta ripresa con la faccia deformata dai colpi.
Quell’incontro mi ha inferto una dura lezione su cosa significa combattere, ma ha anche rafforzato la mia passione per uno sport in cui due uomini entrano in una gabbia per fare a botte sapendo che potrà davvero succedere di tutto.