
Dunkerque, città situata nella regione dell'Alta Francia, evoca le fasi più buie della Seconda Guerra Mondiale. Avanzate delle truppe naziste, bombardamenti, fughe in nave. Di recente, però, la città francese si è fatta un nome anche nel calcio, in una stagione in cui la sua squadra principale, l’Union Sportive du Littoral de Dunkerque, non solo si sta giocando la promozione in Ligue 1 (al momento è quinta, a pari merito con il Guingamp quarto, in una posizione quindi che le garantirebbe l'accesso ai playoff), ma è anche arrivata fino alle semifinali di Coppa di Francia, dopo aver eliminato tre squadre della massima serie francese (Auxerre, Lille e Brest). Domani sera, nel suo stadio, si giocherà l'accesso alla finale contro il PSG di Luis Enrique.
Per il Dunkerque non è solo una stagione fortunata, ma i suoi risultati sono frutto di un gioco armonioso e funzionale. Il merito è in buona parte di Luís Castro, classe 1980, ex allenatore della squadra B del Benfica, ennesimo prodotto della sempre prolifica scuola di allenatori portoghesi.
Proprio col tecnico nativo di Moreira de Cónegos (vicino a Guimarães) abbiamo avuto la possibilità di parlare di questa stagione, delle sue idee, del futuro.
Questa stagione stai scrivendo una delle pagine più belle nella storia del Dunkerque. Senti la grandiosità di quello che stai facendo, quando esci per la città?
Sì, sento il calore e l'entusiasmo dei tifosi quando esco di casa. Se sono con la mia famiglia, però, le persone rispettano il momento e non mi interrompono, o comunque chiedono meno foto. Quando esco da solo, mi chiedono più spesso di fare foto con loro.

Il 4-1-4-1/ 4-3-3 del Dunkerque.
Quando avevi ancora vent'anni, sei partito per l'Arabia Saudita. Come sei finito lì?
Ho allenato il Vizela, nella città in cui vivo, e ho trascorso due stagioni molto buone nelle squadre Under 15 e poi Under 17. Un allenatore portoghese, che era stato campione con la squadra Under 17 dell’Al Nassr, è stato invitato a coordinare l’accademia giovanile del club. Non mi conosceva personalmente, ma era al corrente del mio lavoro e mi ha invitato ad allenare la squadra Under 15 e a organizzare gli allenamenti per le fasce d’età più giovani.
Com'è stata quell'esperienza? Secondo te, fino a che punto crescerà il calcio saudita? Alla fine questa bolla esploderà, come è successo in Cina, o prevedi un successo più duraturo?
È stata un'esperienza fantastica da un punto di vista professionale. È stato il mio primo anno in cui il calcio è stato il mio unico lavoro, il che significava poterci pensare giorno e notte, facendo ciò che amo di più.
Credo che il calcio saudita continuerà a crescere, almeno fino alla Coppa del Mondo. E penso che costruirà una base che gli permetterà di durare più a lungo nel tempo.
Sono fermamente convinto che non è un fenomeno passeggero, per me non ci sono molte somiglianze con il caso cinese, a parte il fatto che si stanno investendo molti soldi. In Cina, hanno introdotto il calcio nelle scuole affinché i bambini potessero iniziare a praticarlo, insieme a strategie per far conoscere e apprezzare il calcio. In Arabia Saudita, ho fatto scouting nelle scuole primarie già nel 2011, da cui sono emersi giocatori che ora fanno parte della Nazionale. È un paese che ama il calcio, e non sarà necessaria alcuna strategia per far sì che le persone inizino a praticarlo.
Tra i tuoi successi, spicca la vittoria in Youth League con il Benfica nel 2022, soprattutto dopo aver demolito il Salisburgo in finale (6-0). Quali ricordi hai di quella stagione e di quella vittoria?
Sono dei ricordi fantastici. Non abbiamo iniziato bene quella competizione. Prima della seconda partita, però, abbiamo chiamato a raccolta l’intera squadra e ci siamo posti come obiettivo quello di vincere il torneo, a prescindere da chi ci si mettesse davanti. Il Benfica inseguiva quel trofeo da molto tempo e c’era molta pressione all’interno del club. Quella pressione è cresciuta con la stagione deludente della prima squadra e quando abbiamo affrontato avversari come lo Sporting. Tuttavia, lo staff tecnico, il personale di supporto e i giocatori non hanno mai vacillato e si sono sempre sostenuti a vicenda. Il finale è noto, e abbiamo fatto la storia in un club delle dimensioni del Benfica.
Al Benfica, hai avuto l'opportunità di allenare molti giocatori che ora si fanno notare a vari livelli, incluso João Neves. Ti aspettavi che avesse un impatto così al PSG?
Quando João è arrivato in Francia, i giornalisti francesi mi hanno chiesto se pensassi che avrebbe avuto minuti in una squadra di questo livello. La mia risposta è stata che non solo avrebbe giocato, ma sarebbe stato molto difficile per l’allenatore non schierarlo titolare. Credevo che si sarebbe affermato, e penso che tutti coloro che hanno conosciuto la sua qualità e la sua cultura del lavoro abbiano pensato lo stesso.
Fai parte di una scuola di allenatori, quella portoghese, da cui provengono molti allenatori talentuosi. Quali pensi siano le migliori qualità degli allenatori portoghesi? E cosa ne pensi di Mourinho e Fonseca, due dei suoi massimi esponenti?
Penso che in ogni Paese ci siano allenatori bravi e non bravi, ma una cosa che i portoghesi hanno è una grande capacità di adattarsi, sia al Paese, sia al club, sia al campionato, il che facilita le relazioni umane e la gestione della squadra o del club.
Mourinho è stato importante all’inizio della mia carriera da allenatore ed era il principale punto di riferimento in quel periodo. Penso che, per me e per tutti i portoghesi della mia età, Fonseca sia attualmente uno dei migliori allenatori portoghesi e abbia un’identità di gioco che apprezzo.
A Dunkerque, sei una parte fondamentale di un importante progetto iniziato con l'acquisizione del club da parte del gruppo turco Amissos e la nomina dell'ex internazionale senegalese Demba Ba come dirigente. Qual è il tuo rapporto con Demba Ba e come ti sei integrato nel progetto Dunkerque?
Demba ha iniziato facendomi un’intervista, ma ha subito dimostrato un’eccellente conoscenza dell’identità delle mie squadre e di molte altre mie caratteristiche come allenatore, cosa che mi ha sorpreso. Quando ho sentito parlare per la prima volta del progetto, non ero entusiasta, ma dopo aver incontrato Demba, aver ascoltato le sue idee e aver visto il suo modo di organizzarsi, la mia prospettiva è cambiata.
Per quanto riguarda il nostro rapporto: la maggior parte delle volte scopriamo di essere già in sintonia ancora prima di parlare. Abbiamo molte idee in comune, sia sul calcio che vogliamo vedere in campo, sia sull’organizzazione del club. La squadra è cresciuta molto, e credo che crescerà ancora di più, e il merito va soprattutto a lui. Quando la gente dice che è merito mio, rispondo: «Anche mio, è stato lui a portarmi al club». Il nostro rapporto è fantastico, e credo durerà per tutta la vita.
Da quello che ho capito facendo ricerca su di te è che fai tutti gli allenamenti con la palla. È così? Pensi che questa metodologia possa essere applicata anche a livello di Ligue 1, Serie A o Premier League, soprattutto in squadre che disputano molte partite in un anno e partecipano a competizioni europee?
Sì, facciamo tutti gli esercizi dall’inizio alla fine dell’allenamento e dall’inizio alla fine dell’anno con la palla. Gli esercizi sono strutturati secondo il nostro modo di giocare e in base a ciò su cui vogliamo lavorare in ogni momento. Non ho mai visto una partita di calcio senza la palla, e quello della partita è il giorno in cui i giocatori corrono di più e si stancano maggiormente, no?
Sono sicuro che questo metodo funzioni con squadre che giocano nei principali campionati europei e nelle coppe. Quest’anno abbiamo giocato diverse partite infrasettimanali contro squadre con budget molto più alti del nostro, come le recenti partite contro il Lille e il Brest. Hanno condizioni di allenamento migliori e più soldi per giocatori e staff (sia tecnico, che medico, o per le prestazioni e il recupero). Eppure siamo riusciti a gestire meglio la partita, andando in vantaggio nei minuti finali.
La tua squadra attribuisce grande importanza a una costruzione pulita dalla difesa. In questo contesto, il contributo del tuo portiere, Adrián Ortolá, che spesso gioca al di fuori della sua area, è molto prezioso. Potresti spiegare cosa ti aspetti dal tuo numero uno durante la fase offensiva?
Il portiere è solo un altro giocatore nella fase di costruzione. Con lui, possiamo ottenere la superiorità numerica e permettere ad altri giocatori di posizionarsi più in alto in campo, coinvolgendo il portiere nella costruzione del gioco. È allenato per costruire e comprendere il gioco offensivo proprio come tutti gli altri giocatori.

Ortolá: il portiere del Dunkerque, uomo in più in costruzione.
Ad un certo punto di questa stagione, L’Équipe ha riportato che il tuo Dunkerque era, dopo il Barcellona di Hansi Flick, la squadra che provocava il maggior numero di fuorigioco. Che ruolo gioca questa strategia difensiva nel tuo sistema?
In questo momento, siamo persino avanti rispetto al Barcellona. Non giochiamo per lasciare gli avversari in fuorigioco, ma il nostro modo di pressare e organizzare la linea difensiva porta naturalmente a questo risultato. Ci piace difendere in alto e, per vincere, crediamo che bisogna essere aggressivi sia in attacco che in difesa. I fuorigioco sono una conseguenza del nostro modo di giocare, non un obiettivo.
Con il Dunkerque, sei arrivato in semifinale di Coppa di Francia eliminando tre squadre di Ligue 1: Auxerre, Lille e Brest. Come hai preparato queste partite? Ho letto che che non ti concentri troppo su come giocano gli avversari.
Prepariamo queste partite esattamente come tutte le altre, spesso anche con meno tempo perché si giocano infrasettimanali. Ma poiché non apportiamo cambiamenti particolari, ci limitiamo a ricordare ai giocatori alcuni punti strategici già stabiliti, a seconda dello stile di gioco dell’avversario. Manteniamo la nostra identità, e tutti i nostri principi difensivi e offensivi rimangono invariati. Poi, ci sono alcuni aggiustamenti tattici, ma non cambiano a seconda del livello dell'avversario, più che altro a seconda delle sue caratteristiche.
In generale, qual è la tua idea tattica, il tuo modello di gioco? Possiamo definirti un discepolo di Pep Guardiola e del gioco posizionale?
Il mio modello di gioco, in termini generali, è un gioco offensivo sia con che senza palla, una squadra che ama controllare la partita attraverso il possesso, con uno stile che connette i giocatori e ci permette di dominare la partita creando il maggior numero possibile di occasioni da gol. Quando perdiamo la palla, puntiamo a recuperarla il più rapidamente possibile per poter attaccare di nuovo. Senza dubbio, Guardiola è stato un punto di riferimento su come giocare, ma già prima di vederlo come allenatore, stavo allenando squadre che adottavano questo stile, sebbene ovviamente in maniera meno dettagliata. Guardiola è un riferimento in alcuni aspetti, ma non mi considero un suo discepolo, dato che ammiro anche altri allenatori, non solo lui.

Nell'immagine qui sopra vediamo un momento della fase offensiva del Dunkerque contro il Paris FC. La manovra si sviluppa sulla destra, con la mezzala Skyttä che prende l’ampiezza dopo aver ricevuto palla dal mediano Raghouber. Davanti a Skyttä si incrociano l’ala destra Al-Saad e l’ala sinistra Yasine, che si muove a partire dal lato opposto di campo.
Molte squadre in Ligue 2 ti affrontano con blocchi bassi. Cosa chiedi alla tua squadra per superare questo tipo di approccio difensivo? E cosa cambi quando ti trovi contro un avversario che applica un pressing intenso a uomo, come fa l’Atalanta in Serie A?
Quando le squadre difendono più arretrate, dobbiamo essere in grado di riconoscere dove si trovano gli spazi. In quel momento il campo da calcio perde profondità, ma mantiene la larghezza, e le squadre che difendono in profondità sono sempre molto vicine alla propria porta, una zona difensiva più stressante in cui non si ha spazio o tempo per correggere eventuali errori. Bisogna sfruttare la larghezza del campo, utilizzare gli spazi che si aprono per attaccare l’area e mettere in difficoltà l’avversario.
Le squadre che difendono a uomo sono più aggressive e orientate al contatto. Secondo me, ci sono due aspetti importanti: far muovere la partita rapidamente in modo che gli avversari arrivino in ritardo alle marcature e guidare i giocatori che ci stanno marcando verso zone che aprono spazio, permettendo a giocatori più tecnici di affrontare situazioni uno contro uno in maggiori condizioni di spazio.
Come trascorri le giornate a Dunkerque nei giorni di riposo? E dove ti vedi tra cinque anni?
Normalmente passo la maggior parte del mio tempo a guardare il calcio, anche a casa. Continuo a lavorare osservando le nostre partite o quelle degli avversari. Guardo anche il calcio di altri campionati per aiutarmi a evolvermi. Dal momento che la mia famiglia è in Portogallo, è sempre calcio, e ancora calcio. Di tanto in tanto, mi piace andare in un ristorante o fare una passeggiata sulla spiaggia vicino casa.
Non penso molto a quello che succederà tra cinque anni. Ho raggiunto un punto nella mia vita in cui vivo molto nel presente e non mi preoccupo troppo del futuro. La vita mi ha già insegnato che nel calcio le cose cambiano molto rapidamente, e spesso in modi che non avremmo immaginato. La cosa interessante è che a volte si rivelano molto migliori di quanto pensassimo. Quando ho lasciato la Grecia [nel 2019 Castro ha allenato il Panetolikos, nda], non avrei mai immaginato i successi che ho raggiunto dopo con il Benfica. In questo momento, vivo il presente.