Negli ultimi anni in Champions League la forbice tra i club d'élite e il resto delle squadre è sempre più ampia, con un divario economico che si ripercuote su quello tecnico. I giocatori delle periferia del grande calcio vengono prelevati dalle nobili inglese e spagnole dalla Serie A, dalla Ligue 1 e dalla Liga portoghese sempre prima e, per questa ragione, è diventato raro trovare calciatori di squadre di medio livello in grado di competere individualmente con i campioni dei migliori club. È anche per questo che ci lasciamo sorprendere così tanto dagli upset della Champions League: partite in cui incide un piano gara o un sistema di gioco migliore, ma dove quasi sempre c'è inaspettatamente un singolo in grado di elevarsi al livello dei fuoriclasse più conclamati.
Quest'anno la grande sorpresa è stata Dusan Tadic, MVP al Bernabeu nella sfida indimenticabile contro il Real Madrid agli ottavi di finale. E il caso del trequartista serbo è quasi unico rispetto ad altre grandi prestazioni del recente passato, come quella di Lewandowski contro il Real Madrid nel 2013 o di Dzeko lo scorso anno col Barcellona. In questi casi, le prestazioni individuali nascevano infatti anche da un dominio fisico oltre che tecnico. Mentre Tadic è riuscito a battere i suoi avversari affidandosi solo dalla sensibilità del suo sinistro, in quel campo, quello del controllo del pallone, in cui i "Blancos" sembravano non avere rivali. In un calcio in cui la concentrazione di tecnica pura diventa sempre più sbilanciata a favore delle grandi squadre, il modo in cui Tadic ha governato il doppio confronto tra Ajax e Real Madrid è sembrato appartenere a un'altra epoca della Champions League, in cui la distribuzione del talento era più uniforme.
Tadic, a 30 anni, ha effettuato il percorso inverso rispetto ai suoi colleghi più giovani: ha abbandonato la ribalta della Premier League per tornare in Olanda, stavolta all'Ajax, con l'ambizione di giocare in Europa e di confrontarsi con un calcio più congeniale alle sue caratteristiche: «Quando un giocatore arriva in Inghilterra lo sorprendono la fisicità e il ritmo. Ci sono tanti calci e a difensori e centrocampisti va bene, agli attaccanti un po' meno. Con così tanta intensità e agonismo si mortifica la qualità, per un giocatore tecnico è più difficile imporsi perché ti possono fare male, sono ammessi di più i contatti».
La comunione tra Ajax e Tadic
Tadic all'Ajax sta vivendo la miglior stagione della carriera con 26 gol tra campionato e Champions League. Certo, la Eredivisie non è la Premier, ma gare come quella del Bernabeu dimostrano come il rendimento di Tadic prescinda dal livello del calcio olandese.
L'Ajax sembra costruito su misura per un calciatore con le sue caratteristiche. Tutti i giocatori, sia quelli provenienti dalle giovanili, sia quelli pescati sul mercato da Overmars, parlano lo stesso linguaggio calcistico, fatto di tecnica ed associazioni ad alta velocità. Ogni caratteristica di Tadic si incastra alla perfezione con quelle dei compagni: la tendenza al dialogo e il gusto per i preziosismi lo rendono spalla perfetta per Ziyech; i movimenti incontro e lungo la trequarti aprono spazi per gli inserimenti di van de Beek; la visione di gioco e la tecnica sopraffina nei filtranti si sposano con i tagli profondi di Mazraoui e Neres.
Ten Hag ha saputo potenziare tutte queste affinità schierandolo da falso nove, con libertà di svariare da un lato all'altro a seconda della sua sensibilità calcistica. Il sacrificio di Huntelaar e Dolberg permette non solo di disporre contemporaneamente di tutti gli uomini più talentuosi, ma anche di organizzare un pressing più efficace: contro il Real Madrid non era raro vedere il serbo alzarsi per aggredire Courtois, infervorando non solo l'intensità senza palla dei compagni, ma anche la spinta della Johan Cruyff Arena, addirittura più rumorosa durante le folate di pressing che nei momenti in cui l'Ajax costruiva nella metà campo spagnola. «Stiamo provando a mettere Tadic davanti per generare dubbi in una difesa che non è molto coordinata. Vogliamo attrarli fuori posizione e far inserire giocatori in corsa alle loro spalle. Ma Tadic è anche incredibilmente bravo a portare il pressing» aveva detto ten Hag alla vigilia di un match di coppa contro il Feyenoord.
La nuova posizione non solo migliora le interazioni coi compagni, ma asseconda anche il suo talento. Nei movimenti Tadic è un giocatore abbastanza istintivo. A differenza dei giocatori nella sua zona, come riferimento per gli spostamenti cerca sempre l'uomo in possesso, con l'intenzione di dare una linea di passaggio verso l'ultimo terzo di campo. Non a caso, più che stazionare al centro e rientrare quasi all'altezza delle mezzali preferisce spostarsi verso le fasce, dove è più facile proporsi per la ricezione.
Tadic è uno di quei giocatori che mostra la sua sensibilità tecnica soprattutto nel contatto con la palla, come se la sua intelligenza si esprimesse con i piedi più che con la razionalità pura, e questa volontà di entrare in contatto con la sfera e di orchestrare l'attacco lo spinge a svariare.
C'entra probabilmente la formazione in Serbia, un paese con un gusto calcistico non proprio affine al suo. Sono molte le interviste in cui Tadic definisce retrogrado e difensivista il calcio del suo paese. Un ecosistema in cui i tifosi sono violenti e gli allenatori autoritari: «In Serbia l'allenatore ogni tanto ti dice: “gioca là!”. Ma tu non puoi sapere meglio di me quando ho bisogno di toccare il pallone. Da giovane non sai cosa fare e se non ascolti magari vieni messo fuori squadra». Non sarebbe strano se avesse sviluppato il desiderio di muoversi liberamente per entrare in contatto con la sfera come anticorpo al grigiore di quella cultura calcistica.
Tadic si muove verso il lato palla per creare superiorità numerica e ha una buona varietà di soluzioni su entrambe le fasce. A destra può ricevere per condurre verso l'interno e avere la visione dell'ultimo terzo di campo in tutta la sua ampiezza. Da quella posizione, avvicinandosi alle zone focali della rifinitura può sprigionare tutto il suo estro. A sinistra invece di solito alterna ai movimenti incontro alcuni attacchi alla profondità. Non è un giocatore velocissimo, ma capta con grande intelligenza eventuali buchi tra le maglie avversarie e sa approfittarne per chiamare il passaggio alle spalle della difesa.
Nella partita con il Real Madrid, ad esempio, Nacho e Carvajal nel disastroso sistema difensivo di Solari raramente restavano compatti e in linea, e in questo modo Tadic poteva tagliare costantemente sul lato destro del Madrid. Certo, a sinistra è limitato dalla linea laterale e dalla minore, seppur buona, dimestichezza col destro. Anche da là però riesce a capovolgere la prospettiva per studiare cosa accade in zone più centrali.
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Senza fretta
I movimenti di Tadic da falso nove hanno senso sia per le sue caratteristiche individuali, sia per la predisposizione dei compagni a scambiare continuamente la posizione. Van de Beek in particolare è quello che più spesso asseconda i suoi spostamenti. L'olandese è il centravanti occulto dell'Ajax e occupa la posizione di punta sia in corsa, sia in maniera statica, se Tadic decide già a inizio azione di spostarsi sulla fascia.
Tadic può allargarsi quasi coi piedi sulla linea laterale o, preferibilmente, occupare i mezzi spazi. Nei corridoi intermedi controlla e resta in possesso innanzitutto grazie alla costante ispezione delle zone circostanti. La testa si muove come una sonda per osservare dove sono i compagni, qual è l'avversario più vicino e da quale parte quindi verrà aggredito. Informazioni necessarie per decidere cosa fare col pallone.
Se possibile, Tadic preferisce sempre orientarsi col corpo perpendicolare alla linea di fondo e con la fascia alle spalle. Appena prima di ricevere sa già se conviene scaricare il pallone o se invece può tenerlo. Osservare gli avversari infatti significa anche decidere che tipo di controllo effettuare: uno stop a seguire se c'è spazio o, al contrario, un controllo più corto per tenere il pallone sotto di sé.
La giocata distintiva di Tadic in questo senso è lo stop di suola, raffinato con il futsal, a cui ha confessato di dedicarsi nel tempo libero. Parlando di un suo gol di punta col Southampton, il serbo ha detto di aver appreso la tecnica proprio dal calcio a cinque, dove «la palla resta sempre vicina al piede». Per i controlli di suola vale lo stesso principio: la sfera resta sotto controllo, coperta dal corpo e si possono usare i tacchetti per fare perno e voltarsi da un lato o dall'altro.
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Una volta controllato il pallone, Tadic può iniziare a puntare l'area per cercare la giocata risolutiva. Il trequartista serbo conduce la sfera a un ritmo mai troppo sostenuto, con lo sguardo in cerca di soluzioni verticali. Se non è possibile mandare subito in porta i compagni, allora rallenta ulteriormente per permettere ai suoi di piazzarsi meglio e cercare con più calma di aggirare la difesa.
In definitiva, Tadic è il regista offensivo che dà la pausa, l'uomo dai cui piedi passa il ritmo offensivo dell'Ajax. Può farlo perché la copertura del pallone è sempre ottimale, pronta a rispondere ad eventuali tentativi di anticipo da parte degli avversari. La predisposizione alla pausa è utilissima in fase di attacco posizionale, dove non si può giocare sempre in maniera diretta, ma diventa ancora più evidente nelle transizioni, quando dà un senso alla verticalità di Neres, Mazraoui e van de Beek. Anche in situazioni concitate con l'avversario costretto a correre all'indietro, Tadic capisce se è necessario fermarsi per attrarre fuori posizione il difensore e aprire il campo agli inserimenti dei compagni o alla giocata individuale.
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Persino i suoi dribbling nascono dalla capacità di portare fuori zona il difensore e di liberare lo spazio in cui superarlo. La veronica con cui salta Casemiro al Bernabeu, quella che gli ha fatto ammettere di guardare un po' troppi video di Zidane, nasce proprio dal modo in cui, con una conduzione cadenzata, invita il brasiliano a lasciare scoperto il proprio lato destro.
Non è un caso che la veronica sia la trademove di Zidane, in grado di esprimere tutta la classe e la compostezza del leggendario numero dieci francese. È un gesto tecnico abbastanza semplice da apprendere, sono due piccoli tocchi eseguiti in momenti differenti, al contrario di skill come l'elastico o la cola de vaca in cui il pallone deve restare incollato al piede. Un dribbling dall'eleganza sobria, proprio come il portamento del serbo in campo. Quando salta l'uomo Tadic sembra farlo senza fatica, giusto per la necessità di evitare i goffi interventi difensivi.
Pochi istanti prima, con un controllo orientato aveva portato fuori zona Kroos e lo aveva saltato con un semplice tocchetto in avanti. Aveva continuato a portare palla in verticale, quasi allargandosi verso la fascia, il lato opposto rispetto alla zona in cui voleva arrivare. In questo modo Casemiro si era mosso in orizzontale, scoprendo del tutto lo spazio a ridosso dell'area, quello che più interessa a un passatore come l'ex Southampton.
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La veronica, insomma, non è un orpello fine a sé stesso ma una scelta perfettamente logica: col primo tocco ci si mette di spalle al difendente, così da coprire il pallone dal tackle, e col secondo si fa perno per girarsi verso lo spazio lasciato scoperto. Nel secondo tempo anche Kroos riceverà lo stesso trattamento: un tocco con la suola del sinistro indietro per proteggere il possesso, uno di destro in avanti per saltare definitivamente l'uomo, attratto ancora una volta fuori posizione dalla furbizia mascherata da lentezza di Tadic.
Nella veronica di Tadic invece non sembra esserci nessuna spacconeria: è un ricamo elegante, il modo di un trentenne dalla carriera non proprio brillante di presentarsi a un pubblico esigente come quello del Bernabeu, con la volontà più di compiacerlo che di sfidarlo.
L'amore per i filtranti
Il fondamentale in cui Tadic eccelle sono però i passaggi alle spalle della difesa. Anche in questo caso, la pausa e la lettura dei tempi sono le premesse da cui partire per disegnare un filtrante verticale. Tadic non ama costruire tramite le interazioni coi compagni, e difficilmente si muove per chiudere le triangolazioni. Preferisce condurre in prima persona il pallone, appoggiandolo solo quando è necessario e aspettando lo spiraglio giusto per innescare gli altri giocatori.
Una volta creato spazio per il taglio dietro la difesa, magari con un dribbling che scompagina le marcature, Tadic può giocare palloni ad altissimo coefficiente di difficoltà, che rotolano tra selve di gambe senza dare la possibilità ai difensori di intercettare. La soluzione che di solito preferisce è il servizio sulla corsa, col pallone che passa sul lato interno del centrale o del terzino, e che porta il compagno a tagliare verso l'area. Il filtrante nello spazio e non sui piedi permette a chi si inserisce campo di superare in velocità il difensore, che non può difendere il cosiddetto lato cieco e deve scegliere se mantenere il contatto visivo col pallone o seguire con lo sguardo l'uomo alle spalle.
Anche in questo caso la pettinata di suola non serve solo a preparare il passaggio ma anche per dare il tempo a Neres di tagliare dietro Carvajal.
Al Bernabeu Tadic, con le sue pause, i suoi dribbling e i suoi assist visionari ha manipolato non solo l'attacco dell'Ajax ma l'intera partita. Il Real Madrid di Solari era una squadra davvero poco organizzata, che spesso si ritrovava a correre all'indietro con distanze lunghissime che scoprivano in maniera imbarazzante il lato debole. Le caratteristiche del serbo sono state una benedizione per l'Ajax: Tadic attraeva gli avversari, liberava spazi più avanti e serviva gli inserimenti dei compagni. E questo è quasi un paradosso perché in una squadra che dà il meglio a ritmi altissimi il giocatore decisivo è un trequartista abile a congelare il pallone e a muoversi con una marcia più bassa rispetto agli altri. Il suo talento cerebrale è necessario a rendere davvero pericolosa l'esplosività dei suoi compagni contro squadre superiori tecnicamente e soprattutto fisicamente.
Contro la Juventus, però, per Tadic sarà più difficile. Quella di Allegri è per natura una squadra in grado di raffreddare con la fisicità e le distanze corte anche le squadre più entropiche. E il trequartista serbo avrà meno spazio e tempo per muoversi tra le linee. L'Ajax dovrà quindi trovare il modo, magari tramite il pressing alto, di non fare abbassare i ritmi. Ma soprattutto permettere al suo giocatore migliore di contendere lo scettro ai migliori giocatori del mondo con l'unica variabile grazie alla quale la squadra olandese può vincere questa sfida: il controllo della palla.