E quindi la Juventus sta per prendere Dusan Vlahovic, questione di ore, forse giorni. Dopo aver discusso su quale centravanti low cost avrebbe potuto sostituire l’eventuale partenza direzione Barcellona di Morata, in maniera improvvisa - non che non se ne sia parlato, ma il momento non sembrava propizio - la società bianconera ha deciso di aprire il portafoglio per fare a gennaio uno di quegli acquisti solitamente riservati al più ambizioso calciomercato estivo (di fatto sarà l’acquisto più caro nella storia del mercato invernale). 67 milioni, qualche bonus, sporchi maledetti e subito, in controtendenza con le ultime operazioni juventine, che avevano pagamenti spalmati nel tempo per non gravare troppo sui bilanci.
La Juventus lo fa per battere sul tempo la concorrenza, certo, con la Fiorentina che negli ultimi giorni aveva fatto capire di voler vendere il suo centravanti subito per non arrivare a scadenza, ma anche per provare ad aggiustare una squadra che nel corso di questa stagione ha mostrato limiti offensivi preoccupanti, resi quasi spettacolari nella loro sterilità dall’ultima partita contro il Milan, quando pur non giocando particolarmente male la squadra aveva finito la gara con zero tiri in porta. L’acquisto del capocannoniere della Serie A (insieme a Immobile) come messaggio implicito dell’impossibilità di risolvere i problemi attraverso il gioco con questa rosa, ma soprattutto la volontà di investire subito per raggiungere uno dei primi quattro posti che garantirebbero il prestigio e gli introiti della Champions League.
Semplificando, quindi, possiamo leggere l’acquisto di Vlahovic come il tentativo matematico di aggiungere tiri e gol a una squadra a cui mancano drammaticamente. A questo punto del campionato la Juventus ha tentato 333 tiri (14.5 ogni 90’, settima in Serie A) di cui 103 in porta (4.48 ogni 90’, sempre settima). Le cose peggiorano quando si tratta della qualità dei tiri: i bianconeri sono la decima squadra del campionato per xG creati (31.4) e l’undicesima per gol, 34.
Proviamo a fare un gioco in cui sommiamo il contributo di Vlahovic come se il calcio fosse aritmetica. Vlahovic aggiungerebbe i suoi 69 tiri stagionali (primo nel nostro campionato), di cui 27 in porta (secondo dietro Immobile). Limitandosi alle conclusioni che centrano lo specchio della porta, la Juventus passerebbe da quasi 4 e mezzo ogni 90’ a quasi 6, che vorrebbe dire aumentare praticamente di ¼ i pericoli verso la porta avversaria. Ancora più stupefacente sarebbe l’addizione di gol: le sue 17 reti, sommate alle 34 totali segnate dalla Juventus, aumenterebbero esattamente di ⅓ il bottino realizzativo, anche se sarebbe più corretto parlare di 12 gol non su rigore (che, comunque, arrivano da 8.2 npxG, il terzo in Serie A).
Quello che è, presumibilmente, l’ultimo gol in maglia viola di Vlahovic ci racconta di un attaccante in uno stato di forma psico-fisico eccezionale.
Ma il calcio è raramente matematica e, se lo è, è matematica complessa, non quella delle addizioni. Quei numeri semmai ci aiutano a contestualizzare la grande stagione di Vlahovic, e quella mediocre dei bianconeri. Alla Juventus Vlahovic si troverebbe a essere parte di una squadra che ha enormi difficoltà nel portare il pallone nell’area avversaria, prima che la somma delle sue conclusioni. Allegri quest’anno ha cambiato spesso schieramenti e uomini, ma raramente è riuscito a proporre delle prestazioni offensive brillanti. Un pressing sufficiente si è visto solo contro squadre di livello inferiore e generalmente i bianconeri si sono accontentati di difendere con un baricentro basso per poi cercare di ripartire, senza però avere mai davvero dei meccanismi collaudati per fare un attacco di transizioni.
C’è da dire che anche alla Fiorentina, Vlahovic si è trovato a giocare al centro di un attacco non perfettamente funzionale, come avevamo scritto qui. E in questa stagione il talento del serbo stava nascondendo in qualche modo questi limiti - segnando 17 gol in 21 partite e dimostrando di essere uno di quei centravanti in grado di “crearsi le proprie occasioni” - ma c’è da dire che lo faceva in un sistema molto diverso, in una squadra intensa e diretta che cercava di recuperare il pallone in alto, creare le loro occasioni partendo dalla metà campo avversaria se possibile. Al contrario a Torino troverà un sistema molto meno diretto, con limiti diversi, che chiede al centravanti un lavoro di raccordo più logorante. In ogni caso Vlahovic ha già dimostrato di essere uno di quegli attaccanti autosufficienti, in grado di generare quasi da sé situazioni pericolose.
Nel sistema della Juve Morata si è barcamenato come poteva, spesso in balia di limiti più strutturali che suoi. Allo spagnolo Allegri chiede di essere un riferimento per far salire la manovra, ma gli chiede di farlo a centrocampo, agendo quasi da regista, lontanissimo dalle zone in cui un centravanti può essere determinante. Morata comunque è sembrato spesso in difficoltà, mostrando non solo limiti tecnici ma anche poca lucidità nelle scelte.
In una situazione in cui gli lasciano spazio per controllare, Morata non sembra avere idea di cosa fare, anche per la disposizione dei compagni. Alla fine finisce per sbagliare grossolanamente la verticalizzazione.
Vlahovic può essere la soluzione a questo problema? Giocare spalle alla porta è generalmente considerata una questione fisica, più grande sei più impegnativo sarà per il difensore anticiparti, ma è un lavoro che richiede prima di tutto una notevole tecnica individuale (non a caso i migliori interpreti sono giocatori come Benzema, Ibrahimovic, Dzeko o Lewandowski) e Vlahovic non è un centravanti particolarmente tecnico, almeno non quando si tratta di primo controllo e della scelta successiva. Quando ha iniziato a giocare alla Fiorentina, e subito aveva palesato dei lampi di brillantezza che ne ipotizzavano un futuro importante, il suo gioco spalle alla porta era ricco di difetti: il serbo aveva un primo tocco pesante, una scarsa sensibilità nell’uso del corpo e l'uso esclusivo del sinistro lo rendeva più prevedibile. Era a suo agio solo quando riusciva a girarsi, diventando, a quel punto sì, un giocatore sorprendente.
Ma nelle due stagioni e mezzo giocate in Serie A, Vlahovic ha evidenziato una grande capacità di migliorarsi, anche nel gioco spalle alla porta che pure non sarà mai il piatto forte della casa. È questo forse l’aspetto più intrigante che compra la Juventus, un centravanti con un'ambizione enorme, disposto a fare di tutto per assecondarla. Vlahovic non sembra accettare i propri limiti come infrangibili.
E se i miglioramenti nel primo controllo, nell’uso del corpo, nella scelta da effettuare subito dopo richiedono tempo (e forse il giusto contesto), Vlahovic sta cercando di sopperire alla mancanza di talento grezzo lavorando in maniera maniacale sul proprio corpo e sulla ripetizione dei gesti. A spronarlo, ha raccontato, è stata la visione di Ribery in allenamento, la sua cultura del lavoro a 36 anni («Amico svegliati, qui non ci siamo» si è detto). I risultati sono evidenti: a una struttura fisica notevole, il serbo ha aggiunto uno strato di muscoli importante, come si può vedere nel confronto delle foto dai tempi del Partizan a oggi.
È vero che sono passati quattro anni, ma Vlahovic sembra un’altra persona.
Non è detto che il suo corpo basterà alla Juventus per diventare una squadra più veloce nel passare dalla difesa all’attacco, e, anzi, si può obiettare che Morata sia un giocatore più associativo di Vlahovic. Allegri però con il serbo avrà a disposizione un riferimento offensivo meno statico, con più capacità di vincere i duelli individuali con i difensori e che soprattutto ha dimostrato grande precisione e incisività negli ultimi metri.
Soprattutto quello che guadagna la Juventus è un giocatore con entusiasmo, che può ravvivare una squadra apparsa paurosamente piatta a livello caratteriale. Da questo punto di vista Morata - in questa stagione - raramente ha mostrato l’intensità mentale richiesta per essere il centravanti di una squadra di fascia alta. La mezz’ora con cui ha ribaltato la partita con la Roma rimane una scintilla in un mare di polveri bagnate. Una stagione negativa dovuta anche all’assurda situazione in cui si è trovato, con un prestito che scade a giugno e che era abbastanza chiaro non avrebbe portato al riscatto. Anche senza mettersi a discutere del valore dei due giocatori, sostituire un centravanti con le valigie pronte nel corridoio con un attaccante che deve guadagnarsi una reputazione al livello più alto non può che essere un vantaggio.
Certo si può obiettare che usare Vlahovic, il capocannoniere della Serie A, a 50 metri dalla porta avversaria sia uno spreco, ma prima ancora di diventare un attaccante efficiente - cosa successa negli ultimi 12 mesi - il serbo si era messo in luce come «un attaccante da profondità, un animale da praterie, un cavallo da lanciare in campo aperto». Con Italiano Vlahovic ha giocato più spesso nella metà campo avversaria, mostrando anche una buona predisposizione alla riagressione, ma la sua esplosione è arrivata con Prandelli e una squadra dal baricentro molto basso e il gioco semplificato.
Ancora prima: il gol con cui si è presentato alla Serie A Vlahovic, un gol difficilmente replicabile, ma che risolverebbe più di un problema alla Juventus.
Allegri dovrà però venire incontro alle qualità del serbo, magari non alzare il baricentro di 30 metri, un’impresa che pare impossibile, ma cercare di fargli ricevere il pallone in situazioni meno precarie di quelle a cui è stato costretto Morata. Perché un conto è partire dal basso, un altro è farlo con i compagni lontani e gli avversari vicini. Vlahovic non è un attaccante associativo, farlo pensare troppo non è la cosa migliore.
La cosa migliore, ovviamente, è servirlo in area di rigore. Quello che né Morata né gli altri calciatori della rosa sono stati in grado di fare in questa stagione è di essere incisivi negli ultimi 16 metri, qualcosa a cui, negli ultimi anni, aveva sopperito quasi magicamente Cristiano Ronaldo. Togliendo i rigori (4) e le reti da fuori area (5), la Juventus ha segnato appena 25 reti in area di rigore in 23 partite, troppo poco. Domandarsi se basta Vlahovic per invertire questa tendenza, o se piuttosto sarà il serbo ad appiattirsi sulle difficoltà della Juventus è una domanda a cui è difficile rispondere, la cui verità - probabilmente - sta nel mezzo.
Le statistiche dicono che i bianconeri toccano troppo poco il pallone in area di rigore (26.5 tocchi, meno di Empoli, Verona e Fiorentina) e che il rapporto tra occasioni create e gol segnati è più o meno in linea (27.9 npxG per 30 gol non su rigore). La Juventus non è quindi una squadra che segna meno di quello che crea, i problemi non sono quindi di imprecisione, ma non è neanche una squadra cinica che riesce a fare molto meglio della media, al contrario di quanto accadeva nelle stagioni vincenti di Allegri, quando basava le sue vittorie anche sulla capacità dei suoi calciatori di convertire le occasioni molto sopra media.
E se la fase offensiva della Juventus rimanda una sensazione diffusa di mediocrità, sia alla vista che nei numeri, Vlahovic è tutt’altro che mediocre. Da quando ha iniziato a segnare ha messo in mostra un arsenale quasi inesauribile in zona gol: di sinistro, di testa, su rigore, punizione, in acrobazia, di forza o di fioretto, non c’è un modo in cui non possa segnare. La violenza dei suoi tiri è impressionante.
La mappa di tiro dei 12 mesi di fuoco di Vlahovic.
Insomma Vlahovic come scorciatoia per un obiettivo necessario, ma limitarsi a valutare il suo impatto per i prossimi mesi sarebbe come guardare il dito quando ti indicano la luna. Se la Juventus, cioè, non riuscisse a raggiungere il quarto posto e se il suo nuovo centravanti dovesse stentare - cosa che è nelle possibilità di un calciatore che compirà 22 anni tra due giorni e che non ha mai giocato in una squadra che gioca in Europa - metterlo già in discussione sarebbe un errore tragico.
La Juventus è una squadra abituata a comprare calciatori già pronti, soprattutto nel ruolo di centravanti titolare; e allo stesso modo ha mostrato una certa difficoltà ad affidarsi ai giovani - specialmente con Allegri - ma l’acquisto di Vlahovic è una scelta forte, una scelta di ringiovanire, certo, ma anche di mettere il proprio futuro nelle mani di un calciatore che deve ancora crescere e migliorare. Per farlo però bisogna metterlo nelle condizioni giuste e se queste non ci sono, cercare di crearle. Avere pazienza nel calcio, in certi casi, è meglio che vincere la prossima partita.