«Noi ragazzi venuti dai Balcani», ha detto una volta Dusan Vlahovic, «facciamo le cose più con il cuore che con il cervello». Che il serbo faccia le cose più con il cuore si vede: si vede da quanto si dispera dopo un errore, da come si esalta invece dopo un gol; si vede quando litiga con i tifosi, da quando invece vorrebbe stringerli tutti in un unico grande abbraccio dopo una vittoria. Si vede da come scherza coi compagni, da come non accetta le critiche; si vede quando va a C’è posta per te, quando parla della sua Serbia, quando fa un post sui social.
Già, i social di Dusan Vlahovic. Parliamone: la sua comunicazione non è mai istituzionale, formale, diplomatica. Ogni sua parola, ogni foto raccontano un evidente sforzo di provare a dire qualcosa di reale, di emozionare, coinvolgere. Anche un semplice post dopo una partita può diventare l’occasione per “usare il cuore”: “Partite come queste fanno male. Ma se ho imparato una cosa è che sono pronto a scendere all'inferno con te, se servirà a riportarti in paradiso”, scrive ad esempio su Instagram dopo la finale di Coppa Italia persa contro l’Inter. Era alla Juventus da appena pochi mesi. Così invece dopo la penalizzazione di due stagioni fa: “Non abbiamo paura di qualche punto in meno in classifica. Non abbiamo paura di rimboccarci le maniche. Non abbiamo paura dei nostri avversari. Non dobbiamo avere paura di niente”. Potrebbe essere un discorso di Churchill alla Camera dei Comuni, è un post di Vlahovic.
Questa continua ricerca di emotività esce fuori ancora più prepotentemente quando Vlahovic fa post o storie in cui si automotiva, o comunque cerca di esprimere la propria condizione emotiva sotto forma di immagine o breve video. Sono quelli che definiamo post motivazionali, con un linguaggio forse troppo cinico, forse sarebbe meglio chiamarli post di ricerca del proprio posto nel mondo o comunque un modo per esprimere la propria interiorità, per non tenersi tutto dentro ma cercare di condividere con il mondo questo fardello che è essere il centravanti della Juventus in questo momento storico.
Comunque vogliate chiamarli, questi sono i migliori pubblicati da Vlahovic.
IN GUERRA CON SE STESSO
Questo è un post sulla pagina Facebook di Vlahovic, poi abbandonata per dedicarsi completamente a Instagram (il serbo è piena Generazione Z). Vlahovic ha 17 anni ma sa già benissimo di essere prima di tutto in guerra con se stesso, per quanto questa non sia una buona notizia (anche se sembra riportarla come tale). Magari lui non sarà contento di essere accostato a un croato, ma indirettamente sembra citare Goran Ivanišević: «Il mio problema è che in ogni partita ho 5 avversari: l'arbitro, la folla, i raccattapalle, il campo e me stesso». Una massima abusata nello sport, ma se avete mai visto giocare Vlahovic sapete che gli calza perfettamente.
GLI AUGURI DI BUON ANNO A TUTTI, MA NON PROPRIO A TUTTI
È il primo gennaio 2025 e bisogna fare gli auguri a tutti, se sei una persona che ama condividere come lo è Dusan Vlahovic. Il suo messaggio a parole è conciso e universale: Happy New Year to everyone 💫 God bless you all ❤️, ma poi è seguito da un carosello di 19 immagini che sembrano fare a pugni con la caption inclusiva.
Di queste 19 immagini, 12 sono foto che fanno parte di un canonico “il mio 2024”: c’è lui circondato dai fari dello Stadium, lui in posa elegante con la nuova maglia della Juventus, lui con Djokovic, lui al mare, lui con la maglia della Serbia, lui che beve il mate prima di una partita, lui con la fidanzata (credo), una Ferrari (immagino la sua Ferrari), lui con la Coppa Italia, a ricordare che comunque un trofeo l’ha vinto (e voi?). Alternate a queste però c’è l’altro 2024 di Vlahovic, quello in cui è stato tartassato dagli haters, a cui deve rispondere con immagini criptiche.
La prima è la più controversa, ma anche la più emotivamente diretta. Vlahovic vuole scappare dai suoi haters per inseguire i suoi sogni, come se i primi impedissero ai secondi di avverarsi. Per farlo però deve scendere con gli su una parete in verticale. Non sarà troppo rischioso? Il messaggio qui, probabilmente, è che per raggiungere i propri sogni bisogna scegliere la strada difficile, che nessuno ti darà niente, anzi proveranno a toglierti tutto. Ma potrebbe essere anche un messaggio più didascalico: non inseguire i tuoi sogni, non ne vale la pena.
Poi c’è il filone che possiamo chiamare jordanesco. Vlahovic, come molti sportivi moderni, ha abbracciato la lezione di MJ e poi di Kobe: le motivazioni sono dentro di te, devi solo tirarle fuori pensando ai tuoi nemici.
Cosa vuol dire questo trittico di foto? Mi immagino Vlahovic che nel tempo libero cerca le quotes di Jordan per ritagliarle e salvarle in una cartella sul desktop. Qui usa il “It became personal with me”, la frase che accompagna tutto il documentario The Last Dance e il cui senso implicito è che Jordan trovava la sua eccezionale motivazione nell’odio verso gli altri. Sappiamo come l’odio sia un motore potentissimo, ma è il motore giusto per Vlahovic? Onestamente non penso, ma ognuno è libero di motivarsi come meglio crede.
La seconda parla del fallimento. Molte frasi di Jordan parlano del fallimento, ma sono frasi che lo hanno nobilitato come testimonial della Nike, perché Jordan ha vinto e ha vinto sempre quando è stato il momento di non fallire. Avrebbe detto questa frase se non avesse vinto 6 titoli in 6 finali? Non credo. Vlahovic vuole fare suo questo messaggio, l’idea che il fallimento faccia parte del successo, ma deve stare attento: tra fallire e parlare di fallimento il confine è molto sottile.
La terza, mi sembra, è la più onesta. È la Mamba mentality, non ci sono giorni off, anche quando sei stanco, quando le motivazioni mancano. Anzi, sono proprio quelli i giorni in cui allenarti lo stesso farà di te un vincente (credo, non mi sono mai allenato molto in vita mia).
In chiusura le ultime due foto di questo infinito carosello.
Smettila di provare a piacere a tutti, a te neanche piacciono tutti ci dice una felpa di una persona qualunque che sta correndo in un mondo qualunque. È una bella frase, che - mi sento di dire - Vlahovic dovrebbe ricordarsi più spesso. Ma soprattutto, perché lui (e gli altri calciatori) queste cose non possono dirle ai microfoni? Perché i loro messaggi sono universali sui social e sciatti nella realtà? Che cos’è questo stratagemma-meme? Sarebbe bello avere giocatori più emotivi davanti alle telecamere e meno emotivi dietro la tastiera del proprio smartphone.
L’ultima foto immagino si spieghi da sé, almeno per Dusan Vlahovic.
IL PRIMO POST SU INSTAGRAM DI DUSAN VLAHOVIC
Evidentemente questa cosa del vestiario che parla a Vlahovic piace. Questo è il suo primo post su Instagram, datato 30 novembre 2017. All’epoca aveva 17 anni e giochicchiava nel Partizan: a quell’età, di solito, non usi Instagram per motivarti, ma per altro. I diciassettenni poi sono insicuri, al massimo usano citazioni filosofiche banali, Vlahovic invece a quell’età aveva già capito che doveva essere il primo a credere in se stesso se voleva arrivare, perché nessun altro crederà in te (almeno questo è quello che devono pensare i calciatori, in realtà in molti hanno creduto in Vlahovic fin da piccolo, altrimenti non sarebbe arrivato dov'è ora). Ci credeva così tanto da fare un post così smaccato: salite sul mio carro ora, prima che finiscano i posti disponibili.
Oggi sembra un post scontato il suo, ma è invece un post con molto coraggio: se avesse fallito con la sua carriera da calciatore sarebbe stato incredibilmente ridicolo, tanto che il primo commento (almeno a cui sono riuscito a risalire) è un utente, magari un amico, non lo so, che ride sguaiatamente. Chi ride ora invece?
VLAHOVIC CITA BENZEMA
Citare i propri riferimenti è parte essenziale di un post motivazionale: si seguono sempre le tracce di qualcuno che ha indicato la strada. In questo caso, in una storia Instagram irrecuperabile, ma finita in un articolo di Tuttosport, Vlahovic ripubblica questo post di Karim Benzema, uno strano collage tra lui di spalle e un ghepardo su un bancale rovinato, con la frase già di per sé motivazionale L'istinto è l'unica cosa reale.
A questo pacchetto Vlahovic aggiunge di suo pugno la scritta neuf, nove in francese. Il suo è un omaggio, non un paragone - non credo davvero che Vlahovic pensi di essere al livello di Benzema - ma non aggiunge informazioni banali come “Benzema fortone” o “Quanto è forte Benzema” o “Karim the Dream”. No, basta il numero 9, che è sì un numero, ma anche un concetto, un élite, una croce. Questa storia allora ci dice che lui e Benzema appartengono alla stessa stirpe, devono attraversare gli stessi deserti, subire la stessa croce prima di riuscire. E riescono perché sono diversi, perché sono umani sì, ma anche oltre-umani, sono felini, sono corpi sinuosi che si muovono diversamente, perché non sono guidati dalla collettività come noi, ma dall’istinto. Perché l’istinto è l’unica cosa reale.
VLAHOVIC IN PALESTRA
Le storie di Vlahovic che si allena in palestra sono il cuore dei post motivazionali di Dusan Vlahovic. Il principio di base è sempre quello della Mamba mentality, ovvero che mentre tu non ti stai allenando, da qualche parte nel mondo qualche tuo nemico lo sta facendo per batterti, e allora devi sempre allenarti, forse anche più di quello che sarebbe giusto per un calciatore, che comunque non alza pesi per lavoro.
Questo principio Vlahovic lo ha declinato al mondo di oggi, dove se non fai vedere che stai facendo una cosa sui tuoi social, non lo stai facendo veramente. Come dargli torto? Probabilmente anche io se avessi il suo fisico ci terrei a farlo sapere al tutti il più possibile: dopo tutto la vanità è una virtù quanto un vizio (non è mia, l’ho trovata su Google). Eppure quando Vlahovic mette una foto o un video di lui mezzo nudo in palestra, non sembra però farlo per motivi estetici e neanche per semplice imitazione di Kobe. Le sue foto sembrano piuttosto un tentativo preventivo di difendersi dalle critiche, come a dire: io ci sto provando, ci metto tutto me stesso, mi spacco in palestra, mi spacco in campo, mi spacco nel tempo libero. Che altro volete da me?
Prima di una partita contro il Milan, Vlahovic posta questa foto di lui in palestra con la scritta “Night session” (anche qui dovete fidarvi della notizia riportata dai giornali, visto che le storie Instagram durano 24 ore). Gli addominali in vista sotto la maglietta certo, ma soprattutto il sudore e l’idea che anche di notte lui si stia allenando, mentre gli altri dormono o magari guardano un film su Netflix.
In questa storia si può notare un’evoluzione in come Vlahovic si mostri in palestra. Ai tempi della Fiorentina, infatti, a non essere liberi erano solo i giorni (il classico no days off dei seguaci di Kobe), mentre - possiamo immaginare - le notti erano dedicate allo svago (anche se nei giorni prima del passaggio alla Juventus, ci teneva a farci sapere che si allenava anche la mattina di Natale).
Quelle che sarebbero banalmente foto in palestra, per il serbo diventano post motivazionali grazie al sapiente uso di una brevi frasi che le nobilitano. Un semplice Leg raise (cioè, semplice…) diventa un messaggio per tutti: arrivo, sono inevitabile. È una storia estiva, come possiamo intuire guardando un panorama estivo sullo sfondo, ma, appunto, le vacanze sono sullo sfondo, quasi nascoste da una sapiente scelta dell'angolo della foto. In primo piano c’è il lavoro, la nuova stagione, la voglia di migliorare sempre.
Questa è una storia dell’estate del 2023, la prima estate da giocatore della Juventus. Rispetto ai tempi della Fiorentina, a cambiare, pur non cambiando la sostanza, ovvero la combo foto in palestra più frase in inglese, è anche l’espressione di Vlahovic. Ora è concentrato, quasi scazzato. Saranno queste le pressioni di giocare nella Juventus? L’allenamento non è più gioia ma, appunto, un modo per rispondere alle critiche, far vedere che ce la sta mettendo tutta. Guardate invece questa storia:
Anche qui Vlahovic vuole dirci che lui è in palestra per prendersi il mondo, ma lo fa con una foto a fine allenamento, non nel massimo sforzo come sopra, e soprattutto guardando in camera sorridente. Siamo nella fase luna di miele tra il serbo e il resto del mondo, il momento in cui è un giovane centravanti rampante a cui nessuno chiede altro se non di essere una promessa di felicità.
Col passare dei mesi alla Juventus i suoi post motivazionali legati all’allenamento sono diventati sempre più minimalisti, hanno perso la gioia del raccontare per abbracciare la fatica del dover dire. A crescere è il fisico, non servono parole, basta la definizione del muscolo, la venosità dovuta alla bassa percentuale di massa grassa.
Vlahovic continua a postare foto della palestra, del recupero, della sua vita fuori dal campo come proseguimento di quella in campo, ma non c'è più voglia di condivisione. Guardate ad esempio questa immagine: la testa bassa, le spalle chiuse, le mani giunte come in una preghiera. Ok, magari sarà il freddo della vasca di ghiaccio, ma confrontatela con questa foto di Cristiano Ronaldo (il riferimento aureo per tutti quelli che vogliono postare foto motivazionali in palestra) mezzo nudo in una vasca di ghiaccio: sono come il giorno e la notte.
Questi post motivazionali in palestra, che Vlahovic pubblica con il cuore aperto, alla ricerca di complicità con i suoi tifosi, non hanno però sempre l’effetto sperato, anzi. Come ci insegna proprio lui, non tutti ti ameranno, indipendentemente da quello fai. Le sue foto semi-nudo mentre si allena sono diventati parte di un meme cattivo (e anche un po’ razzista) sul ciclo della vita calcistica di Vlahovic:
Uno di quei meme che sembra autorealizzarsi come per magia, o che Vlahovic ha assunto su di sé come una croce, perché crede che ogni errore debba essere emendato con la fatica, mentre ogni piccolo successo celebrato come un trionfo. È il senso di "usare di più il cuore", ovvero lasciarsi sopraffare dalle emozioni, dargli tutto lo spazio che meritano, o magari troppo. È la questione che insegue Vlahovic dal suo arrivo alla Juventus: non sarà tutto troppo? Non sarà troppo il suo stipendio, troppo il suo corpo, troppi gli errori, troppa l'emotività, troppi i suo scazzi, troppi gli slanci social, troppo pochi invece i gol.
"Sono vasto, contengo moltitudini", scrisse Walt Whitman, un verso che sarebbe una bellissimo titolo per una biografia di Vlahovic, ma che applicato al calcio, al mestiere di fare gol, almeno nella Juventus, si sta rivelando un limite.