A Roma c’è praticamente un incendio al giorno. Giusto domenica, mentre pranzavo sulla terrazza di un’osteria, il cameriere che veniva dalla sala interna fiutando l’odore di bruciato che a me stava sfuggendo ha commentato: “L’incendio dell’una è arrivato in ritardo”. La luce si era fatta gialla e nel cielo c’era una leggera foschia che sfumava i contorni degli alberi in lontananza, mentre nel naso cominciava a pizzicare il profumo delle sterpaglie che vanno a fuoco. Tipico incendio di inizio pomeriggio, niente di cui stupirsi o allarmarsi. Anche perché doveva essere lontano, non si vedeva neanche la colonna di fumo.
Questa è Roma oggi, una città pronta ad abituarsi a tutto, pronta per la fine di tutto. Pronta a scalare qualsiasi classifica negativa esista sulla qualità della vita, e anzi, a sentirsene quasi fiera (se New York è la seconda città più sporca al mondo, quale sarà la più sporca in assoluto?). Non è un incendio, per quanto grande, a sorprenderci. Semmai il contrario, ci stupiamo quando succede qualcosa di buono, qualcosa che stride con la nostra idea di Roma.
Ad esempio, quando ti svegli con le chat piene di foto dei tuoi amici con una mano chiusa davanti alla bocca e il pollice e l’indice sotto gli occhi. O dei figli dei tuoi amici che provano, riuscendoci così così, a mettere il naso su la membrana che unisce pollice e indice. Quando la Roma convince Paulo Dybala a vestire giallorosso, cioè. (Coincidenza: l’esultanza di Dybala dovrebbe rappresentare la maschera di un gladiatore, e chi c’era a Roma, al Colosseo!, proprio il giorno in cui Dybala ha deciso di fare parte di questa strana forma di eternità? Russel Crowe).
Certo è da un po’ di tempo che nella parte giallorossa di Roma accadono cose strane. Da almeno un anno. Dall’annuncio a sorpresa di José Mourinho, cioè, che ormai è una cosa sola con la vittoria della Conference League. Una piccola storia felice che ha creato un nuovo senso di sorpresa nell’aria, di possibilità future, per una squadra che conosce meglio l’odore delle delusioni - l’aroma acre degli incendi, appunto.
Con Mourinho la speranza è legata a doppio filo a quel senso a volte brutale della realtà che lo ha portato, ad esempio, a far fuori una parte di squadra in mezzo alla stagione come fosse un braccio incastrato tra le rocce da doversi tagliar via con un coltellino svizzero. Una volta fatto questo ha potuto lavorare - e vincere - con quel che restava, arrampicandosi con le unghie sanguinanti su una parete quasi liscia in cima alla quale c’era la Conference League.
Mourinho ha denudato i tifosi romanisti di ogni velleità, plasmandoli a propria immagine e somiglianza (e forse è vero anche l’inverso, a giudicare dal suo nuovo tatuaggio fatto male e dall’aria distrattamente sciatta simile a quella di un qualsiasi sessantenne di Roma Est). E i tifosi hanno delegato a Mourinho ogni loro ambizione, come fosse uno specchio magico che gli dice la verità - specchio specchio delle mie brame - e si fidano ciecamente di lui. Senza le loro vecchie illusioni, i romanisti sono tornati a sperare, rinunciando al proprio spirito critico corrosivo e ai loro sogni di grandezza quasi sempre malriposti.
E poi è arrivato Paulo Dybala.
Paulo Dybala è un calciatore che, per dirlo nel modo più diretto possibile, non ha senso che giochi nella Roma. Tanto per cominciare perché, se le cifre che si leggono in giro sono affidabili (sei milioni compresi i bonus), Dybala guadagnerà meno di quanto ha guadagnato nelle scorse stagioni alla Juve; meno di quello che la Juve gli aveva offerto lo scorso inverno; meno di quello che voleva lui e meno di quello che si diceva avrebbe preso all’Inter. Secondo poi perché la Roma non giocherà la prossima Champions League.
E se è vero che nel contratto ci sarà una clausola rescissoria piuttosto bassa, che potrà liberare Dybala se lo vorrà e se avrà altre offerte, allora è chiaro che la Roma ha dovuto fare un passo ulteriore incontro per convincerlo, mettendo la cosa sul piano sottile del: intanto vieni, poi vediamo.
In fin dei conti, Dybala è arrivato a Roma nell’unico modo in cui sarebbe potuto succedere: facendosi chiudere la porta in faccia dalla Juventus, per un errore di calcolo del procuratore amico di famiglia, rimanendo poi deluso dall’Inter che ha dato priorità al ritorno di Lukaku e che forse non lo avrebbe mai preso. In un contesto in cui all’estero sembra esserci diffidenza nei confronti degli attaccanti che vengono dal campionato italiano (in fondo anche Vlahovic è andato alla Juventus perché non sono arrivate le offerte che ci si aspettava dalla Premier League).
Dybala alla Roma è così strano che magari ha ragione chi in queste ore taglia corto e lo dipinge come un giocatore non integro fisicamente, inaffidabile, che dopotutto nessuno voleva davvero. Difficile da mettere in campo, oltretutto, che non si sa bene quale ruolo abbia e che, nonostante un talento che sarebbe ridicolo mettere in dubbio non è mai diventato un trascinatore, un giocatore veramente decisivo.
Quando un rapporto va male è difficile dire chi ha torto e chi ragione, se è stata la Juventus a non aver costruito il contesto ideale per Dybala (dandolo in pasto a Ronaldo proprio nel suo periodo migliore) o se è stato lui a fare troppo il timido. Se è il calcio contemporaneo a non sapere come valorizzare i trequartisti leggeri, come interpretare la loro fiamma che ondeggia intorno al pallone, il loro bisogno di rallentare, tenere palla, toccarla più volta, liberarsene, riprenderla, prima di decidere cosa farci, o se magari sono loro a non volersi adattare a fare la seconda punta, a correre in verticale come su una rotaia immaginaria fino a svenire.
E anche se fosse vero, che è finito alla Roma per mancanza di alternative, non cambierebbe di una virgola le qualità che Dybala ha e che ha messo in mostra ogni volta che è sceso in campo. Mi pare che questa sia una distorsione tipica dei nostri tempi, per cui si confonde il valore di mercato di una persona con il suo valore reale. Qualcuno, piuttosto, gli chiedeva qualcosa in più, cioè di innalzarsi al livello di Messi, Ronaldo, quelli là, ma non è che sotto di loro c’è il vuoto assoluto, che tutti i giocatori che non sono Haaland o Mbappé non possono giocare a pallone.
Juve-Salernitana, lo scorso marzo. A me sembra che Dybala avesse voglia di giocare a calcio.
Va detto, anzi, che lo scorso anno quando è stato in campo Dybala ha spesso fatto la differenza e non è sembrato meno in forma degli altri. In una stagione spezzettata da tanti piccoli problemi ha giocato comunque più di duemila minuti e, in una squadra che aveva un bisogno tremendo di qualità per unire le due parti del campo, sembrava un giocatore semplicemente indispensabile.
Alla Roma il contesto che Dybala trova sarà simile. Lo scorso anno la Roma ha avuto sostanzialmente due modi per arrivare nella trequarti avversaria: affidarsi alla capacità di Pellegrini e Mkhytarian di apparire in tasche di campo alle spalle della pressione e risalire il campo, oppure affidarsi alla capacità di Zaniolo di prendere palla e trascinarla fin dove poteva come un rugbista.
Con la sua tendenza ad allargarsi sul centrodestra, quando viene incontro, sulla carta Dybala si accoppierebbe meglio con Pellegrini (con cui si potrebbero alternare nei movimenti incontro, o anche associarsi su due linee ad altezze diverse per rendere più fluida la manovra) che con Zaniolo. Con cui, oltretutto, dovrebbe giocarsi un posto al fianco di Abraham nel 3-5-2 con cui la Roma ha chiuso la scorsa stagione.
Bisognerebbe immaginare un 4-2-3-1 sbilanciato come quello che Mourinho ha messo in campo all’inizio della sua esperienza, un 4-3-3 con Pellegrini mezzala, o addirittura un 4-3-1-2 con Pellegrini mezzala e Dybala trequartista, per immaginare tutti e 4 i giocatori offensivi in campo insieme. Oppure anche un modulo meno vertiginoso come il 3-4-2-1 ma comunque molto offensivo, perché costringerebbe l'allenatore portoghese ad arretrare Pellegrini in mediana pur di fare spazio a Zaniolo e Dybala sulla trequarti. Per una volta, quindi, i gossip di mercato - parlo di quello che vuole Zaniolo alla Juve, ovviamente - avrebbero un qualche fondamento tattico, anche se non è difficile immaginare l’alternanza di quattro giocatori “forti” per tre ruoli nell’arco di una stagione lunga come quella che aspetta la Roma.
Dybala è uno di quei giocatori in grado di migliorare anche i propri compagni (compreso Zaniolo che spesso non ha nessuno nei paraggi con cui dialogare), di alzare il livello tecnico di chi lo circonda, se riuscirà ad avere quell’influenza che nella Juve da almeno quattro anni non aveva più.
La precisione e la sensualità del tiro di Dybala sono intatte, questo è sicuro, ce ne siamo accorti durante la “Finalissima” con l’Argentina un mesetto fa.
Tutto questo, ai tifosi della Roma interessa fino a un certo punto. Sono piuttosto presi dall’idea di poter vedere da vicino un giocatore che fino a l’altroieri pensavano di poter guardare solo col binocolo. Tutto qui, ma non è poco. Per via dell’effetto Mourinho descritto sopra, sono davvero in pochissimi a sbilanciarsi come i romanisti facevano gli anni passati, immaginando scudetti e circhi massimi. Gli altri, la maggior parte, sta provando a razionalizzare qualcosa che di razionale ha molto poco.
Per capire fino in fondo il significato che ha un simile colpo di scena bisogna tornare indietro al luglio del 2014, quando la Roma acquista Manuel Iturbe per più di 30 milioni, dopo una prima ottima stagione in Serie A con il neopromosso Hellas Verona. Un acquisto che, in seguito, Walter Sabatini ha definito un «errore psichico» (ovvero: «me lo sentivo che stavo facendo una cazzata»), compiuto per questioni di orgoglio, per strapparlo alla Juventus di Marotta (facendo innervosire Conte e dandogli un’altra ragione per lasciare la panchina della Juventus, proprio il giorno prima che la Roma annunciasse Iturbe).
Il gennaio dell’anno successivo Iturbe si è rotto il crociato ma la Roma ha preferito non operarlo (anche questo lo sappiamo grazie a Walter Sabatini) e mentre Iturbe deludeva, in Serie A, nel Palermo neopromosso, brillava Paulo Dybala, che tra l’altro aveva lo stesso agente di Iturbe. Possibile che la Roma vincesse anche quel braccio di ferro con la Juve? Possibile che la Roma fosse diventata improvvisamente la squadra in cui finivano tutti i nuovi talenti del campionato? No. E infatti Dybala è andato alla Juve dove, a differenza di Iturbe, è subito esploso, vincendo cinque scudetti consecutivi e giocando, nei suoi momenti migliori, un calcio al livello dell’élite.
Ma Iturbe non basta. Per capire l’eccezionalità dell’arrivo di Dybala, si devono scorrere mentalmente gli acquisti degli ultimi dodici anni. La Roma è una squadra che i giocatori migliori della propria storia recente se li è cresciuti in casa, e quando ha preso un giocatore davvero buono lo ha fatto scommettendo sull’età (Marquinhos, Lamela, Paredes) oppure sul passaggio da una squadra meno competitiva o da un campionato considerato inferiore (Alisson, Nainggolan dal Cagliari, Benatia dall’Udinese, Pjanic dalla Ligue 1, Strootman dall’Olanda, Manolas dalla Grecia, Rudiger dallo Stoccarda).
In alcuni casi ha scommesso su giocatori che erano stati espulsi dal calcio di altissimo livello (Salah e Gervinho) o che iniziavano la parabola discendente della propria carriera (Dzeko, Keita).
Mai aveva preso uno dei giocatori migliori della Juventus quando aveva ancora 28 anni di età (e neanche gli juventini più amareggiati, o cinici, o insensibili di fronte al bello, direbbero che non sarebbe stato tra i loro giocatori migliori anche con l’arrivo di Pogba e Di Maria).
Dybala alla Roma è un errore nel sistema. Un falso storico, un fotomontaggio che ha preso vita, giustificabile solo in parte con le telefonate e i piani di Mourinho che è come un Napoleone appena evaso dall’Elba e pronto a riprendersi il calcio europeo. Allora è lecito chiedersi se non ci sia un errore in questa lettura (un altro errore psichico).
Nessuno può sapere quante partite effettivamente giocherà Dybala nella Roma la prossima stagione, se basta il problema al ginocchio di un anno e mezzo fa e i vari piccoli problemi muscolari di quest’anno siano il segno che ha iniziato in anticipo la parte discendente della propria parabola. E non esiste una palla di vetro in cui guardare e dire se tra un anno qualcuno eserciterà la clausola portandolo via da Roma.
Ma come ho già detto: i romanisti ormai non si illudono più su niente. Si godono un pranzo alla volta, anche se da lontano arriva il profumo di un incendio.