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È possibile battere Pogacar?
14 ott 2024
14 ott 2024
Lo abbiamo chiesto a chi ha partecipato al Giro di Lombardia, vinto dallo sloveno.
(copertina)
IMAGO / ZUMA Press
(copertina) IMAGO / ZUMA Press
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È possibile battere Tadej Pogačar? Arrivati quasi alla fine di questa sua incredibile stagione ciclistica - in cui, oltre a Tour de France e Giro d'Italia, si è permesso di vincere anche i Mondiali, la Strade Bianche e la Liegi-Bastogne-Liegi, tra le altre cose - la risposta può apparire semplice. Non si può. Fine. Triplice fischio. Stop alla musica. Tutti a casa. Andate in pace.

“Ci vuole coraggio, a meno che non sia solo follia, per mettersi in linea sabato mattina alla partenza da Bergamo, ai piedi della città alta, rannicchiata dietro le sue mura veneziane, per un'ultima sessione di tortura, quasi 260 chilometri in apnea, le mani tese sul manubrio per guardare le trappole, i trabocchetti, queste foglie morte dorate che sono altrettante promesse di scivolamenti, questi crepacci scavati da inverni duri, tutto questo in attesa di sapere quando Tadej Pogačar deciderà di farci la pelle”.

Così apriva Alexandre Roos su L’Équipe sabato mattina, prima della partenza del Giro di Lombardia, il suo ultimo grande appuntamento stagionale, da Bergamo. Il sabato sera, dopo l’arrivo di Como, possiamo aggiungere che l’attacco decisivo è partito a 48.4 chilometri dal traguardo e a 6.5 chilometri dalla fine della salita alla Colma di Sormano.

Scrivere gli articoli prima lasciando solo uno spazio vuoto ai chilometri dell’attacco decisivo sembra essere diventato lo sport prediletto da parte dei giornalisti in sala stampa. Una visione forse un po’ riduttiva ma non troppo distante dalla realtà se pensiamo che durante questa stagione ciclistica, le volte in cui un suo attacco non lo ha portato alla vittoria si possono contare sulle dita di una mano: Milano-Sanremo; la prima tappa del Giro d’Italia a Torino; la tappa 11 del Tour de France a Le Lioran; e il GP del Quebec. A queste quattro possiamo aggiungere altre due eccezioni: la tappa del Giro con arrivo al Passo Brocon (anche se in quella occasione la fuga aveva preso un vantaggio troppo grande); e la prima tappa della Volta a Catalunya, dove però non possiamo proprio dire che abbia attaccato.

Tadej Pogačar ha centrato tutti gli obiettivi stagionali meno uno (la Milano-Sanremo) e ha quasi sempre vinto quando ha deciso di vincere. Le rare occasioni che ho citato, però, ci dicono una cosa che di questi tempi può apparire sconvolgente: in determinate circostanze Tadej Pogačar non è imbattibile, letteralmente parlando.

Domandandomi come sia possibile batterlo sabato sono andato prima a Bergamo e poi a Como (quindi prima e dopo Il Lombardia) per cercare di capirlo insieme ai suoi avversari. Come si fa a battere Tadej Pogačar?

La prima persona con cui condivido questa domanda è Max Sciandri, direttore sportivo del Team Movistar. Dopo avermi riferito che Enric Más, l’uomo di punta della sua squadra, è veramente convintissimo di poter fare bene mi dice che con un Pogačar così forte devi comunque provarci: «Non è che puoi partire già sconfitto, la corsa ha sempre le sue insidie. Noi non possiamo partire per sconfitti, partiamo per fare bene, poi la strada e la giornata ci diranno».

In un ipotetico dialogo a distanza non sarebbe stato d’accordo con lui Ion Izagirre. L’esperto corridore basco, quarto a fine giornata, subito dopo la presentazione della sua Cofidis sul palco di Bergamo, mi dice che: «La sensazione in gruppo è che quando corre lui, tutti giochiamo per il secondo posto. È chiaro che specialmente quest’anno è il dominatore in tutti i tipi di gara. Da febbraio/marzo quando ha iniziato fino ad oggi. Continua ad avere fame di vittorie ed è inarrestabile. In più è in un momento di forma incredibile e tutti sappiamo quello che è in grado di fare. Come ti ho detto prima, partiamo con la mentalità di provare ad agguantare il secondo posto perché il primo ha già un nome».

Non è un concetto raro da ascoltare alla partenza di Bergamo. Alla mia sinistra la stampa francese intervista il suo compagno di squadra Guillaume Martin che utilizza parole simili. Alla mia destra Santiago Umba confida alla stampa colombiana gli stessi pensieri.

Ai microfoni di Eurosport, Matteo Jorgenson spoilera l’epilogo di giornata con Sormano protagonista dell’attacco di Pogačar e dice che: «È altamente improbabile che possa vincere oggi». Interrogato sul fatto che sia un po’ deprimente allinearsi al via sapendo già di non poter vincere risponde: «Ovviamente tutto può capitare in gara, ci sono 250 chilometri davanti e la affrontiamo dando il massimo ma lui ora è il più forte del mondo, e di molto». «Sto vivendo la sua era, devo mettere il cuore in pace», dice sorridendo.

Chiedo a David Gaudu riguardo alle sue sensazioni rispetto al dominatore e mi risponde sbuffando: «Tadej è il migliore del mondo. L’ha dimostrato: primo nella classifica UCI, campione del mondo, ha vinto i grandi Giri, ha vinto tutte le gare che ha fatto quindi voilà non possiamo competere. Certo poi come una volta c’era Merckx, noi abbiamo Pogačar. Qualcuno di noi è riuscito a batterlo, specialmente Jonas Vingegaard ma voilà loro rimangono dei grandi campioni e noi rimaniamo con la voglia di migliorarci».

Differenti corridori, in differenti fasi della loro carriera, di differenti nazionalità, con differenti modi di vedere il ciclismo e le corse. Il fatto che fossero sostanzialmente concordi è stato piuttosto sorprendente.

Brandon Rivera pensa che l’unica maniera per avere una chance sia anticipare e confessa che nella sua squadra, la INEOS, proveranno a giocarsela così. Neilson Powless pensa che la strategia sia provare a rimanere con Tadej quando sferrerà l’attacco decisivo e Remco Evenepoel segue la loro scia dichiarando a Eurosport: «Se non parti non puoi vincere, ma se parti devi provarci. Ovviamente è un compito difficile ma siamo qui per questo: perlomeno provarci». All'arrivo, però, Evenepoel si accoda a Izagirriano quando spiega che nelle fasi finali di gara da San Fermo della Battaglia in poi era più preoccupato di mantenere stabile il vantaggio nei confronti degli inseguitori invece di guardare davanti. Il campione belga aggiunge che si aspettava l’attacco di Pogačar in quel tratto di Sormano perché era il punto più difficile ma che in quel momento ha cercato solo di seguire il suo ritmo. D'altra parte, seguire il proprio ritmo e non provare a seguire Pogačar è una delle lezioni imparate durante l’anno da tutto il gruppo. Mattias Skjelmose dopo la Liegi Bastogne Liegi aveva dichiarato alla tv danese: «Mi sono rovinato l’intera gara per provare a seguirlo. Se vai troppo vicino al sole ti bruci». Poche settimane dopo, al Giro d’Italia Ben O’Connor ripeteva lo stesso concetto con parole poco diverse, aggiungendo che a seguire lo sloveno era stato forse il più stupido di tutto il gruppo.

Ma se seguirlo non è sostenibile e lasciarlo andare è assicurazione di sconfitta, cosa fare? Nessuno sembra aver capito ancora come rispondere a questa domanda. In questa stagione Tadej Pogačar ha passato 390.6 chilometri da solo davanti a tutti, per un totale di 10 ore, 2 minuti e 47 secondo. E questo dato, raccolto da Bence Czigelmajer, tiene in considerazione esclusivamente gli attacchi che lo hanno portato a una vittoria. È questa l’estensione spaziale e temporale del suo dominio, se stavate cercando una misura. Eppure la convinzione che ci sia un modo per batterlo continua a serpeggiare.

A Como, poco prima di assistere alla conferenza stampa dello sloveno, fuori dalla sala stampa incrocio Pippo Pozzato, ex ciclista, oggi organizzatore di corse. Anche a lui chiedo se Pogačar sia davvero imbattibile. La sua risposta è piuttosto pragmatica: «Imbattibile no. È un fuoriclasse, forse il più forte che c’è in questo momento, ha un super momento di forma e quindi è normale che sia sopra gli altri, poi non sempre è riuscito a vincere durante l’anno. Quest’anno è stato un anno magico per lui e sarà difficile ripetersi. Però penso che faccia solo bene al ciclismo avere un personaggio come lui».

Le sue parole mi tornano in mente durante la conferenza stampa, quando viene chiesto allo sloveno quale sia stato il momento più difficile della sua stagione, ammesso che ne abbia avuto uno. «Quest’anno non ho avuto nessun momento difficile in particolare», risponde Pogačar «Grazie soprattutto alla squadra perché abbiamo pianificato un programma perfetto con le gare. Non sono mai stato troppo stanco anche dopo il Tour, quando ho saltato le Olimpiadi, è stato un buon momento perché ho potuto recuperare per il finale di stagione».

Un anno magico, quindi. Dove ogni risultato positivo da una parte alimentava la fame di averne di più e allo stesso tempo demoliva le motivazioni dei suoi avversari, fino quasi a costruirne delle certezze, in negativo. È forse questo, dunque, il segreto della sua superiorità quest'anno? In conferenza stampa gli viene posta questa domanda ma Pogačar non sa rispondere perché, dice, non può essere nella testa dei suoi avversari. Sicuramente, aggiunge, dopo una stagione così lunga, la motivazione può essere un fattore determinante.

È innegabile che il vantaggio psicologico accumulato durante questa stagione da Tadej Pogačar sia forse uno dei maggiori punti di forza dello sloveno in vista anche delle prossime stagioni. Ma siamo sicuri che questo debba essere necessariamente l'incipit di un dominio? E se qualcuno lo prendesse come motivazione per arrivare a un livello che adesso non riusciamo nemmeno a immaginare? Mi tornano in mente le parole di Gaudu alla partenza: «(Pogačar) è un motivo per voler continuare a migliorarti».

Se questa motivazione è il primo passo, l'inverno della stagione ciclistica servirà ai suoi avversari per rimuginare su cosa fare con il resto del cammino. Come si scala una montagna così alta? Forse si può provare a cercare un filo rosso nelle poche gare dove Pogačar è stato effettivamente battuto.

Nel finale della Milano-Sanremo, Mathieu van der Poel di fatto si sacrifica per poter permettere al suo compagno di squadra Jasper Philipsen di giocarsi la vittoria. E in questo modo rimettendola sul piatto anche per i suoi avversari: Michael Matthews ci va molto vicino, ad esempio. A Torino, Jonathan Narvaez non concede neanche un cambio a Pogačar, scommette sul fatto che lo sloveno tirerà comunque perché per lui sarebbe importante prendere la prima Maglia Rosa del Giro d’Italia. Scommette sul fatto che non verranno ripresi dal gruppo e lo batte allo sprint. Jonas Vingegaard nella tappa del Massiccio Centrale al Tour de France, nonostante sia in difficoltà e nonostante sia evidentemente in uno stato di forma inferiore allo sloveno, lancia il cuore oltre l’ostacolo e quasi si sfinisce quel giorno per poterlo battere allo sprint. Una tattica autodistruttiva (da quel giorno in avanti arriveranno solo batoste) ma forse dimostrare a se stessi di potergli arrivare davanti può essere più importante di quanto non pensiamo. Quando in Canada i due Lotto chiudono su Pogačar, per esempio, di fatto perdono ogni possibilità di vincere ma lasciano agli altri la possibilità di poterlo fare e Michael Matthews, curiosamente grande amico e vicino di casa di Tadej Pogačar, la coglie al volo.

Sono le tattiche di gara, quindi? Il gioco di squadra? O il semplice rifiuto dell'idea che sia imbattibile? Rispondere a queste domande sarà il rompicapo più difficile per i suoi avversari questo inverno. E chissà per quanti altri ancora.

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