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E se avessimo visto il miglior Cassano possibile?
16 ott 2018
Contro il falso mito del genio e della sregolatezza.
(articolo)
6 min
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Non riesco a non pensare a quell’albero coperto dall’edera rampicante. Una quercia, la sola in un pezzetto di terreno piuttosto spoglio, che vedevo ogni volta sulla strada della stessa passeggiata che facciamo quando andiamo a trovare mia madre in campagna. Qualcuno direbbe che quell’albero era invaso e soffocato dall’edera, ma era vivo e io non avevo mai visto un albero coperto di edera che non fosse secco o malato, prima di quello. E se l’avevo visto non ci avevo mai fatto caso. Così ho chiesto a mia madre: “Ma l’edera non è un parassita?”.

Non riesco a non pensare a quell’albero invaso dall’edera rampicante, oggi che Antonio Cassano si è definitivamente ritirato dal mondo del calcio. Definitivamente, nonostante le battute su Facebook e Twitter, perché non c’è un punto più basso dove può atterrare Antonio, dove potrebbe anche solo pensare di provarci ancora. Se non gli era bastata la figuraccia di Verona, adesso dopo aver deluso anche l’Entella in Serie C non gli resta che il calcio amatoriale. Fin dove si spingerà la sua pulsione autodistruttiva? La sua voglia, cosciente o no, di far dimenticare a tutti che spettacolo unico fosse quando era in grado di correre in campo (e non c’è bisogno di tornare ai tempi alla Roma, o il gol all’esordio con il Bari in quella partita con l’Inter: qualcosa si è visto anche a Parma, e aveva già più di 31 anni)?

Cassano non ha fatto niente di veramente imperdonabile. Emanuele Atturo scriveva dopo il primo ritiro, quello dello scorso anno: «Cassano non ha brillato come le bombe ma si è lasciato spegnere poco a poco». E nel frattempo, con tanti piccoli comportamenti autodistruttivi, è diventato la caricatura di se stesso, l’estremizzazione ipertrofica dei suoi caratteri più vistosi. Ha aderito a una retorica consolatoria alla portata di tutti: se avesse avuto un’altra testa… Lo dice anche lui nella lettera di addio al calcio: «Sì, lo so, con un altro carattere avrei potuto vincere di più e giocare meglio». Lo dice col tono di chi ha finito col credere a una cosa su se stesso che gli è stata ripetuta chissà quante volte.

E adesso che si è definitivamente ritirato non posso fare a meno di pensare a quella quercia coperta dall’edera e chiedermi: chi era Antonio Cassano, l’albero o il rampicante? Il talento geniale o la sregolatezza che quel talento lo ha coperto, che gli ha tolto la luce e lo ha soffocato?

C’è un altro luogo comune su Cassano, secondo cui in realtà si è trattato di un giocatore sopravvalutato, perché se avesse avuto davvero il talento che alcuni gli attribuiscono lo avrebbe dimostrato in maniera più continua, per lo meno nei momenti migliori. Secondo alcuni, Cassano avrebbe addirittura costruito una carriera intera su un solo gol, il primo. Quest’idea contraddice in parte quella per cui se fosse stato più serio e professionale sarebbe stato tra i migliori al mondo, eppure nessuna delle due sembra interamente falsa.

Cassano ha ottenuto troppo poco o, al contrario, può considerarsi fortunato ad aver avuto una carriera decente? Lui stesso sembra pensare entrambe le cose allo stesso tempo. Da una parte dice che, tranne pochissimi, in confronto a lui oggi in Serie A ci sono solo pippe, dall’altra dice di avere “zero rimpianti”. Due anni fa scrivevo che la colpa più grande di Cassano è stata accontentarsi, come se in fondo non meritasse il suo stesso talento, come se quel talento e quella sensibilità non facessero parte di lui. Come se fosse quella l’edera.

Cassano non è mai stato un genio autosufficiente, neanche nei suoi anni migliori. È stato, però, il giocatore italiano con il miglior controllo di palla degli ultimi venti anni, e forse uno dei migliori in senso assoluto. Non aveva gli occhi dietro la schiena come Totti, o la capacità di attraversare il campo (e gli avversari) con la palla incollata al piede del Ronaldo brasiliano. Non calciava come Beckham o Del Piero, né poteva accentrare il gioco su di sé come Pirlo. Ma il suo rapporto con il pallone, la confidenza con cui poteva trattare lo stesso oggetto sferico che si ribellava al controllo altrui, era al livello di Cruyff, Maradona, Ronaldinho. Di Zidane, Riquelme, Messi. Di Roberto Baggio.

Il talento di Cassano era un concentrato di sensibilità tecnica ed equilibrio. Avrebbe potuto stoppare un pallone di collo in equilibrio su una fune sospesa tra due grattacieli. Avrebbe protetto palla anche in una gabbia con degli orsi, difendendola con il bacino e spostandola con la suola. Quando invece la portava con piccoli tocchi di collo, avanzando in punta di piedi, lo faceva con una tale sensibilità che se al posto della palla gli avessero dato una sfera di cristallo, o una bolla di sapone, non si sarebbero rotte.

Mia madre, quel giorno, non mi ha saputo dire perché quella quercia coperta d’edera fosse ancora viva. Poi a casa ho scoperto che anche se persino Plinio il Vecchio deplorava la nocività dell’edera per gli alberi nella sua Storia Naturale, in realtà oggi sappiamo che non solo è utile in molti modi all’equilibrio del bosco ma che offre anche dei benefici alle querce che usa come sostegno per arrivare alla luce del sole. Ad esempio, le protegge dalle temperature troppo fredde.

In un articolo in francese ho letto un aneddoto di cui non ho trovato altri riscontri, ma dal forte significato allegorico. Nel 1870, un inglese con un terreno ricco di querce ha voluto fare un esperimento, tagliando l’edera da metà del bosco e lasciandola sugli alberi restanti. Settant’anni dopo gli alberi tagliati con o senza edera non avevano sostanziali differenze in quanto a larghezza del diametro di base e quantità di legna prodotta.

E se per Cassano fosse come per l’albero e l’edera, se l’idea che il suo carattere abbia ostacolato il suo talento fosse un falso mito? E se il carattere di Cassano non lo avesse soffocato, appesantito, limitato? E se quel fatalismo sbruffone e arrogante e quella falsa leggerezza in realtà non gli fosse servito per proteggere un talento che non avrebbe comunque potuto spingersi fino alle vette atletiche di Ronaldo o alla continuità di Messi?

Il dubbio, che non posso fare a meno di avere adesso che la lotta tra Cassano e il professionismo è finita, è che magari non sarebbe cambiato niente se Cassano avesse fatto arrabbiare meno allenatori, se si fosse allenato di più, se avesse avuto “un’altra testa”.

La qualità del suo talento non era inferiore a quella di nessun calciatore che lo ha preceduto, ma non era fatto per durare il tempo necessario a consacrarlo in una squadra che gli fornisse la cornice più adatta. Magari quello che abbiamo visto è stato il migliore dei Cassano possibile.

Allora forse per capire il talento di Cassano bisogna immaginarlo veramente per le strade di Bari Vecchia, dove da ragazzino si guadagnava poche migliaia di lire giocando con “i grandi”. E pensare a cosa sarebbe stato se non ci fosse mai stato quel Bari-Inter, se Cassano non avesse fatto il calciatore professionista. Magari sarebbe finito in galera, come pensa lui, o magari invece sarebbe diventato uno di quegli eroi locali, dotati di un talento divino, su cui si ricamano racconti, di cui si ingigantisce ogni piccolo gesto. Il suo carattere non sarebbe stato un problema, anzi, e la gente si sarebbe vantata di averlo visto giocare, magari anche una sola volta. Chissà, magari Cassano sarebbe diventato una leggenda.

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