Se è vero che le vie per la vittoria sono infinite, di certo Napoli e Atalanta ne hanno prese due che passano per punti opposti. Almeno a leggere i numeri, le due squadre che si stanno contendendo la vetta della classifica (aspettando ovviamente il recupero di Fiorentina-Inter) sembrano incarnare gli eterni opposti del dibattito calcistico, non solo italiano: i campionati si vincono con la difesa, da una parte; per vincere bisogna fare un gol più dell’avversario, dall’altra.
A guardare le classifiche degli Expected Goals fatti e subiti, infatti, le squadre di Conte e Gasperini vivono una situazione quasi esattamente speculare: la prima sembra aver costruito la sua classifica sull’eccellenza difensiva (0,65 xG subiti per 90 minuti, secondo i dati StatsBomb peggio solo della Juventus; ma anche solo 1,15 prodotti, un dato che la classifica solo sesta tra le squadre di Serie A); la seconda su quella offensiva (con 1,65 xG prodotti per 90 minuti nessuno fa meglio in campionato; ma con 1,01 subiti è solo nona da un punto di vista difensivo, appena sopra la media della Serie A).
Per Natale perché non regalare un abbonamento a Ultimo Uomo? Scartato troverete articoli, podcast e newsletter esclusive che faranno felici i vostri amici impallinati di sport.
Inevitabilmente i numeri restituiscono un’immagine approssimativa della realtà e, per quanto riguarda l’Atalanta, ieri all’Olimpico abbiamo visto quanto le cose siano più complesse di così. La squadra di Gasperini ha infatti vinto di nuovo largamente il conto degli xG - 1,22 contro i 0,42 della Roma, sempre secondo StatsBomb - ma la partita di certo non può essere descritta come un attacco che batte una difesa. L’Atalanta ha avuto solo il 4% di possesso medio in più rispetto all’avversario e ha finito per concedere diverse occasioni alla Roma che, con un centimetro in più o in meno, avrebbero potuto farci vedere una partita diversa. Penso per esempio ai pochi centimetri tra il pallone a il palo sul potente tiro da fuori di Koné al 13’, al piede d’appoggio di Dovbyk che al 30’ slitta sull’erba dell’area di rigore impedendogli di tirare, all’assist leggermente troppo lungo di Dybala che al 48’ ha lasciato indietro l’attaccante ucraino, anticipato dall’uscita di Carnesecchi.
L’Atalanta ha vinto facendo rimbalzare due tiri sul corpo di un avversario e senza il consueto contributo dei suoi attaccanti, da Retegui a Lookman fino ad arrivare a De Ketelaere, tutti usciti dal campo con prestazioni più grigie di quanto ci si attendesse. La partita di ieri, più che a un trionfo offensivo, per la squadra di Gasperini è assomigliata a un lungo e faticoso braccio di ferro vinto dopo essersi consumati il gomito sul tavolo. Una partita la cui inerzia è rimasta a lungo in equilibrio su palle vaganti combattute in pochi metri di campo, su duelli corpo a corpo risolti a colpi di bacino. Non è un caso, da questo punto di vista, che i giocatori che sono risaltati di più sono quelli che queste palle, questi duelli li hanno lentamente ma inesorabilmente portati dalla propria parte, e cioè Ederson e Isak Hien, volti di questa ennesima versione dell’Atalanta in cui esuberanza atletica e levigatezza tecnica sono più che mai vicine.
Per la squadra di Gasperini siamo infatti abituati a distinguere nettamente tra giocatori offensivi geniali, i “Papu” Gomez e gli Ilicic, e giocatori difensivi gregari, i Djimsiti e i Palomino, ma negli ultimi anni questa differenza è andata attenuandosi e se oggi da una parte gli attaccanti sembrano meno eccentrici ma più efficienti, chi si occupa di difendere sembra invece avere un talento più sfaccettato, a tutto tondo. Insomma né Ederson né Hien si possono di certo ridurre a un’applicazione impeccabile delle famose marcature a uomo gasperiniane, e anzi, quella dell’applicazione tattica non sembra essere la loro qualità migliore. È un cambiamento che riguarda l’intera “esperienza Atalanta”, una squadra che magari ha picchi meno alti rispetto al passato, soprattutto riguardo alla sensazione di sopraffazione dell’avversario, ma che allo stesso tempo sta riuscendo a restringere sempre di più le parentesi negative, quelle in cui non riesce a vincere le partite in cui tatticamente non tutto gira alla perfezione (in questa stagione, per adesso, la piccola finestra in cui ha vinto appena due delle prime sei giornate).
Da questo punto di vista, la partita di ieri contro la Roma poteva essere più infida di quanto la classifica attuale non dica, ed è stata più difficile di quanto la sensazione di cupa superiorità che abbiamo avuto alla fine possa suggerire. La squadra di Ranieri, con la buona prestazione di Londra in Europa League, era riuscita a riesumare l’energia di uno stadio che può fare la differenza, e tatticamente è riuscita a mettere in difficoltà il suo avversario. L’aggressività molto spiccata della squadra giallorossa in fase di non possesso, con riferimenti sull’uomo, ha sporcato il possesso dell’Atalanta, che non riusciva ad appoggiarsi come fa abitualmente sulle qualità spalle alla porta di Retegui. L’attaccante argentino ha perso nettamente la sfida dei duelli corpo a corpo con Mats Hummels che, prima dell’infortunio del secondo tempo, ha sfoderato un’altra prestazione da tempi d’oro: 2 duelli aerei vinti su 3, 5 contrasti vinti su 5, 5 passaggi intercettati, 6 spazzate.
Anche con il pallone la Roma è riuscita a mettere in difficoltà il sistema di marcature a uomo dell’Atalanta, che non ha saputo leggere bene il doppio trequartista che di fatto la squadra di Ranieri aveva alzando Manu Koné all’altezza di Dybala. Il centrocampista francese si è speso moltissimo anche in fase di possesso, e il suo contributo è andato molto oltre il semplice recupero del pallone (che pure è stato eccezionale), come si vede proprio nell’occasione avuta da Dovbyk al 47’.
Per due volte Koné porta fuori posizione Kolasinac, mandando in tilt le marcature a uomo dei tre centrali e lasciando libero Dovbyk di fuggire alle loro spalle.
Che l’Atalanta sia riuscita a navigare in una partita sporca, anzi che abbia accettato una partita di questo tipo senza apprensione, facendo valere la propria migliore condizione fisica e una rosa lunga e ricca di alternative di alto livello è forse la notizia peggiore per le sue avversarie, per quelli che non credono fino in fondo all’idea che la squadra di Gasperini possa competere per lo Scudetto. Un'idea, comunque, che l'Atalanta ha ormai reso tangibile.
Proprio la partita di Isak Hien, che sembra letteralmente la versione “on steroids” del classico centrale di Gasperini, racconta di questa nuova dimensione dell’Atalanta. Il difensore svedese a sua volta non ha avuto una partita facile e non si può dire che abbia completamente cancellato dal campo, come si dice, il suo diretto avversario, cioè Artem Dovbyk, che però di fronte alla sua continuità di rendimento dentro la partita ha finito per esaurirsi quasi per consunzione. Claudio Ranieri, forse proprio perché lo vedeva stanco, ha deciso di cambiare il suo attaccante pur non avendo una reale alternativa già al 62’ e quello è stato il momento, insieme ai vicini cambi dell’Atalanta (che ha fatto entrare Samardzic, Cuadrado, Brescianini e Zaniolo nell’arco di una decina di minuti), che ha definitivamente inclinato il piano della partita.
La capacità di giocare ad alti livelli senza cali significativi di giocatori come Hien o Ederson nasconde più del passato quanto sia radicale il gioco dell’Atalanta, che non sta certo provando a trovare un compromesso per essere più efficiente. La squadra di Gasperini è ancora tra le squadre più estreme nell’applicazione del pressing (attualmente è quinta per PPDA) e proprio nell’occasione dello scivolone di Dovbyk in area si è visto come il suo atteggiamento spregiudicato lasci un margine d'errore molto sottile ai suoi difensori. Spesso tra un’occasione e una seconda palla recuperata facilmente a centrocampo c’è davvero un semplice duello corpo a corpo.
Il livello raggiunto da questi giocatori ci fa sembrare più naturale quello che sta facendo l’Atalanta, di cui dobbiamo ancora capire esattamente la portata del successo in Europa League. Al di là del suo valore storico, forse abbiamo sottovalutato l’impatto che avrebbe avuto sui giocatori di Gasperini anche in questa stagione, dove ogni giornata che passa pare più normale che possano competere per la vittoria finale. Come ha detto il vice di Gasperini, Tullio Gritti, davanti ai microfoni dopo la partita: «In una parola: consapevolezza».