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È stato bello riscoprire Quintero
06 lug 2018
Il centrocampista della Colombia è stato uno dei giocatori più divertenti da vedere ai Mondiali.
(articolo)
23 min
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Dell’infanzia di Quintero si ricordano spesso gli stessi aneddoti: che è nato a Medellín nel 1993 dentro la Comuna 13; che l’esercito colombiano gli ha ammazzato il padre quando aveva due anni; che è sempre stato molto forte a giocare a calcio e che ha sempre dimostrato una comprensione del gioco innaturale per l’età che aveva, come rimarcano stupiti gli spot pubblicitari.

Ogni volta che la Colombia ottiene un grande successo internazionale, una foto molto tenera riprende a rimbalzare tra le bacheche di tutto il mondo. È stata scattata nel 2004, ma a giudicare dalle condizioni in cui ci perviene sembra sospesa in una dimensione senza tempo. È in bianco e nero, coperta da una patina di reticolato che lascia intuire sia stata scattata attraverso uno schermo. Sullo sfondo ci sono alberi, bandiere, cartelloni pubblicitari, un palazzo fatiscente. Secondo la stampa colombiana è la cornice del Pony Fútbol, il tradizionale torneo di calcio giovanile della città di Medellín.

James Rodríguez e Juan Fernando Quintero sorridono in primo piano, il primo ha 13 anni e gioca nell’Academia Tolimense, il secondo ne ha 11 e gioca nel Belén Rincón, che prende il nome dall’omonimo barrio. James ha il gel sui capelli e una camicia dal collo troppo grande, Quintero invece indossa una maglia da calcio, ha le guance paffute e un taglio da militare.

Della foto non sappiamo nient’altro, non sappiamo se James e Quintero fossero lì insieme perché avevano giocato particolarmente bene o soltanto perché si stavano simpatici. Magari chi l’ha scattata aveva intuito di avere davanti a sé due dei migliori piedi sinistri del pianeta e voleva avvicinarli, magari no.

https://twitter.com/RadioMagdalena/status/1011311254655389696

Una delle migliori edizioni di sempre del Pony Fútbol.

Deve averci pensato Pekerman quando è stato costretto a rinunciare alla tecnica e alla personalità di James dopo neanche trenta minuti dall’inizio della partita contro il Senegal, decisiva per il passaggio del turno. Quante possibilità c’erano che una volta perso il numero dieci, il giocatore più atteso, risparmiato nella partita persa e determinante nella partita vinta, in campo si trovasse ancora un mancino di quel livello lì?

Qualche minuto dopo l’uscita dal campo di James, imbronciato e inconsolabile dalle pacche dei compagni, il gioco si è fermato per un infortunio, e Pekerman ne ha approfittato per sistemare la squadra. Quintero ha attraversato tutto il campo di corsa con visibile sforzo fisico per arrivare sotto la panchina della Colombia, dove ha discusso per un paio di minuti con Pekerman e il suo assistente con la mano davanti alla bocca. Non si è capito che indicazioni abbia ricevuto ma si è intuito chiaramente il messaggio: le residue possibilità di qualificazione passavano dal suo piede sinistro.

Pekerman è un allenatore sensibile alla bellezza, che si è sempre mosso alla ricerca di soluzioni tattiche semplici per far convivere i suoi attaccanti migliori, che più di chiunque altro ha provato a ricucire il complicato rapporto tra Riquelme e la Nazionale argentina. Come tutti i trequartisti lenti ed elusivi, Quintero ricorda in qualche modo Riquelme (Daniele Manusia lo accennava in questa riflessione di qualche anno fa), e Pekerman se n’è innamorato subito.

Amore nazionale

Lo convocò ai Mondiali 2014 che aveva da poco compiuto 21 anni, e con la maglia della Colombia aveva giocato 88 minuti divisi in tre presenze. Poi gli fece giocare per intero l’unica amichevole di preparazione ai Mondiali e lo ritenne pronto per unirsi alla spedizione. Quintero ripagò la fiducia segnando alla Costa d’Avorio il gol che qualificò la Colombia agli ottavi di finale.

https://twitter.com/DIM_Oficial/status/811291769128321024

È il gol che chiude questo piccolo video celebrativo che gli ha dedicato l’Independiente di Medellín, il punto più alto della sua carriera fino ad allora.

Il gol nacque da un recupero alto del possesso: Serey Die si addormentò con la palla nella propria metà campo, Rodríguez gli saltò addosso e innescò l’azione, Quintero trovò addirittura il tempo e lo spazio di correre per trenta metri in verticale indisturbato. Poi però si mantenne lucido una volta lanciato verso la porta: controllò con il destro, accorciò rapidamente i passi, con il mancino disegnò un rasoterra preciso che sorprese il portiere.

Quattro anni dopo, Quintero si è trovato di nuovo ai margini del gruppo, colpito dagli infortuni e dalle difficoltà con i club. Poi Pekerman lo ha provato venti minuti in un’amichevole di marzo contro la Francia, e Quintero ha giocato una partita illuminante, aiutando la Colombia a completare la rimonta da 2-0 a 2-3. Così Pekerman lo ha convocato, e Quintero ha segnato ancora, diventando il primo colombiano della storia a segnare in due edizioni diverse del torneo.

Lo ha fatto nella partita di esordio contro il Giappone, mentre la Colombia si trovava sotto di un gol, in inferiorità numerica, con il miglior giocatore infortunato in panchina. C’era bisogno di una grande giocata per ristabilire gli equilibri e rinnovare l’entusiasmo - proprio in previsione di momenti del genere, Pekerman non si sarebbe mai separato dal sinistro di Quintero.

Questa volta il suo talento si è manifestato in forma di punizione al limite dell’area. In un saggio di comprensione strategica del gioco, ha fatto scorrere il pallone sotto la barriera del Giappone, visibilmente terrorizzata, con un colpo secco che non ha dato tempo di reazione al veterano Kawashima. Al momento del rilascio, Quintero appare sospeso in una posizione innaturale, col peso del corpo gettato all’indietro e la gamba sinistra completamente tesa nello sforzo. Uno dei pochi tiratori al mondo in grado di deformare in questo modo il suo corpo per migliorare l’impatto con il pallone.

«Sono pazzo», sembra urlare al pubblico dopo questo gol al Cortulua. Abbastanza da replicarlo identico nella prima partita dei Mondiali.

Poi, intorno al settantesimo, Quintero è stato sostituito per far spazio a un acciaccato James. Pochi minuti dopo, il Giappone ha segnato e ha vinto la partita. Qualcuno ha scritto su internet, ed è subito diventata una notizia, che le circostanze ricordavano il famigerato cambio difensivo tra Riquelme e Cambiasso nei quarti di finale dei Mondiali 2006, ricordato per aver definitivamente voltato l’inerzia a favore della Germania. Al di là delle gerarchie e delle valutazioni di Pekerman, il dato da registrare è che fin dalla prima partita Quintero si è preso il posto nella conversazione calcistica contemporanea che una volta era di Riquelme, quello del talento discontinuo - troppo lento, troppo poco intenso - ma insostituibile.

Qualche giorno dopo c’è stato un altro momento di grande tenerezza durante la partita contro la Polonia. Mentre i giocatori della Colombia stavano festeggiando il l’1-0, Pekerman ha rincorso Quintero per urlargli: «Crack! Sos un crack! Sos un crack!» («Fenomeno, sei un fenomeno»). Forse aveva rivisto Riquelme in quella finta di cross che aveva confuso tutta la difesa polacca, seguita da un passaggio taglia-linee no-look in direzione di James.

Più tardi l’avrebbe rivisto nel delizioso assist di piatto in controtempo per Falcao, uno dei più belli della competizione, eppure neanche il più importante dei Mondiali di Quintero.

https://twitter.com/juanferquinte10/status/1012450367819407361

La dedica alla Comuna 13, subito dopo il gol al Giappone.

Il più importante l’ha realizzato contro il Senegal, a venti minuti dalla fine della partita, con la Colombia virtualmente eliminata. Si è incaricato di battere un angolo da destra, che normalmente avrebbe battuto James, e gli ha dato una traiettoria che è scesa in picchiata sulla testa di Yerry Mina, lo stesso che contro la Polonia era stato mandato in porta da James. Più che un passaggio di consegne è stato un momento di riappropriazione, in cui il mondo ha ripreso ad assomigliare a quella diapositiva sgranata del 2004.

Riepilogando: Quintero ha messo la propria firma sul passaggio del turno della Colombia negli ultimi due Mondiali, e se in Brasile era stato gestito come un ventenne da lanciare a partita in corso per rompere gli schemi (sulla scia dei parallelismi con la carriera di Pekerman, come Messi nel 2006), in Russia è diventato il Riquelme del 2006, il leader silenzioso, il faro del centrocampo, il genio a cui affidare l’ultimo passaggio.

Siamo di fronte a un paradosso che gli storici faticheranno a spiegare, per cui chiunque guardi il calcio ogni quattro anni si sarà convinto di avere di fronte uno dei giocatori più importanti al mondo. Uno di quelli che a 11 anni venivano messi di fianco a James Rodríguez perché forse era già chiaro che quei due sarebbero diventati quello che sono diventati.

Invece il calcio europeo lo ha masticato e sputato come un corpo estraneo, gli ha mostrato le luci della ribalta (comunque in un teatro minore, di periferia) e lo ha lasciato dietro le quinte a sistemare i cavi. Ora che è entrato nella fase di piena maturità, sopravvissuto a una carriera costellata di infortuni, incomprensioni, bocciature, conflitti mai esplosi e ritorni al via, è arrivato il momento di chiedersi qual è il posto di Quintero sulla mappa del calcio mondiale. Prima, però, è necessario rispondere alla domanda: che gli è successo negli ultimi cinque anni?

Este es nuestro año @juanferquinterop 🔥

Un post condiviso da MALUMA (@maluma) in data: Gen 3, 2017 at 3:20 PST

Nonostante la confidenza di Maluma, anche il 2017 non è stato l’anno di Juan Quintero.

L’atterraggio a Pescara

Qui è dove l’abbiamo lasciato noi italiani, l’ultima stazione in cui si è fermato il treno dell’hype prima di un guasto ai motori. È l’estate 2012, ed è la prima volta che il Pescara si affaccia in Serie A negli anni Duemila. Il direttore sportivo Delli Carri ha l’ingrato compito di dover sostituire i maggiori artefici della promozione, allenatore compreso. Dall’Atlético Nacional, per circa 2 milioni di euro, pesca questo diciannovenne colombiano che assomiglia molto a Verratti e promette grandi cose. «Io e il suo agente crediamo che potrà giocare in Spagna, nel Real Madrid o nel Barcellona», commenta Delli Carri.

A settembre, Quintero si inventa una punizione potentissima da trenta metri che regala il primo punto del campionato al Pescara. Rimane al centro della trequarti per tutto il girone d’andata tra alti e bassi, poi a gennaio fa le valigie e parte per giocare il Sudamericano Sub-20. Scompare un mese dai radar del nostro campionato, ma ritorna con l’etichetta di futura stella del calcio mondiale. La Colombia torna vincere il Sudamericano dopo otto anni e Quintero viene eletto miglior giocatore della competizione, in cui segna 5 gol e serve 7 assist in 9 partite.

Segna anche in finale, che non è proprio una finale perché il trofeo viene assegnato tramite gironcino, quindi al Paraguay basterebbe un pareggio per finire al primo posto. Quintero però sale in cattedra, controlla tutto quello che passa per la fascia centrale del campo e dopo 24’ scambia un difensore per un cono stradale, gli gira intorno difendendo il pallone con tutto il corpo e scaglia una conclusione potente dalla distanza, che viene deviata e spiazza il portiere.

Ritorna in Italia a febbraio, e subito accusa una tendinite alla caviglia sinistra, che secondo i medici del Pescara è dovuta a un virus contratto durante il Sudamericano. È una di quelle infiammazioni fastidiose e ingestibili, prova a tornare in campo in un paio di occasioni ma si ferma subito. Sostanzialmente non vede più il campo da lì al termine della stagione, un finale che per il Pescara sarà disastroso. 17 sconfitte e 2 pareggi nel girone di ritorno, per un totale di 2 punti, che sommati ai 20 punti raccolti nel girone d’andata non sono abbastanza per rimanere in Serie A.

https://twitter.com/GolCaracol/status/689115565244416001

Breve saggio dello stato di forma di Quintero in quel Sudamericano Sub-20.

Il salto al Porto

Quintero viene ceduto al Porto pochi giorni dopo la fine del campionato, con una valutazione intorno ai 10 milioni di euro. In estate gioca i Mondiali U-20, segna 3 gol e firma un assist in 4 partite e conferma l’entusiasmo che lo circonda. Negli anni precedenti, il Porto ha riciclato con profitto i cartellini della maggior parte dei talenti colombiani sbarcati in Europa (Guarín, Rodríguez, Falcao, Martínez). Adesso che si ritrova tra le mani uno dei più cristallini del lotto, l’impressione è che nulla possa andare storto.

La prima giornata di campionato, Quintero parte dalla panchina. Il Porto gioca in trasferta a Setúbal ed è bloccato sul pareggio, al minuto 59 Quintero entra in campo, al minuto 60 riceve sul centro-destra, sente l’arrivo del difensore, fa scorrere il pallone alle sue spalle con un unico movimento di rotazione che lo protegge dal tentativo di contrasto, poi calcia di sinistro fortissimo. Il pallone prende la tipica traiettoria alla Quintero, un colpo violento con improvvisa decelerazione, e si stampa nella rete del Vitoria.

Il gol con cui Quintero si presenta in Primeira Liga.

Fino a questo gol, ogni manifestazione di Quintero su un campo da calcio mostrava i segni della predestinazione. Si credeva che soltanto un impatto difficile con il calcio europeo potesse deviarne o rallentarne la carriera, e si credeva questo rischio scongiurato, ora che il cronometro aveva rilevato con precisione quanto tempo di ambientamento gli sarebbe servito: più o meno sessanta secondi.

Invece Quintero al Porto non resiste più di due anni, in cui gioca 18 partite da titolare tra tutte le competizioni, 64 complessive. In Portogallo dicono che ha «la resistenza di un asmatico e la forza di volontà di un procrastinatore». Già dal primo anno, Quintero entra in quella spirale negativa in cui gioca poco, e quando gioca la squadra perde. L’allenatore è Paulo Fonseca, lo stesso che ci ha esaltato alla guida dello Shakhtar e si è vestito da Zorro dopo aver eliminato il Napoli dalla Champions League.

Con Quintero però non dimostra la stessa sensibilità mostrata verso i trequartisti brasiliani dello Shakhtar. Convoca 19 giocatori per una partita in trasferta contro il Rio Ave, 11 scendono in campo, 7 si siedono in panchina, Quintero rimane da solo in tribuna; lo manda a giocare con la squadra B, spiegando che gli farà bene, sempre meglio che viaggiare con la squadra e restare in panchina; piuttosto che farlo giocare gli preferisce trequartisti di mezza età di lì a breve spariti dal calcio europeo, come Josué e Carlos Alberto.

Quintero nonostante tutto ne conserva un buon ricordo, dice che era un uomo che parlava faccia a faccia, che c’erano delle divergenze ma non ha nulla contro di lui (nelle risposte personali, Quintero sfoggia una strafottenza che hanno solo gli adolescenti). Poi parte per i Mondiali, gioca bene, segna contro la Costa d’Avorio, torna carichissimo, dice che ha parlato con il presidente, con i dirigenti, con il nuovo allenatore, e sono tutti soddisfatti del lavoro che sta facendo.

Il nuovo allenatore è Lopetegui, alla prima esperienza in una squadra di club. Prima ha allenato la Spagna U-21, per cui ci si aspetta che riservi un’attenzione particolare alla crescita dei giovani. All’inizio immagina Quintero a centrocampo, come sostituto ideale di Óliver Torres, poi lo sperimenta anche ala destra, come ricambio per Quaresma. In ogni caso non ci vede nulla più che una riserva, ma neanche questo condiziona il ricordo di Quintero: «Non ho mai incontrato un allenatore come lui. Per l’esigenza, per la qualità, per tutto. Non ho mai lavorato con uno così bravo».

Nei due anni al Porto Quintero non perde lo smalto dei bei tempi, è ancora in grado di fare più o meno quello che vuole con il piede sinistro, mantiene quella forza muscolare imprevedibile per un giocatore della sua stazza, ma non compie nessun progresso dal punto di vista tattico. È lo stereotipo del trequartista sudamericano, gravita intorno al pallone come posseduto dalla sua attrazione, lo tiene tra i piedi per un tempo che sembra infinito se rapportato ai ritmi di gioco europei, si guarda intorno per cercare spazi e inserimenti che non esistono.

Nella squadra che doveva rappresentare un trampolino prima del grande salto, la carriera di Quintero si inchioda. Il fatto che due allenatori validi avessero provato a ricavarne qualcosa e poi l’avessero scaricato fa crollare vertiginosamente il suo valore di mercato. Ci sarebbe Wenger, un suo grande estimatore, ma il Porto chiede 12 milioni e l’Arsenal, che all’epoca ne fattura 360, non si sente di rischiare l’investimento.

Il prestito al Rennes

Dopo due stagioni negative, Quintero ha capito due cose: che deve cambiare aria e che non può sbagliare la terza. Però non ha occasione di giocare il solito brillante torneo estivo con la Colombia, perché un infortunio lo costringe a saltare la Copa América in Cile. In Brasile si vocifera con insistenza di un suo trasferimento al Flamengo, ma il Porto non ha ancora perso le speranze di una ricca plusvalenza e prova a proporlo un po’ ovunque in Europa per tutta l’estate.

Solo che in questo momento, per qualche motivo, l’appetibilità di Quintero è così bassa che un’offerta vera e propria si concretizza soltanto durante le ultime ore di mercato. Finisce in prestito al Rennes, in quel momento società di media Ligue 1 con un progetto di crescita. Chissà quali aspettative lo accompagnavano: forse la disperazione, forse la speranza di sbarcare nel nord della Francia ragazzino e di ritornarci uomo come i Peaky Blinders. Di fatto dal gol alla Costa d’Avorio sono passati solo dodici mesi, e Quintero è già lontanissimo dalla fama a cui sembrava destinato.

A Rennes gioca 14 partite, di cui 9 da titolare. In un momento di particolare difficoltà viene persino spedito ad allenarsi e a giocare con la seconda squadra che milita in quarta divisione, un campionato dilettantistico. Si ritrova nel peggiore contesto possibile per un giocatore con le sue caratteristiche, un campionato con poco ordine tattico, pochi compagni capaci di correre in funzione dei suoi passaggi, ma molto aggressivo, ruvido, con un livello di intensità che non era abituato a sostenere.

«Ha inventato il peso fuori forma», scherzava il suo allenatore Courbis, subentrato a Montanier nel corso della stagione. Courbis non lo ha fatto giocare praticamente mai, ma ne ha parlato sempre con tono affettuoso, provando a mettere il buon senso al di sopra delle questioni di principio: «È un giocatore che si è trovato completamente disorientato, e in tal senso non è giusto addossargli tutte le responsabilità».

Nel contempo, è stato il più preciso al momento di spiegare perché proprio con tutto l’affetto del mondo non era possibile farlo giocare: «Ha certe abitudini, pensa che per essere titolari sia sufficiente presentarsi all’allenamento. Ha sempre la testa altrove, è lì senza essere davvero lì».

In tutto questo Quintero sembra non accorgersi di nulla, rilascia interviste in cui dispensa parole di rispetto e stima per i dirigenti e gli allenatori che si avvicendano, continuando a ignorarlo. Dopo l’arrivo di Courbis, che in un eccesso di iniziale ottimismo lo fa partire da titolare in una partita poi vinta, commenta: «Mi ha dato la fiducia di entrare in campo, è importante, lo ringrazio per questo. È importante imparare ad amare la squadra».

A gennaio dice che gli piacerebbe giocare con Gourcuff, che in quel momento sta rientrando da un lungo infortunio e non vede il campo da circa un anno. «Io sono un numero dieci classico. Yoann Gourcuff per esempio è un numero dieci molto più moderno. Sarebbe un privilegio giocare con lui. Quando hai attaccanti così veloci, è importante avere giocatori di qualità nel mezzo».

La distinzione è molto interessante, per un ventenne che racconta di aver guardato tanto Riquelme ma di aver adorato Rivaldo sopra ogni altro. Descrive un Quintero consapevole dei propri limiti fisici e mentali ma affascinato da un tipo di calcio diverso, in cui velocità, esplosività e padronanza tecnica si combinano nell’esecuzione. Un Quintero che si riconosce animale in via di estinzione e studia soluzioni di sopravvivenza negli altri numeri dieci.

Qualunque soluzione avesse trovato, in Europa non ha funzionato. Quando torna al Porto, Nuno Espírito Santo lo inserisce in un quartetto di “reietti” a cui è proibito anche allenarsi con la prima squadra, assieme a Martins Indi, Hernani e Josué. Una radio portoghese rilancia la suggestione che stia pensando di lasciare il calcio per dedicarsi alla musica.

https://twitter.com/juanferquinte10/status/721772999003791360

Juanfer si sente in dovere di mettere le cose in chiaro.

Il ritorno a casa: Independiente, River

Al termine di tre lunghi mesi di prigionia, Quintero scollina il punto dell’arco narrativo dopo il quale il protagonista smette di complicarsi la vita e prende una decisione che capovolge la direzione della storia. A settembre accetta un’offerta di prestito dell’Independiente e ritorna a Medellín, dove il campionato inizia a febbraio, il che significa che finalmente Quintero ha l’opportunità di preparare per intero, senza infortuni, una stagione in una squadra che intende affidargli le chiavi dell’attacco.

È una stagione sfortunata per l’Independiente, che arriva secondo in Apertura e perde sia la finale di Coppa di Colombia che la Supercoppa, ma passa tutto in secondo piano nel grande disegno del destino, perché è la stagione in cui Quintero si riscopre un grande giocatore. Continua a giocare un calcio che esiste solo nella sua testa, senza posizioni fisse e senza obblighi morali nei confronti dei compagni e dell’allenatore, ma di fronte a 16 gol e 10 assist in 36 partite nessuno osa minacciare retrocessioni in seconda squadra.

https://twitter.com/OptaJavier/status/945753404562903040

Nella stagione 2017 del campionato colombiano, Quintero è per distacco il giocatore con più tiri tentati e occasioni create per partita.

Il campionato colombiano finisce a novembre, di conseguenza anche il prestito. Quintero torna in Portogallo nel mezzo della stagione e ci trova un nuovo allenatore, Sérgio Conceição, e una squadra rinnovata, che sta lottando per il titolo. Si rende conto di aver ormai assorbito l’orologio biologico dei campionati sudamericani e ci si fa rispedire in prestito per un altro anno, questa volta in Argentina, sponda River Plate. A questo punto il Porto ha perso ogni speranza di ottenerci un ritorno economico, tanto che accetta un diritto di riscatto di poco superiore ai 3 milioni di euro. Se ne riterrà il caso, il River potrà esercitarlo alla fine dell’anno solare.

Per Quintero sembra l’ennesimo tentativo cieco di evadere la noia, ma a conti fatti è la prima volta dopo lo sciagurato trasferimento al Porto che riesce a risalire qualche gradino nella piramide del calcio internazionale, forse la prima volta che sente di poter chiedere a sé stesso qualcosa di più. Il River è una squadra più forte e più ambiziosa dell’Independiente, ha un centrocampo ricco di nomi storici del campionato argentino (Enzo Pérez, Ponzio, Ignacio Fernández) che inizialmente gli occupano lo spazio (non è in campo durante la Supercoppa vinta a marzo contro il Boca).

Non è però una squadra che si presta facilmente a inserirlo nel sistema di gioco. Il 4-4-2 del River richiede un lavoro di copertura nella zona centrale del campo che non è nelle corde di Quintero, allora Gallardo recupera dagli esperimenti di Lopetegui quello dell’ala destra. Da quella posizione, Quintero è in grado di plasmare la tradizionale rigidità del 4-4-2 per donargli infinite forme. Non è isolato come lo sarebbe stato da ala di un 4-3-3, non è esposto alle bufere come lo sarebbe stato da volante davanti alla difesa.

L’impatto di Quintero all’Independiente, dove ha giocato un po’ ovunque sulla trequarti.

Cinque minuti a caso di una partita a caso di Quintero in Sudamerica bastano a convincersi che dovrebbe restare per sempre lì come specie protetta e ripagarci in forma di irresistibili compilation su YouTube.

Durante la partita fa tutto quello che gli passa per la testa. Per esempio: si fa passare il pallone dal portiere dentro l’area di rigore, sfida palla al piede tutta la squadra avversaria, la perde poco dopo aver superato la linea di metà campo e si lancia a inseguirla fino all’area di rigore avversaria. Questa libertà tattica si riflette poi nel senso di libertà che esprime in campo. Gioca di continuo con i difensori avversari, si diverte ad aspettarli e a spostare il pallone all’ultimo con la freddezza dei toreri, li vede deviare all’improvviso la traiettoria di corsa e franare sul terreno, li fa sembrare ridicoli.

L’equazione della felicità di Quintero è semplice: meno intensità, meno disciplina tattica, più spazio in cui muoversi, più tempo per pensare. Non ha la pazienza di aspettare il pallone nella sua zona di competenza, e ha bisogno di questa libertà di movimento per recuperare il piacere del passaggio difficile, della giocata risolutiva. Promuove un calcio senza posizioni, nel senso di tutti dietro il pallone come ai giardinetti e poi vediamo chi ha abbastanza tecnica da riuscire a riportare il controllo. I diciotto mesi in Sudamerica, quantomeno, ci hanno convinto che la tecnica cristallina è ancora lì al suo posto.

Il corpo di Quintero si contorce in modi che gli altri corpi non fanno in tempo a decifrare, il piede sinistro ha la stessa sensibilità tra la suola e il lato esterno che gli esseri umani hanno sui polpastrelli dei pollici. A queste velocità, poi, nulla di quello che accade in campo sfugge alla sua sopraffina visione di gioco. Dalla privilegiata posizione sul centro-destra mette cento palloni a partita alle spalle del terzino sinistro avversario, per incrociare le sovrapposizioni del proprio terzino o i movimenti ad allargarsi della punta. Mentre aspetta di ricevere, è già coordinato per servire un inserimento dall’altra parte del campo che deve ancora partire.

Magari vi siete chiesti fino a che punto può arrivare a contorcersi il corpo di Quintero per effettuare un assist di esterno. Ecco, così.

Ogni tanto gli capita di vedere cose che non esistono, di percorrere strade che appartengono alla sua immaginazione, di lanciare palloni nel vuoto sicuro di aver sentito un inserimento, intravisto una possibilità. Eccessi di ambizione perdonabili nell’economia generale delle cose, così come gli eccessi sulla bilancia. «Non è che sono grasso, è che ho il sedere grosso», ha commentato in una recente intervista con la stampa argentina. «È la mia corporatura, sono bassino e mi piace pochissimo la palestra».

Non si può restare indifferenti al ritorno di Quintero in Sudamerica. Il suo modo sprezzante di intendere il calcio è una favola per bambini e il calcio sudamericano è il suo paese dei balocchi. Non possiamo escludere che questa tappa di ritorno faccia in realtà parte di un lento percorso di allineamento al calcio europeo, necessario per un trequartista così peculiare e così sudamericano. Magari l’anno prossimo torna al Porto (dove ha un contratto fino al 2021) e dimostra a tutti i suoi detrattori che è un giocatore nuovo, che ha capito dove sbagliava ed è diventato il fenomeno che prometteva di essere. Ma se davvero ha capito dove sbagliava, sceglierà di rimanere al River Plate.

Quintero racconta di aver capito subito che la chiamata del River sarebbe stata la più grande opportunità della sua vita e di aver chiesto all’agente di chiudere la trattativa il prima possibile. Poi ci ha trovato esattamente quello che si aspettava, un grande allenatore, un gruppo competitivo, tifosi in adorazione, un campionato adatto alle sue caratteristiche. Più probabilmente, siamo di fronte a uno di quei giocatori iconici che ammiriamo di estate nei tornei per nazioni e poi dimentichiamo durante l’anno, come il "Mago" Valdivia, il "Barbaro" Guerrero, il "Memo" Ochoa.

«I tempi di Dio sono perfetti», scrive Juanfer per firmare i suoi messaggi su Instagram. Ci aggiunge l’emoji di un sole luminoso. È una frase che racchiude l’equivoco Quintero, perché è chiaro che è una scusa pigrissima, che continua impunito a prendersela comoda, che si sta nascondendo dietro un aforisma. Sarebbe stato perfetto vederlo esplodere dopo l’arrivo in Europa, come è stato per tutti i ventenni luminosissimi prima di lui. Anzi no, sarebbe più bello vedergli compiere il salto di qualità adesso, dopo questi Mondiali in cui ha tenuto alta la bandiera del Pony Fútbol di Medellín in assenza di James, realizzato la visione di quel fotografo che aveva visto in loro due i futuri pilastri della nazionale.

Insomma c’è ancora margine perché Quintero diventi un fenomeno? Oppure lo è sempre stato, e non siamo stati in grado di apprezzarlo? Oppure si appresta a diventarlo, ora che i diciotto mesi di congedo dorato in Sudamerica gli hanno restituito la pace interiore? Inevitabilmente, la risposta è contenuta in quel piede sinistro, venerabile oggetto di culto, sacerdote dei tempi perfetti.

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