Ecos del Balon è nato come blog di Abel Rojas nel 2008, a cui poi si sono aggiunti Fernando Ajenjo e Miguel Quintana. Con gli anni sono aumentate le firme ed è nato anche un canale YouTube, un canale radio e un podcast. Rojas ha lasciato nel 2018 per lavorare nella Real Sociedad, con lui è uscito anche Quintana per continuare da solo. A inizio 2020 Ajenjo non riusciva a seguire il sito come avrebbe voluto anche per dei problemi personali, e ha quindi deciso di sospendere le pubblicazioni a tempo indefinito. Ecos del Balon, con la sua lingua ricercata e la capacità finissima di analisi, è stato per noi una lettura di fondamentale ispirazione. Abbiamo deciso di salutarlo tirando fuori dal suo archivio ricco di fulgidi esempi della miglior scrittura sportiva alcuni dei nostri articoli preferiti.
El Real Madrid y el filo del mundo, di Abel Rojas
Emiliano Battazzi
Seguo Ecos del Balon all'incirca da quando ho iniziato a scrivere per l'Ultimo Uomo. Molti anni da lettore che mi hanno permesso di apprezzare appieno il tratto distintivo di Ecos: toccare tutti i temi legati a una partita di calcio, proponendo sempre almeno un punto di vista. Ecos ha quasi sempre fornito analisi brevi, ma con una grande capacità di cogliere gli aspetti importanti di una partita e di un giocatore: sintesi e profondità, un binomio difficile da raggiungere, figuriamoci trasformarlo nello standard per il proprio pubblico.
Ho avuto la fortuna di leggere Ecos durante il ciclo del nuovo Grande Real, quello di Zinedine Zidane allenatore. Una squadre capace di vincere tre Champions League consecutive - una sequenza di successi mai accaduta prima, e che probabilmente mai più vedremo - il cui stile noi di UU abbiamo definito «calcio liquido», capace di adattarsi ogni volta al contenitore preparato dall'avversario, dalla fase di gioco, dal momento. Una squadra difficilissima da commentare e descrivere, capace com'era di farsi umiliare in casa dal Barcellona e vincere la Champions nel corso della stessa stagione. Così Ecos ha descritto la vittoria del Real a Monaco di Baviera nel 2017: "Il Real non ha perso la calma in nessun momento. Sa bene come funzionano queste partite, in cui non esistono né squadre né campioni impossibili; il timone della partita cambia continuamente di mano e si tratta soltanto di rimanere in piedi negli istanti in cui è il Bayern ad attaccare. Dell'altro aspetto, cioè colpire quando attacca il Real, si incarica Cristiano Ronaldo. È relativamente facile".
In un bellissimo pezzo che analizzava il possibile inserimento di Ceballos nel gioco di Zidane, il sistema inafferrabile del Real veniva così presentato, partendo dal fatto che i Blancos sostanzialmente non perdevano mai il pallone: "Così, alla fine è il Real che raggiunge l'equilibrio [grazie al pallone]. Non è un ordine concordato. Non è una tattica, e non è neppure gioco di posizione studiato al dettaglio. Ma è un sistema. Il sistema invisibile".
La più precisa descrizione di questi strani anni di dominio europeo del Real l'ho trovata però nel pezzo indicato all'inizio: l'analisi della sconfitta (ininfluente) nella semifinale di ritorno della Champions 16-17 contro l'Atleti di Simeone. Qui Abel Rojas ci serve sul piatto una spiegazione valida per i tre anni di vittorie madridiste e di sospensione dell'incredulità di noi spettatori: "Il Madrid non ha tremato neppure nel pieno del terremoto. Con la Decima, l'Undicesima e con Zidane, questa rosa di giocatori ha acquisito una conoscenza della Champions che le permette di uscire con un vantaggio da tutti i punti di inflessione che si verificano durante una partita. Non importa che sia a suo favore o contro; che succeda a pochi minuti dall'inizio o dalla fine; che coinvolga le grandi stelle o i gregari; qualunque cosa accada, sono i Blancos che ne escono meglio, e soprattutto con maggiore chiarezza mentale, dopo ognuno di quei momenti che li costringono a ripensare il loro atteggiamento. Qualcosa di quasi mai visto nei 61 anni di questa competizione".
Da quando proprio Abel Rojas, uno dei fondatori, aveva lasciato Ecos per entrare nel settore tecnico della Real Sociedad come analista (un fatto sconvolgente per un sistema calcio conservatore come quello italiano, ma non così infrequente in Spagna e in Germania), era già tutto diverso: non peggiore, non migliore. Semplicemente diverso. Nella lettera di commiato pubblicata sul sito, l'altro fondatore Ajenjo ha preferito non scrivere adiós: e allora hasta luego, Ecos, e grazie di tutto questo tempo insieme.
En el mundo al revés, Simeone, di Alejandro Arroyo
Emanuele Mongiardo
Leggendo Ecos del Balon mi accorgevo quanto fosse importante per loro, oltre al registro tecnico, lo stato d’animo dell’incontro e dei suoi protagonisti. Ecos scandagliava l’intima unione tra le componenti emotive della partita e i suoi contenuti tattici, sapeva come potessero influenzarsi l’un l’altro. Ecco perché i miei articoli preferiti erano quelli che psicanalizzavano l’irrazionalità della Champions League. Per celebrare Ecos scelgo quindi l’analisi di Alejandro Arroyo dell’andata tra Atletico Madrid e Liverpool, il miglior duello con cui potesse congedarsi la vecchia Coppa dei Campioni.
Ero indeciso tra questo e il pezzo di Abel Rojas sulla resistenza colchonera contro il Bayern Monaco nel 2016, un’analisi in cui l’autore era riuscito a metaforizzare lo smarrimento degli uomini del Cholo di fronte a una delle squadre più forti di questo secolo: «L’opera di Pep Guardiola ha spinto l’Atletico Madrid fino a un limite sconosciuto: lo ha obbligato a difendersi senza sapere bene come fare («defenderse desde la ignorancia», dice l’articolo), lo ha costretto a decifrare ogni nuovo movimento con l’impaccio di chi prova a esprimersi in una lingua che non conosce».
Alcune parole di Rojas nelle ore successive all’impresa dell’Allianz Arena suonano ancora attuali proprio per la precisione minimale con cui colgono l’essenza della squadra del Cholo. Avrebbero potuto raccontare del momento in cui Adrian sbaglia il rinvio e manda il pallone sui piedi di Joao Felix ad Anfield. Invece parlano della sofferenza e della fede di Koke, Godin e tutti gli altri in Baviera prima del gol di Griezmann: «Non importa la difficoltà del contesto: hanno introiettato la consapevolezza che basta una sola azione e che può nascere in qualsiasi istante».
Alla fine però ho optato per l’articolo più attuale, che mi lascia di più l’amaro in bocca, ricordandomi come il calcio si sia fermato sul più bello, come le discussioni post-partita della prossima Champions senza il punto di vista di Ecos del Balon saranno meno ricche. Questo è un pezzo dal titolo eloquente, che intercetta con le parole lo spirito insondabile della competizione, un mondo al contrario, in cui ogni paradigma si capovolge: «Nel mondo al contrario, il peggior Atletico dell’era Simeone avrebbe potuto andare avanti altri novanta minuti senza subire tiri dalla squadra campione in carica. Nel mondo al contrario Lodi si scrive Idol, in inglese».
Senza dimenticare la tattica e, soprattutto, l’analisi dei singoli giocatori, del modo in cui si incastrano con i compagni, col proprio sistema di gioco e con gli avversari, forse il mio aspetto preferito di Ecos: descrivere la gara a partire dalle individualità e dal particolare tecnico, per poi pervenire al suo sviluppo collettivo. Qui, ad esempio, la volontà di Simeone di impedire a Mané e Salah di giocare fronte alla porta. Le spettacolari sfide tra Atletico e Liverpool prima del lockdown sembravano fatte apposta per dare a Ecos l’occasione di salutarci con la solita raffinata capacità d’analisi.
¿El fútbol empieza en los pies o en la cabeza? di David Mata
Daniele V. Morrone
Si è già scritto del modo efficace e spesso appagante con cui Ecos affrontava le analisi delle partite di Liga o Champions League o dei singoli giocatori e squadre. Quello di cui voglio parlare io allora è un altro aspetto, di cui forse si sentirà ancora di più la mancanza nel panorama spagnolo: utilizzare i loro strumenti per articoli più lunghi e approfonditi. Una tipologia di pezzi che può essere declinata per raccontare i grandi giocatori del passato (come questo di Abel Rojas su Raúl e il suo posto nella storia del Real Madrid) o spiegare la natura di concetti tattici contemporanei (come questo di Albert Morén su come il pressing sia stato innestato nel DNA del Barcellona negli ultimi 30 anni). Tra questi il più ambizioso di tutti e quello che più mi ha influenzato è questo di David Mata su una domanda che accompagna da sempre i dialoghi di teoria calcistica: il calcio inizia nei piedi o nella testa?
In un testo ricco di spunti e fitto di virgolettati dei protagonisti del calcio, Mata scrive di come questo dialogo abbia segnato la teoria calcistica negli ultimi 30 anni. Parla prima di tutto della rivoluzione di Sacchi e della sua battaglia per cambiare il calcio italiano dall’idea che un calciatore debba essere messo in campo perché «ha dei piedi buoni», perché per lui il calcio si gioca prima di tutto con la testa: «Sacchi avrebbe sicuramente detto che gli interpreti sono intercambiabili e quello che realmente conta è la trama di gioco (la testa)». Si parla dell'influenza che può aver avuto nella sua visione del mondo il non essere diventato calciatore professionista e delle litigate con la sua stella più luminosa, van Basten, ma anche del rifiuto di dover schierare il talentuoso ma poco malleabile tatticamente Claudio Borghi.
Poi Mata parla dell’altra campana, di Maradona come esempio del giocatore che rappresenta l’idea che a contare sia prima di tutto la tecnica individuale e quanto abbia reso la vita difficile a Sacchi affrontare un giocatore così. Scrive come in fondo il duello tra i due era anche tra due visioni opposte del calcio, ugualmente di successo.
E conclude parlando del binomio Cruyff+Guardiola. Scrive che: «Guardiola venne formato in una metodologia che è puro “piede”, Cruyff ad esempio diceva che attualmente trionfa il calcio difensivo perché la tecnica individuale è calata». Guardiola, quindi, come esempio di allenatore che cerca proprio giocatori naturalmente associativi e “di piede”. Per Cruyff+Guardiola esiste quindi una gerarchia del talento alla quale bisogna subordinare tutto: «I migliori giocatori sono quelli che non perdono palla vicino all’area avversaria».
Questo spiegherebbe il motivo per cui Guardiola ha voluto Ibrahimovic e poi però ha deciso di abbracciare Messi falso 9 invece di insistere con lui quando le cose non sono andate come aveva immaginato. Ma fa anche l’esempio di Romario per Cruyff: «Il suo talento era talmente grande che l’allora tecnico Cruyff non ha avuto problemi a subordinare i suoi compagni a lui e ad alterare la disposizione della squadra. Una cosa che contraddice la logica sacchiana». Un pezzo che trovo molto utile anche per spiegare l’attualità e le differenze di fondo nelle visioni del calcio tra il sacchiano Klopp e lo stesso Guardiola.
Zlatan Ibrahimovic, di David Leon
Daniele Manusia
Ecos del Balon era una delle due ragioni per cui adesso conosco qualche parola di spagnolo (l’altra ragione è che ho passato un’estate in compagnia di spagnoli, a giocare a calcio). Non mi costava leggere con la tab del dizionario aperta, fermandomi di tanto in tanto per cercare i significati di alcune parole. Per quanto tecnicamente e tatticamente approfonditi, i pezzi di EdB non erano mai scritti in modo sciatto, con una lingua piana che mirasse a dare solo informazioni. In qualche modo la loro ricerca stilistica serviva per dare sostanza e forma alle loro emozioni.
In particolare ho fatto un uso dei loro articoli simile a quello che faccio di alcuni classici della letteratura, sportiva e non. Ovvero li rileggevo quando mi sentivo privo di ispirazione, o quando avevo l’impressione che non fosse possibile - almeno per me - scrivere ancora di un argomento di cui avevano già scritto moltissimi. Magari più velocemente di me. E quando l’ossessione (molto italiana) di «arrivare prima» si faceva nauseante io mi andavo a cercare un pezzo di Ecos del Balon su un argomento che conoscevo bene: non necessariamente quello di cui volevo scrivere in quel momento ma uno che mi pareva altrettanto “esaurito”. E riscoprivo grazie a loro il potere del linguaggio, delle analisi e delle descrizioni.
La capacità di riportare in vita un tema consumato è una delle cose che ammiravo di più in Ecos del Balon. Sordo alle polemiche che lo circondavano (perché anche in Spagna non è che il clima intorno al calcio sia molto migliore del nostro) trovava sempre una voce originale, un punto di vista inedito. E una felicità che è propria di chi non sta scrivendo per avere ragione in una disputa immaginaria.
Prendiamo la descrizione di Zlatan Ibrahimovic in questo pezzo che ho scelto, quasi a caso, tra i molti pezzi che ricordo di aver letto: «In assenza di sorprese poco probabili, possiamo guardare indietro e provare a capire un calciatore inedito, venuto fuori contro natura. Un lussuoso pezzo da museo che ogni ricco ha desiderato, anche se spesso sarebbe stato un attentato al Feng Shui della sua casa».
Oppure prendiamo il paragone con van Basten, che regge fino a un certo punto e che Leon, l’autore del pezzo, piega dalla sua parte, per dire cioè quello che vuole dire veramente: «Dieci anni prima, van Basten aveva sdoganato una tipologia di attaccante sconosciuta, quella di una punta snella e alta che si relazionava con il gioco di squadra e che toccava molti palloni. Ma Ibra non era così. Non esattamente. Con 1 metro e 95 centimetri, il suo amore per la palla era più simile a quello di un brasiliano che di un calciatore scandinavo. E per giunta era rapido. Il Malmö ha scovato un gioiello esotico, indecifrabile».
Sono piccoli esempi di come la scrittura sportiva non sia per forza di cose una guerra tra opinioni diverse, se possibile opposte. In questo pezzo Ibra viene analizzato anche nei suoi passaggi in Italia e Spagna, dove «non era il calciatore eccezionale, il più talentuoso. La sua tecnica non causava stupore», e dove è venuta fuori la sua natura ambivalente: «Momenti di brillante ispirazione e un blocco totale nei confronti del gioco collettivo».
Quando leggevo Ecos del Balon mi sembrava di accedere a una visione a-tossica e al tempo stesso personale del calcio. Come se fosse una cosa tra appassionati, per appassionati. Niente di più, ma anche niente di meno.