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Le fantastiche avventure di Eddie Eagan
11 feb 2022
Una classica storia da '900 americano.
(articolo)
13 min
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C’è una fotografia scattata fuori da un bar di Roma durante le Olimpiadi del 1960. Sulla destra, in primo piano, appare un’ingombrante fioriera, sullo sfondo, accanto a una bandiera italiana, c’è una persona che non c’entra nulla, eppure è l’unica a fissare l’obiettivo.

I protagonisti della foto stanno chiacchierando attorno a un tavolino rotondo: sono Floyd Patterson, Jesse Owens, il campione olimpico di pugilato di Anversa 1920 e il campione olimpico di bob delle Olimpiadi invernali del 1932 a Lake Placid. Patterson è una delle leggende della boxe, oro ad Helsinki 1952 e primo pugile capace di riconquistare il titolo dei pesi massimi dopo aver perso la corona. Nel momento in cui è stata scattata la foto è campione del mondo in carica.

Jesse Owens è Jesse Owens. Il velocista nero che rovinò la festa di Hitler a Berlino ’36 vincendo 4 ori: 100 e 200 metri, staffetta 4x100 e salto in lungo. Owens, con un braccio appoggiato al tavolino, sta parlando, mentre Patterson ascolta con la testa china verso di lui. Il campione olimpico di bob sorride, il pugile medaglia d’oro ad Anversa pure, e non potrebbe essere altrimenti: sono la stessa persona. Il loro nome, o meglio il suo nome è Eddie Eagan, l’unico atleta della storia ad aver vinto una medaglia d’oro sia alle Olimpiadi invernali che a quelle estive gareggiando in due discipline diverse.

Dopo di lui alcuni e alcune hanno sfiorato l’impresa, prima di lui - a dirla tutta - uno c’era anche riuscito: era svedese e si chiamava Gillis Grafström, capace di vincere tre ori consecutivi nel pattinaggio di figura (all’epoca si chiamava ancora pattinaggio artistico). Il primo successo arrivò alle Olimpiadi estive di Anversa (le stesse in cui Eagan vinse nella boxe), che includevano nel programma due discipline sul ghiaccio come il pattinaggio e l’hockey. Quando nacquero le Olimpiadi invernali, nel 1924, pattinaggio e hockey vennero trasferiti là dove dovevano stare, e Grafström con loro. Dopo il titolo ad Anversa, arrivarono gli ori di Chamonix 1924 e St. Moritz 1928. Mentre nel 1932, attesissimo per un possibile poker, lo svedese arrivò “solamente” secondo. Chi non era per niente atteso a quelle Olimpiadi era Eddie Eagan, che non aveva mai gareggiato su un bob vita sua. Il suo sport era tirare pugni, e nessuno tirava pugni dentro a un bob.

Eagan, però, era uno di quei tipi che riusciva a eccellere in qualunque cosa facesse, diventando l’incarnazione del suo eroe d’infanzia, Frank Merriwell, giovane protagonista di un serie di “dime novel”, romanzetti di qualità scadente scritti su carta scadente e venduti in cambio di una moneta da dieci centesimi. Cresciuto con quattro fratelli in una famiglia povera di Denver e presto orfano di padre, Eagan, che era figlio di migranti (madre alsaziana, papà irlandese) non poteva permettersi di più: e così, tra un lavoretto e l’altro per aiutare la madre, divorava queste storie improbabili in cui Merriwell, campione di atletica, baseball, football, basket e canottaggio, risolveva misteri e trovava il tempo di laurearsi a Yale.

La vita di Eagan non sarà molto diversa da quella del suo eroe. Studierà, con ottimi risultati, a Yale, Harvard e Oxford. Ha un talento innato per il football, ma si innamora della boxe da ragazzino dopo aver visto una scazzottata nel ranch in cui andava ad aiutare in cambio di qualche dollaro: lì, il padrone, grande e grosso, ebbe la sciagurata idea di prendersela con un suo sottoposto, un cowboy alto la metà di lui chiamato Abe Tobin. La differenza di stazza tra i due era tale da far temere il peggio per Tobin, che però sapeva boxare: mise ko il suo padrone e poi, incalzato da Eagan, insegnò al ragazzo le basi del pugilato. Tra i consigli di Tobin, uno in particolare sarà seguito da Eagan fino alla fine: «Combatti per divertimento, non per soldi». Eddie non passerà mai tra i professionisti e farà uscire un’autobiografia dal titolo inequivocabile: Fighting for fun (“Combattendo per divertimento”).

Negli anni affina la sua tecnica e durante la Prima guerra mondiale, spedito come artigliere sul fronte occidentale, diventa campione delle forze americane in Europa nella categoria pesi medi. Si qualifica anche per le Olimpiadi militari di Parigi e - in qualche modo, grazie a una tessera da giornalista rimediata lì per lì - assiste dal vivo alla storica firma del Trattato di Versailles.

L’anno dopo passa tutte le selezioni universitarie nei mediomassimi e infine stacca il biglietto per le Olimpiadi di Anversa. Il sorteggio è benevolo e gli fa saltare il primo turno: il 22 agosto 1920 nei quarti di finale sconfigge facilmente il sudafricano Thomas Holdstock, lo stesso succede il giorno dopo contro il britannico Harold Franks. In finale mette al tappeto il norvegese Sverre Sørsdal e conquista l’oro olimpico.

Non smetterà più di boxare: prima si fa un nome nel Regno Unito, poi inizia a girare il mondo, raccogliendo le sfide più improbabili. Tra le tante, due sono raccontate dal giornale Boy’s Life, che ricorda la volta in cui Eagan stese un imbattuto campione australiano alto “7 piedi” (fanno 2 metri e 13 centimetri) in meno di un round, e poi di un combattimento a Saigon contro un pugile senegalese che era il terrore dei vietnamiti.

Quanto ci sia di romanzato in quelle avventure esotiche non è dato saperlo, ma molti campioni dell’epoca, come Jack Dempsey e Gene Tunney, hanno sostenuto che Eagan avrebbe potuto vincere il titolo mondiale tra i professionisti se solo avesse voluto. Lui preferiva collezionare avventure e vittorie oscure, come quelle che lo fecero diventare, ko dopo ko, campione amateur nel Regno Unito, in India e in Nuova Zelanda.

Eddie Eagan con Jake La Motta e Bob Murphy.

Nel frattempo divenne amico del facoltoso Lord Clydesdale e sposò l’ereditiera della famiglia Colgate: se sei un pugile non professionista, qualcuno attorno a te i soldi deve pur averli. In un’intervista a Sports Illustrated, proprio la moglie raccontò orgogliosamente che «Eddie a un certo punto partì per un tour mondiale dove sfidava il campione amatoriale di ogni Paese in cui faceva visita. Finì il tour senza perdere un incontro. Quando oggi sentite le statistiche dei campioni imbattuti, ecco, mio marito è uno di quelli». Di sicuro venne sconfitto al primo turno dei Giochi Olimpici del 1924 a Parigi, dove si presentò svogliato e fuori forma, convinto a combattere solo dalle insistenze del presidente del Comitato olimpico statunitense.

La sua storia con i Giochi, dopo Parigi, sembrava conclusa. E pochi anni più tardi anche quella con lo sport di alto livello: d’altronde riusciva benissimo in tutto, anche come avvocato, la carriera che si era scelto dopo aver tolto per sempre i guantoni. Negli anni, Eagan diventerà anche commissario della federazione pugilistica di New York, assistente del procuratore generale, eroe di guerra e detentore di un singolare record, quello di pilota più veloce a circumnavigare la Terra a bordo di un aereo di linea: 147 ore e 15 minuti.

A farlo tornare ai Giochi, nel 1932, fu - durante una cena - l’amico Jay O’Brien, delegato del Comitato olimpico americano per il bob e uno dei quattro a gareggiare per l’equipaggio Usa1, nel frattempo diventati tre dopo il forfait di uno di loro che preferì, all’ultimo momento, iscriversi nel bob a due. Non c’era tempo né modo di organizzare delle selezioni, le Olimpiadi erano alle porte e inoltre non aveva nevicato da nessuna parte. A rendere bene l’idea di com’era l’inverno 1932 a Lake Placid restano le parole di Edward J. Neil, inviato della Associated Press: «Sulla pista di bob non c’era ghiaccio sufficiente a raffreddare un drink».

Insomma, senza poter fare dei veri provini, la squadra si fidò del sesto senso di O’Brien. Anche qui è la moglie di Eagan a raccontare l’esito della cena tra il marito e l’amico: «Una sera Eddie entra a casa e mi dice ‘indovina un po’, faccio parte della squadra di bob degli Stati Uniti». Era stato scelto per le sue doti fisiche (serviva un uomo forte e veloce), ma anche per il coraggio e una rettitudine quasi monastica. Nella sua autobiografia, datata 1932, scrisse: «Ancora oggi non ho mai fumato tabacco perché Frank non lo faceva. Il mio primo bicchiere di vino, per cui non ho alcun interesse, lo presi per costrizione sociale in Europa. Frank non beveva mai». Frank era Frank Merriwell, il suo supereroe d’infanzia.

Incredibilmente, Eagan farà solo quattro discese ufficiali a bordo di un bob: le quattro manche olimpiche. Non aveva mai gareggiato prima e non lo farà dopo.

A rendere ancora più assurda e leggendaria quell’impresa sono le storie degli altri tre occupanti di quel bob, a partire da quella del capitano e pilota Billy Fiske, la prima vittima americana della Seconda guerra mondiale. Convinto anti-nazista, nel 1939 si era arruolato volontario per la Raf (l’aeronautica britannica) prendendo parte alla Battle of Britain, la grande battaglia aerea che si svolse nel 1940 sui cieli inglesi. La sua prima uscita è del 27 luglio, l’ultima e fatale è datata 16 agosto. Muore in ospedale il giorno dopo ad appena 29 anni. A ricordarlo, nella cattedrale di Saint Paul, a Londra, c’è una lastra di granito piazzata tra la tomba dell’ammiraglio Nelson e il negozio di souvenir. Sopra c’è scritto: “William Meade Lindsay Fiske III. Un cittadino americano morto affinché l’Inghilterra potesse vivere”.

Fiske, figlio di due banchieri della East Coast, aveva già dato prova del suo disprezzo per la Germania di Hitler, rifiutandosi di gareggiare - da bicampione olimpico - alle Olimpiadi del 1936, organizzate dal Reich a Garmisch-Partenkirchen.

Già, perché Fiske non aveva vinto solo i Giochi del 1932, con Eagan a bordo, ma anche quelli del 1928, quando aveva appena sedici anni. Si presentò con alcuni compagni di scuola alle selezioni per la nazionale dopo un periodo di studio a St. Moritz, dove nel frattempo si era innamorato del bob. Si mostrò talmente abile, nonostante la giovane età, che gli allenatori lo scelsero come capitano di Usa2, il secondo equipaggio, quello con meno speranze di successo. In gara portò invece la sua squadra alla vittoria, proprio davanti a Usa1.

Nei quattro anni che passarono tra i suoi due ori olimpici, Fiske si improvvisò produttore cinematografico, si trasferì a Tahiti e finanziò un polpettone sentimentale chiamato “White Heat”, storia d’amore tra una schiava e un proprietario terriero. Fu un flop, ma lui, sostenuto dal denaro di famiglia, continuò a buttarsi in imprese altrettanto cinematografiche, lanciandosi più volte giù per la Cresta Run, spericolata pista di skeleton (lo slittino in cui si scende con la testa in avanti) dei Grigioni, in Svizzera, battendo il record della Nizza-Cannes a bordo della sua Bentley, progettando gli impianti di Aspen, in Colorado (oggi tra i più famosi al mondo), sposando una contessa divorziata tra le critiche dei benpensanti e prendendo lezioni di volo, una passione che, unita al suo fervore anti-nazista, gli costerà cara.

Subito dietro al capitano, sia nel 1928 che nel 1932, c’era Clifford Gray, un vero e proprio enigma ancora irrisolto. Uno con più alias dei ricercati dall’Interpol: Clifford Gray, Clifford Grey, Tippy Gray, Tippi Grey e altre variazioni sul tema. Il vero nome era però Percival Davies. Un uomo che pare aver vissuto due vite parallele, per qualcuno semplicemente due uomini diversi: uno campione di bob, l’altro, prima attore fallito, poi compositore di canzoni di successo per il cinema muto e per Broadway. Tante contraddizioni e conti che non tornano tra le due carriere, ma anche un giornale, lo Spartanburg Herald, che lo ricorda, in un ritratto, come un uomo «capace di comporre musiche per le Folies Bergère e vincere le olimpiadi a St. Moritz e Lake Placid».

Infine c’è Jay O’Brien, quello che convinse Eagan a entrare in un bob e poi, direttamente col bob, nella storia. Oltre a essere membro del Comitato olimpico americano, O’Brien era il frenatore di quella squadra, eppure era più conosciuto come fantino, scommettitore e playboy.

Nel mondo dei cavalli era una celebrità della East Coast, dove il suo nome appariva spesso tra i vincitori (una volta arrivo primo in quattro corse diverse nello stesso giorno). Non contento si dedicò anche al polo, oltre a scommettere con metodi innovativi per l’epoca, basandosi su dati e statistiche: un metodo che, applicato al baseball, gli fruttò decine di migliaia di dollari. Il suo capolavoro, nel 1914, quando a metà stagione scommise sui Boston Braves, ultimi in classifica, come vincitori delle World Series. I Braves non solo vinsero, ma chiusero la serie finale contro i Philadelphia Athletics 4-0 guadagnandosi il soprannome di “Miracle Braves”.

O’Brien era stato anche sposato con una delle star del cinema degli anni Venti, Mae Murray (colei che all’apice del successo disse “una volta che sei una star, sei per sempre una star” per poi invecchiare come senzatetto tra le strade di St. Louis). Il matrimonio durò un anno, perché lui nel frattempo si era innamorato di un’attrice emergente, appena diciottenne, Irene Fenwick. Sposò anche lei e dopo 18 mesi era già finita.

Nel 1923, invitato a giocare a polo nella tenuta del magnate Julius Fleischmann, uno degli uomini più ricchi d’America, s’innamora - contraccambiato - di Dolly, la moglie di Mister Fleischmann: uno scandalo che finì su tutti i giornali dell’epoca, con tempistiche shakesperiane. Dolly fugge subito con O’Brien, due mesi dopo aver ottenuto il divorzio si sposa con il suo amato fantino e 4 mesi dopo Fleischmann muore d’infarto durante una partita di polo. Tra le ultime cose che aveva fatto prima di morire, la modifica del testamento che escludeva Dolly dall’eredità. Per i giornali vicini all’establishment O’Brien era l’uomo che aveva ucciso un uomo importante per correre dietro all’ennesima gonnella: in realtà quell’amore durò fino alla morte di lui, sempre per infarto, nel 1940, ad appena 56 anni (il che, calcolatrice alla mano, vuol dire che vinse l’oro di Lake Placid da quarantottenne).

Dolly, che con O’Brien era al terzo matrimonio, trovò il tempo di organizzarne un quarto con un conte bulgaro che lasciò sei anni più tardi nientemeno che per Clark Gable.

Ma torniamo al 14 febbraio 1932, giorno in cui l’equipaggio Usa1 (Fiske, Gray, Eagan, O’Brien) scende in pista per le prime due manche. Il favorito è il team Usa2, capitanato dallo stesso uomo che aveva contribuito a disegnare la pista olimpica, Henry Homburger: con la sua squadra, i Saranac Lake Red Devils, aveva fatto segnare il record della pista (1 minuto e 52 secondi, due secondi in meno di qualsiasi altro equipaggio) e i fratelli del suo frenatore avevano appena stracciato tutti nel bob a due.

La gara avrebbe dovuto tenersi in quattro manche tra l’11 e il 12 febbraio, ma era stata rimandata perché faceva troppo caldo e il ghiaccio sulla pista si squagliava. Uno dei favoriti, il pilota di guerra tedesco Walter Zahn, aveva perso il controllo del suo avveniristico bob (il primo a forma di proiettile, una sorta di prototipo di quelli moderni) finendo direttamente contro un albero a 120 chilometri orari. Lui si ruppe un braccio, uno dei suoi la spina dorsale.

A quel punto la vittoria di Homburger sembrava una formalità. Ma il capitano di Eagan, Fiske, che era stato il portabandiera statunitense durante la cerimonia d’apertura, sapeva di poter giocarsi le sue carte oltre quella di chiusura: già, perché i Giochi erano ufficialmente terminati il 13 febbraio, eppure si doveva ancora correre il bob a 4, previsto, con due manche al giorno, il 14 e il 15. Alla fine delle prime due prove l’equipaggio di Fiske e Eagan è davanti a tutti, nel terzo e nel quarto gestisce il vantaggio chiudendo con oltre due secondi sul grande favorito Homburger.

Eagan racconterà così quelle quattro discese: «Ricordo il terreno sotto di noi ricoperto di neve sfarfallare ai miei occhi come una pellicola fuori fuoco. Ricordo il bob che procedeva velocissimo, mentre io lì dentro non avevo alcun senso di sicurezza. Mi tenevo alle cinghie, con le mani che sembravano dover mollare da un momento all’altro, ma in qualche modo sono rimasto aggrappato. La discesa durava meno di due minuti, ma a me è sembrato un eone». Disse proprio così, “eone”. Una parola strana da dire dopo aver vinto un oro olimpico. Tutto sommato, forse, meno strana di un uomo che vince un’Olimpiade estiva boxando e dodici anni dopo una invernale in uno sport che nemmeno praticava.

Eddie Eagan è morto nel 1967 ed è stato inserito nella Hall of Fame statunitense delle Olimpiadi nel 1983, lo stesso anno in cui venne istituita. Un eone corrisponde a mezzo miliardo di anni.

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