«Io ho sempre detto che il vero record della maratona è quel 2h11’08” che ha fatto Yassine a Berlino nel 2019. Perché un atleta così non esiste nella storia. Uno che lavora nove ore al giorno, esce e va a fare 30 km per allenarsi, torna a casa alle dieci di sera, deve mangiare, ha una moglie e una figlia e il mattino alle sei deve alzarsi per andare a lavorare… E arriva a fare 2h11’08”. Ecco, questo per me è il record mondiale».
Capelli bianchi, tono fermo da vecchio uomo di sport, accento romagnolo garbato e una grande decisione nello sguardo caratterizzano Giorgio Reggiani – allenatore di maratoneti con un passato come preparatore atletico del Milan – quando parla del suo nuovo pupillo, Yassine El Fathaoui. È il terzo atleta che porta a una maratona olimpica dopo Franco Demenego (Monaco 1972) e Rachid Kisri (Londra 2012 e Rio 2016). Con affetto ne descrive il carattere a dispetto delle imprese di Eliud Kipchoge, keniano, oro a Rio 2016, detentore del record del mondo raggiunto sempre alla maratona di Berlino, ma nel 2018, con 2h01’39”.
Una rivendicazione fondata, perché Yassine El Fathaoui ha una storia speciale. Origini marocchine, operaio della Fornovo Gas in provincia di Parma, a 39 anni El Fathaoui, cittadinanza italiana ottenuta nel 2013, sarà uno dei tre azzurri a correre la maratona alle Olimpiadi di Tokyo 2020 il prossimo 8 agosto. Si è preparato grazie all’aspettativa di due anni che il suo datore di lavoro gli ha concesso, sostenendo anche economicamente il suo percorso sportivo. Un percorso nato in fabbrica a 25 anni, grazie a un collega che l’ha portato con sé alle gare provinciali dei circuiti amatoriali.
«Era il 2007 e lavoravamo insieme in un’altra azienda», racconta Luca Bragazzi, 52 anni, operaio, con una passione enorme per la corsa che lo ha portato a gareggiare con il Traversetolo Running Club, società in cui ha conosciuto la sua futura moglie e di cui è presidente suo suocero. «Al lavoro gli raccontavo delle nostre gare e lui era attratto da questa cosa, anche se allora giocava a calcio. I ragazzi della squadra, colleghi nostri, mi dicevano che non era buono a giocare ma che correva come un pazzo. Mi dicevano: “Prendilo su che ti darà soddisfazione”. E allora lo abbiamo preso su. Facevamo un giro di allenamento, lo chiamavamo “il giro della chiesa”, che era un 9,5 km. Abbiamo cominciato a “pestarlo”, immaginando cosa poteva fare, ma lui non faceva una piega e giocava a calcio coi sassi mentre correva. Noi col fiatone e lui che correva tranquillamente».
Godetevi l’accento parmense di El Fathaoui, nella scheda video con cui lo presentava Fidal Emilia-Romagna prima della pandemia.
Nella provincia si comincia a scherzare su Yassine, immaginando che possa prendere il testimone di un mito locale, tale El Wafa, marocchino mietitore di successi da vent’anni nel circuito podistico emiliano-romagnolo. Ma la tenacia di Yassine lo porta in breve tempo oltre questi confini. Abbandona il calcio, si iscrive anche lui nel Traversetolo R. C. e nel 2009 lascia questa famiglia per passare al CUS Parma. Si prepara in pista con un allenatore. Nel 2011 si misura con una gara strana, la ColleMar-athon di Fano, che al di là dei 42,195 km ha un percorso con pendenze importanti e continui saliscendi. Vi partecipa anche Giorgio Calcaterra, tre volte campione del mondo di ultramaratona. Yassine lo riconosce, si mette al suo seguito per un po’ prima di andare del suo passo, chiudendo in 2h29’00”. È la gara in cui si palesa questa sua attitudine: scegliere il più forte e stargli addosso, costringendosi oltre i propri limiti.
«È un atleta che si trasforma in gara», dice di lui Reggiani. «Una volontà, una soglia della fatica immensa, per cui non sai mai cosa ti puoi aspettare. Come a Berlino nel settembre 2019. Eravamo ancora al di là dal pensare che potesse andare sotto ai limiti olimpici di 2h11’30” e negli ultimi chilometri si attaccò a uno dei più grandi maratoneti al mondo (l’etiope Kenenisa Bekele, N.d.R.). Noi ci aspettavamo un tempo a livello nazionale, fece ben 22 secondi sotto il minimo».
Yassine El Fathaoui al fianco di Bekele nella maratona di Berlino, quasi spaesato fra i campioni di un’altra categoria
In passato il modello sportivo di un paese veniva descritto come una piramide, dalla cui base attingere per coltivare i campioni fin verso la cima dell’alta prestazione. Più ampia la base, maggiore il numero di campioni. Chi si occupa di analisi dei modelli organizzativi dello sport contesta ormai questa descrizione. Si parla semmai del modello a chiesa, come quelle disegnate dai bambini: una grande struttura e accanto, separato, un campanile, tutto proiettato verso l’alto. La chiesa rappresenta lo sport di base, il campanile l’alta prestazione. I due mondi non dialogano fra loro e il passaggio da una parte all’altra è sempre meno diffuso. La storia di El Fathaoui confuta entrambi questi modelli.
A Tokyo 2020 l’Italia si presenta con la spedizione più numerosa sia nell’atletica che in tutta la sua storia olimpica; qui Yassine El Fathaoui arriva a fare il suo esordio in maglia azzurra proprio nella gara regina. Con lui anche Eyob Faniel, origini eritree, detentore del record italiano nella maratona fatto segnare a Siviglia nel 2020 con 2h07’19” (stessa gara in cui El Fathaoui ha migliorato il suo personale di Berlino con un 2h10’10”), e Yassine Rachik, anche lui di origini marocchine, bronzo nella maratona agli Europei di Berlino 2018 con il tempo di 2h12’09” e record personale fissato a 2h08’05” alla maratona di Londra nel 2019. Per una disciplina che vanta un’importante tradizionale nazionale ci saranno tre azzurri non nativi italiani, i cui talenti sono stati coltivati in Italia. Ma la “scuola” in cui è passato El Fathaoui ha una particolarità.
«Sono un prodotto delle gare provinciali fatte tra amici», racconta El Fathaoui. «Si dice sempre che chi arriva dal Marocco avendo già praticato lì poi si migliora con la scuola italiana. Da piccolo nel mio paese in Marocco non c’erano nemmeno le scuole vicino, quindi figuratevi lo sport. L’atletica per me è cominciata tutta qua grazie all’Italia. Ho dato l’anima e sto ancora dando tutto me stesso. In pausa pranzo andavo a correre lasciandomi i vestiti di lavoro addosso per non far vedere che mi allenavo e mi cambiavo solo le scarpe. E qualche volta mi dimenticavo e partivo con gli scarponi. Qualche collega l’ha anche visto e di fronte a loro mi veniva da piangere, perché facevo delle cose strane per gli altri ma proprio perché volevo correre, arrivare. E poi una volta il Ferdi mi ha detto che sapeva che correvo ma non sapeva che potevo raggiungere questi livelli. E così è cambiato tutto».
“Il Ferdi” è Ferdinando Bauzone, amministratore della Fornovo Gas, ditta presso cui Yassine trova lavoro nel 2012 su consiglio ancora di Luca Bragazzi, il suo ex collega runner. Bauzone è un imprenditore serio e schivo, dalla concretezza emiliana, che di fronte alla determinazione di El Fathaoui decide di appoggiare i suoi progetti. Arriva la cosiddetta aspettativa “a zero ore”, non retribuita, che permette a El Fathaoui di allenarsi sul serio, trasferendosi a Forlì dal suo allenatore Reggiani. Con l’aspettativa arrivano anche gli investimenti sulla sua società sportiva attuale, il Circolo Minerva, affinché l’atleta non rimanga senza risorse economiche. «Yassine ci ha fatto partecipi del suo sogno», dice Bauzone. «Credo che tutta l’azienda gli abbia sempre voluto bene sia per l’impegno che ha dedicato al lavoro sia per i sacrifici che gli vedeva fare. È difficile spiegarlo: ha questo sorriso, questa umanità dentro per cui è facile vedere in lui un po’ dei nostri sogni che possono essere realizzati anche attraverso il suo impegno».
Il 30 luglio El Fathaoui è partito per Sapporo, la città giapponese in cui si terranno sia la maratona che la marcia. Lunedì 26 luglio ha fatto il suo ultimo allenamento a Forlì, il 27 è tornato nella sua provincia parmense per salutare famiglia, amici e colleghi. L’allenatore Giorgio Reggiani gli ha lasciato un carico di affetto e un po’ di raccomandazioni votate a limitare la voglia di strafare. «Direi che quello che lui farà in gara se l’è guadagnato ampiamente, perché non c’è nulla di improvvisato. Fatto sta che è un atleta, forse l’unico al mondo, che prepara un’Olimpiade così, a livello familiare, io e lui e basta. Tutti gli altri maratoneti sono andati a Livigno, in altura in Kenya… Noi siamo stati a Forlì, con il nostro calduccio. E speriamo di trovare questa temperatura pure a Sapporo, così siamo già abituati».
A Traversetolo intanto, 175 km più a ovest di Forlì, nella notte fra il 7 e l’8 agosto si spera di trovare refrigerio dal caldo umido padano, seguendo dalla mezzanotte la maratona di Yassine. «Abbiamo organizzato una piccola festa qui a casa mia», dice Bauzone. «Saremo circa una sessantina a tifare Yassine. Poi non so quanti resisteranno perché è una bella tirata fino alle tre». Loro poi, se non hanno preso le ferie, il giorno dopo saranno in azienda. Il futuro di El Fathaoui, invece, è ancora da delineare. In attesa di scoprire dietro a chi si metterà a correre durante la sua maratona olimpica.