Un esempio
A volte è difficile distinguere i pregi dai difetti di una persona in particolare, gli esseri umani non sono animali da ammaestrare, fai questo non fare quello, e neanche piante a cui dare una forma amputando certi rami e lasciando che altri si sviluppino. A volte è nei difetti di una persona che si nascondono i suoi pregi, o al contrario è proprio da una sua qualità positiva che deriva una conseguenza negativa. Prendiamo Nicolò Zaniolo, il cui principale difetto - il fatto che parta palla al piede verso la porta avversaria, quasi ogni volta che ha la palla tra i piedi, come se fosse legato con una corda da bunjee jumping alla traversa - è intrinsecabilmente legato al suo principale pregio - quella voglia che gli brucia dentro di fare sempre qualcosa di decisivo, di irreperabile per gli avversari. C’è il rischio di perdere la palla, di sprecare il possesso, le energie, ma c’è anche il coraggio e la creatività di un giocatore che, pur essendo giovanissimo e avendo saltato una stagione intera per infortunio, ha già fatto vedere cose eccezionali, sorprendenti.
È impossibile sciogliere questi due aspetti del suo talento, e semmai sarebbe un problema suo, per cercare cioè di mettere i suoi pregi al servizio dell’efficacia. Ma noi perché dovremmo essere interessati in questa distinzione volgare, quando abbiamo di fronte un giocatore così speciale? E vorrei provare ad universalizzare ulteriormente, parlando di un aspetto specifico del gioco del calcio che è davvero poco rilevante, mi rendo conto, sul piano tattico, tecnico, narrativo, ma che mi riguarda in prima persona. E prendiamo sempre come esempio Zaniolo, quando è tornato in campo per la prima volta con la maglia della Nazionale, contro la Svizzera, quasi esattamente un anno dopo essersi infortunato contro l’Olanda (7 settembre 2020 - 5 settembre 2021), e si è trovato a battere un calcio d’angolo da destra, che per lui che è mancino significa batterlo con una traiettoria a rientrare.
Zaniolo che era stato messo in campo da punta, non il suo ruolo, e non stava facendo benissimo, che aveva già perso un pallone nel modo sopra descritto (allungandoselo alle spalle del difensore Elvedi e constatando subito dopo l’impossibilità a raggiungerlo) ed era stato rimproverato da Bonucci per non aver effettuato bene una copertura in fascia. Ecco, Zaniolo si trova a battere quell’angolo in un momento in cui, oltretutto, l’Italia avrebbe bisogno di un gol per sbloccare lo 0-0 e togliersi il fiato della Svizzera di dosso nella classifica del girone qualificatori, e lo batte come? A rientrare sul primo palo, nell’angolo basso, dove per qualche ragione non c’era nessun giocatore svizzero a protezione. Ci ha tirato, ma il portiere svizzero Sommer ci è arrivato in tuffo.
Non è solo un bel gesto tecnico
Da sempre, da quando cioè io ricordi, ho sempre provato un brivido mettendo la palla sulla parte esterna del quarto di lunetta che delimita l’area di battuta del calcio d’angolo sapendo che ci avrei tirato. Lo facevo quando avevo quindici anni, nelle partite con le Air Max sui campi di cemento, lo faccio oggi che gioco una volta a settimana con gli amici che allargano le braccia ogni volta. È più forte di me, scusate, non posso farci niente. A volte lo faccio persino durante il riscaldamento, mentre gli altri muovono cautamente gli arti superiori e sollevano le ginocchia per far svegliare a poco a poco i muscoli delle gambe. Io mi metto da una parte e calcio forte, di interno collo, mirando all’incrocio più lontano. Se la palla supera la porta, come fa nella quasi totalità dei casi, e arriva dalla parte opposta del campo, io corricchio, mi scaldo così, e arrivo sull’angolo opposto, dove dopo aver posizionato la palla provo a metterla dentro con l’esterno del piede.
Ma non è la stessa cosa che in partita, ovviamente. Anzi, diciamo chiaramente che quei video (comunque molto belli) in cui i calciatori fanno entrare la palla in rete persino da dietro il punto di battuta del calcio d’angolo, calciando praticamente da dietro la porta stessa, imprimendo un effetto alla palla che la fa tornare indietro quando tocca il terreno, non sono soddisfacenti come un qualsiasi gol effettivamente realizzato da calcio d'angolo. Ma neanche come i tentativi falliti, direi. Il contesto partita, per uno a cui piaccia tirarci dall'angolo, è tutto.
Quei video - che mostrano il tentativo riuscito alla perfezione dietro cui ci sono magari una decina di tentativi - sono come quelle compilation di gente che colpisce una palla con una mazza da baseball e la manda in un canestro dietro una casa che la palla sorvola, o quelli in cui un tipo a caso prova a infilare il cavo del caricabatterie nel telefono facendo scivolare il telefono stesso sul parquet, col piede, e scusate ma è il massimo esempio di virtuosismo tecnico che mi venga in mente.
Tirare da calcio d’angolo è un gesto per forza di cose anticonvenzionale. Richiede la presenza dei compagni in area che aspettano il cross, che si spingono con gli avversari, che ti maledicono quando capiscono che hai tirato in porta - soprattutto i difensori che hanno dovuto fare più strada per arrivare fino all’area avversaria e adesso devono tornare indietro velocemente per non prendere il contropiede. Controllare come si comporta, quanto è attento, quello piazzato sul primo palo, il portiere, osservare tutto quel movimento con un punto di vista esterno, stare dentro la partita ma esserne al tempo stesso fuori, fisicamente nell’angolo, e da lì provare a lasciare un segno indelebile, solitario. Tutto questo è necessario più del risultato finale, se la palla entra in porta o meno.
Un altro esempio
I gol da calcio d’angolo sono rari e anzi fino a un certo punto erano vietati dal regolamento. Ma non si tratta neanche di eventi rarissimi, anzi è un gesto che ha i suoi specialisti, da Massimo Palanca, giocatore del Catanzaro negli anni '70 che si dice ne segnò addirittura 13, a Megan Rapinoe, prima tra le donne, ma anche tra gli uomini se è per questo, ad aver segnato direttamente da angolo ai Giochi Olimpici, nel 2012, e poi anche la seconda donna, o uomo, a segnare direttamente da angolo, di nuovo, proprio quest’estate. Immaginate una cosa che non abbia fatto nessun altro, in un contesto così nobile, un gol olimpico alle Olimpiadi, e che comunque solo una manciata di calciatori può dire di aver mai fatto in carriera (né Messi né Ronaldo lo hanno fatto, giusto per fare due esempi, ma Roberto Baggio sì, Recoba sì, il Papu Gomez sì) e che una singola persona ha fatto due volte, a distanza di quasi dieci anni.
E se la prima volta sembra quasi che la palla entri per caso, per effetto dell’attrito con il terreno da gioco e la generale confusione che regnava sul primo palo, il calcio d’angolo che Rapinoe segna nella finale per il terzo e per il quarto posto contro l’Australia (partita poi finita 4-3 per gli USA), dopo appena otto minuti di gioco, non ha niente di casuale. È semplicemente un tiro arcuato che scavalca la portiera ed entra vicino al palo più lontano, sembra quasi una punizione battuta da una posizione molto laterale. Le compagne non la criticano, ci mancherebbe altro, è un evento storico e che le avvicina a una medaglia olimpica, ma anche per abbracciarla devono fare una strada strana, lasciare il centro del campo, Rapinoe è lontana e le aspetta a braccia aperte.
Un altro esempio ancora poi basta
Per quel che mi è dato sapere (non ho visto tutti i calci d’angolo battuti in tutti i campionati del mondo) il giocatore che ci prova più spesso è Luis Alberto, almeno credo. Ovviamente quando calcia da sinistra, e può calciare a rientrare col destro. Nel suo caso è difficile sapere quando vuole davvero tirarci o quando cerca la spizzata di un compagno sul primo palo. Molto probabilmente sta facendo entrambe le cose contemporaneamente, perché calciare forte e a rientrare verso la porta è anche un bel modo per permettere a un compagno di deviare la palla in rete con poco sforzo. Il che non fa che rendere più pericolosi i suoi calci d’angolo.
Ci sono dei casi in cui però diventa evidente che Luis Alberto, semplicemente, ci ha tirato.
Qui serve un mezzo miracolo del portiere.
Penso che non sia un caso che a provarci da angolo siano non solo i giocatori più tecnici ma, più nel dettaglio, i maestri del passaggio filtrante. Quei giocatori, cioè, che provano un gusto particolare nel far passare la palla in spazi stretti. Che vedono corridoi dove gli altri non vedono un bel niente, come si dice, che infilerebbero la palla in una crepa nel muro, se fosse abbastanza grande e dietro ci fosse un loro compagno. Luis Alberto, che io sappia, non ha mai segnato direttamente da calcio d’angolo, ma per quanto mi riguarda i suoi tentativi settimanali di riuscirci sono uno dei principali motivi per cui lo ammiro e mi sento vicino a lui.
Qui ha stretto troppo l’angolo.
Breve arringa finale in difesa di chi ci prova da calcio d’angolo
Sul serio, se non avete mai battuto un calcio d’angolo, perché i difensori centrali, i terzini di fatica, i mediani con i piedi ruvidi, i centravanti e generalmente tutti quelli sopra un metro e ottanta non li battono mai, una volta provate a mettervi sul punto di battuta e osservate il campo da là. È una prospettiva unica, assurda. E pensare di poter calciare in porta da quel punto è ancora più assurdo, è una specie di ribellione contro il buon senso. Non è vera e propria libertà, ma vi farà comunque sentire liberi, se non altro liberi di sbagliare e se qualcuno ti insulta dopo tanto meglio. Insomma il punto non è se la palla entra in porta o no, quanto piuttosto la distanza dal centro, la marginalità del gesto in sé, l’angolo strettissimo che rende la porta più piccola che mai, e comunque il desiderio, l’ispirazione, di tirarci.
Ho preso traverse e pali da calcio d’angolo, anche se molto più spesso ho calciato direttamente sull’esterno della rete, o in fallo laterale, dalla parte opposta. Ho calciato cercando un giro lento e lungo, ho calciato di mezzo collo, di potenza sul primo palo, sfruttando i pochi centimetri a disposizione nella parte esterna della lunetta, per mettere la palla all’interno del campo. Ho fatto arrabbiare compagni e allenatori, sono stato trattato da egoista, da superficiale, da mitomane. Ed è giusto così, chi ci tira da angolo è tutte queste cose, se poi ha i piedi come i miei e non come quelli di Luis Alberto lo è ancora di più.
Forse da ragazzino ci sono riuscito almeno un’altra volta, ma che io ricordi mi è riuscito solo una volta, di fare gol direttamente da angolo. Ormai sono passati un paio d’anni, in una delle partite scalcagnate che gioco ogni settimana, su un campo otto contro otto come quelli che ci sono a Roma, con il calcio d’angolo più vicino alla porta rispetto al campo a undici, ma non vicinissimo. C’era un uomo sul palo, che però era staccato dallo stesso, lo toccava con una mano e il braccio era teso. Dato che da sinistra ci provo sempre, quasi sempre, se lo aspettava che tirassi, ma per qualche ragione è stato colto di sorpresa dalla parabola forte e piuttosto bassa. La palla gli è passata all’altezza del torace, sotto il braccio e sopra la coscia, lui ha abbassato la testa ma non ci è arrivato, e la palla si è infilata sul primo palo.
Non c’è stata grande esultanza. Alla mia età, al mio livello, i gol belli sono quelli di squadra, in cui partecipano più giocatori, perché se è difficile fare tre passaggi di seguito figurati costruire un’azione da gol. Ma giocare a calcio è anche questo, il rapporto intimo che ognuno di noi ha con la palla, con le linee del campo, con le possibilità del proprio piede. Provarci da calcio d’angolo è un gesto individualista, se volete persino infantile, che oltretutto richiede la presenza passiva di altre persone, la messa in scena della partita per avere davvero senso. Forse è inutile, statisticamente inutile, ma ci sarà sempre qualcuno che ci proverà, a ogni livello. E quando qualcuno ci riesce, non riscatta solo i suoi fallimenti, ma quelli di tutti i poveri sfigati come me che si sentono vivi facendo finta di guardare dentro l’area i movimenti dei compagni e pensando dentro di sé: sì adesso ci tiro.