È molto probabile che non abbiate mai sentito parlare di Hakan Kamil Yerge e Hacı Mehmet Gani, ed è meglio così del resto. Si tratta di due spie al soldo della Turkish National Intelligence Organization (MİT), i servizi segreti turchi del governo di Recep Tayyip Erdoğan. E se non li conoscerete mai sarà per merito del controspionaggio svizzero, che all’inizio del 2019 ha reso pubblico un tentativo di rapimento ordito dal governo turco per “sequestrare” illegalmente sul territorio elvetico un businessman turco, residente in Svizzera da 30 anni e con una sola ed unica colpa a suo carico: essere coinvolto da decenni nel movimento di Fethullah Gülen, ritenuto leader di un’organizzazione terroristica dal regime di Erdoğan dal 2016 - un anno non casuale nella storia del paese.
Le forze dell’ordine svizzere non hanno diffuso il nome completo del target dell’MİT in quanto attualmente sotto la loro protezione, ma hanno fornito i dettagli del piano orchestrato dagli 007 turchi su un territorio dove non avrebbero avuto alcun tipo di legittimità. Piano che in poche ma agghiaccianti parole consisteva nel: camuffarsi in Svizzera da diplomatici turchi; corrompere con 300.000 euro un connazionale sommerso dai debiti per usarlo come esca con l’obiettivo, suo conoscente; iniettare GBH, la cosiddetta “droga dello stupro”, nel cibo della vittima; rapire il target, deportandolo in Turchia per giudicarlo e incarcerarlo.
Da lì in poi il destino del businessman sarebbe dovuto diventare un inferno programmato, se non peggio. Dal 2016, annus horribilis per la Turchia odierna e anno del colpo di stato fallito, il governo di Erdoğan ha incarcerato più di 80.000 oppositori: da semplici cittadini dissidenti a scienziati della NASA, da minorenni colpevoli di averlo insultato a giornalisti e critici del governo residenti all’estero. Rapiti, questi ultimi, in modalità simili al caso svizzero, e manovra di cui le autorità turche non hanno mai fatto mistero, annunciando orgogliosamente lo scorso novembre che “il governo turco sta continuando a perseguire gli affiliati al movimento di Gülen in tutto il mondo, e già più di 100 membri sono stati deportati in Turchia”.
Ora sostituite la parola “businessman” con un nome e cognome ben precisi, Enes Kanter, e avrete un’immagine ben nitida e allo stesso tempo terrificante di quello che il lungo dei New York Knicks potrebbe aver scampato con la decisione di non andare a giocare a Londra a metà gennaio, oltre che del pericolo costante che sta correndo ormai da due anni.
https://twitter.com/Enes_Kanter/status/1085537671483658246
Il sarcastico commento di Kanter su Twitter alla notizia della richiesta di estradizione emessa dalla Turchia.
Ma facciamo un po’ di ordine e cerchiamo di capire perché la vita di un giocatore professionista di pallacanestro nella NBA si sia improvvisamente trasformata in una fuga senza fine, e Kanter in un novello Cary Grant con baffi e fez inseguito non più da un aereo nella famosa scena del film di Alfred Hitchcock Intrigo Internazionale, bensì da un nugolo di agenti segreti al servizio di uno dei regimi più spietati degli ultimi anni verso qualsivoglia tipo di “oppositore”.
Com’è iniziata tutta la faccenda?
Per parlare del rapporto a dir poco conflittuale di Enes Kanter con la sua madrepatria è fondamentale passare da alcuni momenti della storia turca recente e nello specifico dagli eventi che hanno portato un movimento, quello Hizmet (“Il Servizio” in turco) di Fethullah Gülen, da alleato a nemico giurato del governo e infine a organizzazione bollata da Erdoğan come “terroristica”, tutto nell’arco di due decenni.
Considerata la complessità del tema e le necessità di sintesi per questa storia, abbiamo avuto l’onore e il piacere di ospitare l’opinione di uno dei più noti esperti italiani sul Medio Oriente, l’ex corrispondente di guerra per Il Sole 24 Ore Alberto Negri, ora collaboratore di testate come Linkiesta e Il Manifesto, presente a Istanbul nel 2016 durante il tentativo di colpo di stato.
Alberto, che ironicamente al telefono ha respinto la nostra comparazione con la famosa inviata americana Marie Colvin («Giornalista tosta, ma aveva un pessimo carattere»), ci ha raccontato come il movimento di Gülen, nato negli ormai lontani anni ‘60, fosse diventato nei primi 2000 non solo un alleato, ma la spina dorsale stessa del nascente partito capeggiato da Erdoğan. Una collaborazione di cui l’AKP aveva estremamente bisogno: «La capacità di penetrazione di Gülen nel tessuto culturale, economico, militare e istituzionale della Turchia era fondamentale per poter raccogliere un ampio numero di consensi. Questo grazie sia a un network di scuole, di contatti privilegiati locali e internazionali, sia a una sensibile influenza sull’opinione pubblica con quotidiani di proprietà, canali TV, editoria e imprese».
Un manifestante turco regge una bandiera con le foto del Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan (d) e di Fethullah Gulen (r) durante una dimostrazione contro il il governo il 30 Dicembre 2013 a Instanbul (OZAN KOSE/AFP/Getty Images)
Per inciso, e per capire di cosa stiamo parlando, dalle scuole cosiddette “guleniste” sparse a migliaia per mezzo mondo (Asia, Africa… solo in Texas nel 2017 erano 52) sono passati sia i figli di Erdoğan che lo stesso Enes Kanter. Il quale, proprio in quelle scuole, è stato introdotto alla dottrina - o al culto, considerate alcune dichiarazioni dell’ultimo biennio - di Fethullah Gülen.
I due, Erdoğan e Gülen, considerati i successi immediati e fragorosi (dopo essere nato nel 2001, un anno dopo l’AKP era già al governo), vanno allegramente a braccetto grossomodo fino al 2011, quando il rapporto inizia ad “incrinarsi”. Eufemismo d’obbligo perché, come dice Negri, Erdoğan passa dal ringraziare pubblicamente nel 2010 “tutti gli amici d’oltreoceano” - chiaro riferimento all’auto-esiliato Gülen, dal 1999 “ospite d’onore” degli USA in Pennsylvania - ad accusare nel 2013 il guru dell’Islam culturale di essere a capo di uno “stato parallelo nemico”, in seguito alle posizioni contrarie di Gülen sulla guerra in Siria e sulle repressioni delle proteste di Piazza Taksim, oltre che al suo presunto coinvolgimento nello scandalo delle corruzioni che travolge il governo.
E Kanter cosa fa?
Il giocatore dei Knicks, così come tutti gli altri milioni di membri del movimento gulenista sparsi per tutto il globo, inizia a subire direttamente in quegli anni le conseguenze dell’essere un affiliato attivo dell’organizzazione. In principio però i problemi sembrano essere legati “solo” agli aspetti sportivi della vita di Enes, soprattutto con la nazionale turca.
Va detto che per Kanter e la sua famiglia i primi attriti con la Turchia erano iniziati ben prima della crisi Gülen-Erdoğan, a partire dalla velenosa diatriba nata con il Fenerbahce Istanbul nel 2009 a causa della scelta di Enes di andarsene dal club - potente istituzione turca - per approdare negli Stati Uniti, prima all’high school e poi all’Università di Kentucky. Il Fener non aveva per nulla gradito questa mossa del miglior prospetto della nazione, dichiarando (per ripicca?) al New York Times che Kanter aveva percepito circa 100.000 dollari durante le annate turche, quando - ancora adolescente - aveva esordito con la prima squadra in campionato e in Eurolega. Un’affermazione che aveva attirato naturalmente le attenzioni dell’NCAA, toccata nei suoi valori più profondi - il dio denaro - e scatenato la rabbia e l’indignazione di Kanter, reso ineleggibile a giocare al college per le note regole dello sport universitario negli States.
https://twitter.com/EnesisFree
L’account Twitter “Free Enes” creato dai fan di Kentucky per contestare la sua ineleggibilità: slogan purtroppo di nuovo attuale.
A poco serve il 2011, anno memorabile nella carriera di Enes, per ammorbidire i rapporti con il suo paese. Nonostante il Draft NBA 2011 lo elegga addirittura terza scelta assoluta (chiamato dagli Utah Jazz), e nonostante il suo esordio da 21enne con la nazionale turca all’Europeo lituano sia promettente (terzo realizzatore e rimbalzista della selezione), la sua avventura con la canotta biancorossa della Turchia si può dirsi già bella che conclusa, e prima ancora che Kanter abbia compiuto 22 anni.
Se infatti i personaggi che guidano la federazione turca - ovviamente legati al governo - sembravano aver perdonato a Kanter il rifiuto di partecipare agli storici Mondiali casalinghi del Settembre 2010 per non saltare il primo mese di lezioni a Kentucky, dopo la frattura Gülen-Erdoğan gli screzi sono diventati più seri. Nel 2013 Kanter, dagli States dove stava recuperando dall’infortunio alla spalla, ha twittato una sarcastica e lunga risata pochi minuti dopo l’eliminazione della Turchia dall’Europeo sloveno. Poi, nel 2015, è diventato ancora più esplicito affermando di non essere stato convocato a causa delle sue posizioni politiche, sollevando un polverone.
L’assenza di Kanter dagli Europei del 2015 si nota più del normale: il lungo è reduce da un’ottima seconda parte di stagione a Oklahoma City, chiusa a 19 punti e 11 rimbazi di media, e può essere già considerato a tutti gli effetti il miglior giocatore turco in circolazione. Deve essere successo qualcosa di grave: il fatto che Kanter sia già riconosciuto universalmente come seguace di Gülen non sfugge a nessuno, eppure coach Ergin Ataman attraverso il DailySabah, giornale di regime, nega platealmente, affermando piuttosto di aver «provato a contattare Enes, ma non mi ha mai risposto. La mia non è una decisione politica, ma prima deve chiedere scusa per gli incidenti del passato».
Il colpo di stato e l’etichetta di “terrorista”
Si arriva quindi al famigerato 15 luglio 2016, uno dei peggiori momenti della storia della Turchia moderna, soprattutto per le conseguenze che si abbatteranno sulla sua popolazione. Tanto è stato detto e scritto su uno degli eventi geopolitici più cruciali del secondo decennio dei 2000, ma gettare un po’ di luce sui fatti di quella notte d’estate rimane necessario, se non altro per chiudere il cerchio sulla vicenda-Kanter.
A discapito delle molte versioni che parlano di colpo di stato “farlocco”, di un cupo remake di Vogliamo i Colonnelli di Mario Monicelli organizzato da Ankara per instaurare lo stato di emergenza e avere il pretesto di liberarsi di qualsiasi opposizione, Negri ci conferma il ruolo chiave recitato da una falange gulenista dell’esercito: «Così “farlocco” non deve essere stato» - afferma - «Tra alti gradi dell’esercito morti o arrestati durante o subito dopo la sanguinosa nottata sul Bosforo e l’attentato a Erdoğan, con almeno 6-7 sue guardie del corpo finite ammazzate nel corso della rivolta».
https://twitter.com/TurkeyBlocks/status/754043966547431424
La notizia dei principali social media oscurati in Turchia subito dopo il tentato golpe.
Ad ogni modo - una volta sedate le ribellioni nel sangue, nella tortura e nelle incarcerazioni di massa - all’alba dell’ordine ripristinato da Erdoğan il movimento Hizmet di Gülen non è più solo considerato un ostacolo, un oppositore, ma si riscopre neo-gruppo terroristico: “Fethullahçı Terör Örgütü”, acronimo “F.E.T.O.” o anche “Gruppo Terroristico di Fethullah” per noi italici.
Una forzatura, ovviamente. Il movimento gulenista era stato accettato di buon grado dalle nazioni occidentali, rappresentando una parte dell’Islam, quella moderata, che voleva contrapporsi al fondamentalismo, rimanendo fuori dalla politica. Ma un colpo di stato ordito (anche) da degli infiltrati gulenisti dell’esercito non è mai un buon biglietto da visita se si vuol conservare un’immagine immacolata. Pur non esistendo ad oggi una prova del diretto coinvolgimento di Gülen - che, quasi 80enne e malato, dal suo rifugio a Saylorsburg ha negato categoricamente qualsiasi tipo di implicazione - la reazione di Erdoğan non poteva non essere violenta, efferata, folle.
Quel 15 luglio, curiosa coincidenza, Enes Kanter è proprio a casa del Maestro in Pennsylvania. In questi ultimi giorni ha raccontato in lungo e in largo a tutte le tv di come Gülen avesse accolto quelle notizie terribili con stupore e dolore, raccogliendosi subito dopo in preghiera per il proprio popolo e le 250 vittime della nottata - a conferma della completa estraneità al golpe -, ma ormai è troppo tardi.
A prescindere da una verità di cui nessuno avrà mai certezza, il movimento Hizmet viene usato come capro espiatorio da Erdoğan per azzerare qualsiasi tipo di opposizione: molti “nemici” del governo, tra cui professori e intellettuali, verranno accusati di essere gulenisti solo come pretesto per incarcerarli, spesso torturarli e mettere quindi a tacere qualsiasi voce alternativa a quella ufficiale del regime. I media vengono decimati, il partito curdo pure, qualunque dissidente deve fuggire per salvare la pelle.
Quel che più ci interessa però è che Enes Kanter, per la Turchia, non solo diventa un terrorista che finanzia F.E.T.O., ma è pure l’esponente più famoso e attivo sui social media, dove le minacce di morte arrivano in modo costante. È il 2016, ed è da qui che la vita di Kanter diventa ufficialmente un inferno.
https://twitter.com/DailySabah/status/762934513517359104
Un sondaggio del giornale di regime, il DailySabah, che subdolamente si chiede quanto danneggi l’immagine dell’NBA il legame tra Kanter e Gülen.
Repressione, lacrime e tentativi di rapimento
Mentre le purghe del governo di Erdoğan stanno toccando baratri inimmaginabili per un Paese che fino a poco tempo prima ambiva a entrare nell’Unione Europea, come prima atroce conseguenza Enes Kanter perde la propria famiglia.
Per non finire in carcere, per dimostrare di non aver alcun contatto con il figlio “degenere”, per non essere accusati di alcuna - anche minima - colpa che potrebbe risultare fatale, il padre e la madre di Kanter - residenti in Turchia con la sorella, a cui sono stati tolti i passaporti - l’8 agosto 2016 disconoscono pubblicamente il figlio, affermando che Enes ha disonorato loro e il suo Paese.
Un dolore immenso, tanto che Kanter affermerà che quel momento gli ha “ucciso il cuore”. Ma se Erdoğan “gioca duro”, Enes non si tira indietro: poco dopo il suo Twitter “prende fuoco” dichiarando apertamente devozione infinita a Gülen, aggiungendo il cognome del suo Maestro al proprio nome sui social e annunciando in un tweet: «Oggi ho perso quella che per 24 anni ho chiamato la mia famiglia… ma l’avrei sacrificata, per Gülen. Darei la mia testa per questa causa. Da oggi i miei fratelli saranno i membri di Hizmet. Il mio amore per Gülen è superiore a quello per i miei cari!».
Dopo queste parole la situazione non può che peggiorare: mentre Erdoğan va a nozze con i postumi del colpo di stato prolungando fino al 2018 lo stato d’emergenza - e le repressioni “legittime” di molti dei diritti umani fondamentali -, a fine 2017 arriva per Kanter la prima condanna ufficiale a quattro anni di carcere, naturalmente per insulti al presidente turco. Il il padre Mehmet, nel frattempo, perde il lavoro di professore universitario, accusato di legami col solito terrorismo gulenista (dopo l’arresto temporaneo rischia fino a 15 anni di galera: la dissociazione, c’era da immaginarselo, non è servita a granché).
https://twitter.com/YaronWeitzman/status/1008715860570181632
La notizia della condanna a 15 anni di carcere del padre di Kanter.
Non che la Turchia possa fare molto altro. Enes Kanter sa bene che gli Stati Uniti hanno già respinto una richiesta di estradizione per Fethullah Gülen per mancanza di prove, e i rapporti forti del fondatore del movimento con l’establishment a stelle e strisce - dai Clinton alla famiglia Bush passando per il New York Times ed ex-membri della CIA (addirittura il Time, nel 2013, ha inserito Gülen nella famosa lista delle 100 persone più influenti al mondo) - lo rendono sostanzialmente intoccabile. Cosa dimostrata direttamente anche da Kanter in questi giorni, dopo aver postato i meeting con molti senatori americani.
Più preoccupante è uno degli episodi più famosi di tutta la vicenda, quello che avvicina Kanter allo status di apolide, un senza patria. Accade tutto tra l’Indonesia e la Romania a fine maggio 2017, in quello che su Netflix potrebbe diventare facilmente un nuovo film su James Bond e che potete intanto recuperare sul bel pezzo scritto dal giocatore per The Players Tribune.
In sintesi: mentre il lungo è in Indonesia a uno dei tanti camp di basket della sua associazione benefica, la polizia locale viene allertata da Erdoğan sul “pericolo” rappresentato da Kanter, invitandoli caldamente a procedere con l’arresto. Con il “colloquio” con la loquace polizia indonesiana previsto per l’indomani mattina Kanter, allertato dal proprio agente, fuggirà la notte stessa scappando in taxi verso l’aeroporto, salvo atterrare a Bucarest per fare scalo e scoprire che nel frattempo la Turchia gli ha “cancellato” il passaporto.
Trattenuto nell’aeroporto romeno e con la spada di Damocle di un arresto a Bucarest, solo grazie all’intervento dei senatori dell’Oklahoma Enes riuscirà a rientrare negli States, privato però del proprio documento: un bello spavento, e una prova concreta di quanto Erdoğan sia serio nei propri intenti vendicativi. Un minimo di attesa in più e Kanter avrebbe fatto la stessa fine destinata al businessman svizzero delle battute iniziali.
Il messaggio è chiaro: metti un piede fuori dagli Stati Uniti e sei finito.
Firmato Recep Tayyip Erdoğan.
Il video post-fuga di Kanter dall’Indonesia e del suo arrivo negli Stati Uniti.
Arriviamo così ai giorni nostri e all’altro episodio diventato rapidamente virale in tutto il mondo: Enes Kanter non vola a Londra con i suoi New York Knicks per non mettere a rischio la propria vita. Anche qui le tempistiche dello scontro con Erdoğan rasentano la trama di un buon thriller fantapolitico: mentre la squadra dei Knicks sta sorvolando l’Atlantico le autorità turche - convinte che, nonostante le dichiarazioni, Kanter sia sull’aereo - emanano un mandato d’arresto ufficiale, con conseguente “red notice” richiesto all’Interpol. Che altro non è che una segnalazione a tutte le nazioni delle generalità del criminale ricercato da un certo paese, in questo caso dalla Turchia. La polizia del Regno Unito è allertata: appena sbarca, procedete con l’arresto temporaneo del terrorista Enes Kanter.
Grazie alla saggia scelta di non andare a Londra - supportata pubblicamente dal commissioner Adam Silver e dai Knicks - non scopriremo mai se il Regno Unito in piena crisi-Brexit avrebbe autorizzato l’arresto di un giocatore NBA dei Knicks giunto in città per giocare una partita dal richiamo mondiale. Sarebbe stato un casino bello grosso. Ma se anche gli inglesi si fossero opposti al volere di Erdoğan, probabilmente Kanter avrebbe comunque rischiato parecchio su un territorio non americano e alla mercè di agenti segreti disposti a tutto, sguinzagliati da un “freaky lunatic” - così definito da Kanter in un tweet - con la schiuma alla bocca per non aver ancora messo il bavaglio a una delle voci più rumorose contro le sue epurazioni.
Tra carogne e fans, come finirà?
C’è un personaggio che abbiamo tenuto volutamente fuori dalla narrazione: Hidayet Turkoglu. Nonostante un ruolo secondario in un gioco ben più grande di lui, siamo rimasti tristemente colpiti dai suoi comportamenti, anche se ce li potevamo aspettare. Fantoccio al seguito di Erdoğan sin dai gloriosi anni agli Orlando Magic, Turkoglu non si è risparmiato nel gettare fango (per non dir peggio) sulle dichiarazioni e la presa di posizione di Kanter, essenzialmente condannandolo al carcere o alle torture se Enes fosse disgraziatamente volato a Londra.
(Il non più) “brother Hedo” è talmente vicino al reis dall’essere stato nominato prima “chief advisor” e poi presidente della Federazione turca di basket nell’ottobre 2016, ovvero quando colui che Kanter ha chiamato “l’Hitler del nostro secolo” aveva iniziato a ricostruire l’apparato istituzionale con le poche persone fidate rimaste, ridotte all’osso dalle sue stesse purghe.
Facile allora intuire le ragioni dietro a quella sprezzante lettera rivolta al mondo e soprattutto a Kanter pubblicata su Twitter da Turkoglu, poco dopo le news sulle paure di Enes per la sua vita se fosse andato a Londra. “Enes Kanter sta conducendo una campagna diffamatoria contro la Turchia”; “L’unica ragione per cui non può viaggiare è che è senza passaporto, il resto sono solo menzogne.”
Come vi sentireste a scoprire che la vostra prima point forward europea di successo, arrivata a un passo dal titolo con quella Orlando nel 2009 e già nella leggenda del basket turco dopo gli anni a Sacramento, si è trasformata in una subdola macchietta, in un Mini-Me capace di pugnalare un connazionale ed ex compagno di squadra alle spalle, mentendo a tutti e sapendo di mentire?
Non una bella sorpresa, ma nemmeno nulla di nuovo: Turkoglu e Kanter hanno da tempo una faida in corso, grossomodo da quando Turkoglu aveva accusato Kanter nel 2015 di essere “uno scemo” e poi nel 2016 di “tradimento” per la solita diatriba Gülen-Erdoğan. Enes, in tutta risposta, dopo aver definito Hedo “un cagnolino di Erdoğan”, ha postato il visto speciale fornito dagli USA per poter continuare a viaggiare e giocare, in attesa di diventare cittadino statunitense nel 2021.
Un trattamento simile a quello riservato a un altro grande sportivo “nemico” di Erdoğan, l’ex centravanti (anche) dell’Inter Hakan Sukur, costretto alle dimissioni dal partito AKP nel 2013, rimosso totalmente dalla storia ufficiale del Galatasaray e costretto a fuggire in California nel 2017 dopo essere stato accusato del solito collegamento con F.E.T.O. e Gülen a fine 2016.
https://twitter.com/Enes_Kanter/status/961245481736253440
Kanter prende in giro in turco Turkoglu dopo l’accusa di averlo insultato.
Tutte storie che i tifosi dei New York Knicks hanno accolto con il solito ironico pragmatismo misto a ingenuità tipici di casi come questi, intrecci di dinamiche geopolitiche internazionali semi-sconosciute alla maggior parte degli americani (e pure ai compagni di squadra di Kanter...).
Tra chi ha sarcasticamente lodato “questo tale Erdoğan” per fare quello che il proprietario James Dolan non sembra in grado - ovvero liberarsi del contratto da quasi 19 milioni di un Kanter ormai uscito dalle rotazioni di coach David Fizdale -; passando da chi si è “schierato” con la Turchia affermando che le accuse di “terrorista” erano fondate, appartenendo al famigerato “gruppo terroristico” dei New York Knickerbockers, colpevoli di “sabotare la pallacanestro”; fino ad arrivare a chi ha chiamato l’odiato owner “Osama Bin Dolan” per motivi similari, molti fan arancioblu hanno dimostrato di essere talmente disperati (sportivamente parlando) dal non riuscire a mettere nella giusta prospettiva il terrore provocato dai loro Knicks sui campi NBA con il terrore di milioni di perseguitati da Erdoğan, compreso un loro giocatore.
Una differenza di vedute a cui vanno aggiunte due ulteriori considerazioni, quella relativa alle indagini che FBI e dipartimenti statali stanno svolgendo sulla formidabile rete di scuole collegata a Gülen (CMO), sospettata di miriadi di reati - riciclaggio, falsificazione di documenti, tentata frode, discriminazioni - e quella di un Kanter “usato” dagli USA attraverso Gülen per aumentare la pressione sulla Turchia e il suo presidente, ai ferri corti dopo la questione-Siria.
Attività comunque non ancora provate e di certo non valevoli deportazioni e persecuzioni, ma se si aggiungono anche le donazioni private a Hizmet - tra cui, dicono, più di cinque milioni di dollari di Kanter - si capisce che il giocatore, assurto ultimamente a nuovo simbolo universale di libertà e democrazia (è stato paragonato a Muhammad Ali e Colin Kaepernick), ha davanti a sé un futuro prossimo più che nebuloso - e non ci riferiamo alla deadline del mercato, alla sua imminente free agency o ai “DNP” delle ultime partite. Gli auguriamo vivamente che ne possa uscire indenne - in tutti i sensi -, anche se temiamo che fino a quando Erdoğan rimarrà al potere in Turchia la vita di Enes continuerà ad essere una fuga mitigata solo dalla speranza che sì, il domani non muore mai.
Sperando finisca come nel film di James Bond.